Tutte le persone sedute dinanzi alla Basilica di Collemaggio, s’erano alzate in piedi e volgevano lo sguardo, verso il viale proveniente dalla Villa Comunale, dal quale sembrava arrivare suono di applausi che annunciava l’arrivo di Sua Santità Papa Francesco.
L’auto del Pontefice, avrebbe dovuto passare nel corridoio centrale transennato, predisposto tra le sedie, percorrendo tutto il piazzale fino al grande altare innalzato dinanzi all’ingresso della chiesa.
Ma, mentre tutte le persone s’erano alzate in pedi, e cercavano di verificare se, davvero, fosse arrivato il momento tanto atteso, ad alta voce, e con tono autorevole che s’imponeva sul brusio circostante, un uomo, che indossava un cappello militare da alpino, probabilmente un volontario dell’Associazione Nazionale di quel Corpo, chiedeva di tornare a sedere, per consentire a tutti, anche a quelli seduti nelle file più lontane, di poter vedere direttamente e senza ostacoli, al momento del suo passaggio, il Papa venuto, per la prima volta nella storia, ad aprire la Porta Santa di Collemaggio, ottemperando ai riti illustrati nella Bolla, emanata nel 1294, da Papa Celestino V.
Le persone tutte, tornarono a sedersi.
Ma, non appena l’auto che trasportava Papa Francesco fece il suo ingresso nel piazzale gremito di persone, tutti si alzarono nuovamente, incuranti di ogni richiamo, tenendo in mano il proprio cellulare, e cercando di fotografare, o filmare, il passaggio del Pontefice.
Ha avuto inizio così, il momento più formale – quello della celebrazione liturgica – della visita del Santo Padre ad Aquila, il 28 agosto scorso.
E’ cominciato con la plastica rappresentazione di un popolo che, in gran parte, non ascolta davvero, le sollecitazioni a farsi carico anche dei più lontani; e che quando prevale la propria individuale necessità – in questo caso, quella di prendere una immagine di quel che stava vivendo – pare dimenticare ogni cura per gli altri.
Poi, forse, la foto raccolta, è stata immediatamente condivisa su uno, o più social network, e, da lì potrebbe essere iniziato un dialogo, a base di messaggi, e/o altre fotografie, con altre persone, magari lontanissime da Aquila, mentre intanto si partecipava ( ? ) alla Santa Messa.
Oppure, la foto era raccolta perché fosse testimonianza di un giorno particolare, e importante, che si voleva conservare per sé stessi, come se la propria personale memoria non fosse sufficiente a contenere nel proprio intimo tutte le sensazioni di quel giorno, e fosse invece necessaria una prova tangibile capace di rendere vero quel che stava accadendo, esattamente come per altri accadimenti immortalati e custoditi tra le mille e mille foto della memoria di silicio del cellulare.
Il linguaggio della Chiesa è fatto di segni e di parole.
Ogni gesto di quella giornata, e della sua liturgia, simboleggiava momenti altissimi di relazione con Dio e con la sua comunità di fedeli; ogni parola, per poter essere appieno compresa, richiederebbe studio, attenzione, conoscenze profonde della Dottrina e ogni parola, ne richiamava altre, ad evocare secoli di storia e di storie.
Per questo, interpretare quanto è accaduto il 28 agosto scorso ad Aquila, è complesso, e difficile, ma il significato, ed il peso dell’evento, richiedono un tentativo, magari non all’altezza, ma il più possibile onesto.
Davanti ai parenti delle vittime del terremoto del 2009, Papa Francesco riconosce che le parole possono aiutare, ma il dolore, resta. Si tratta della rivelazione di una umana fragilità che travalica persino l’idea che la Fede possa fornire consolazione, per quanto essa possa riscattare dal non senso del dolore e della morte, e per quanto essa, come ha sostenuto il Pontefice, possa illuminare il cammino che dal passato ci porta al futuro; un cammino che parte dalla memoria, che è la forza di un popolo che sa – dovrebbe sapere – che oggi si lavora per il futuro di figli e nipoti.
Sin dall’inizio del suo viaggio pastorale, Francesco quindi prova a tenere insieme il passato, con il futuro, sotto il segno della memoria e della Fede, ma anche della responsabilità; quella che dovrebbe impegnarci a lasciare alla nostra progenie un mondo degno di essere vissuto.
Verrebbe da chiedersi, mentre Francesco visita i resti, su cui ancora non vi è stato alcun intervento, del Duomo di Aquila, se la ricostruzione della città sia stata, e sia, all’altezza della sfida che egli ha posto.
Le Scritture della Liturgia del 28 agosto, sono legate tutte da un unico filo.
La contrapposizione tra mitezza, umiltà, e la superbia che un ruolo può offrire.
– Quanto più si è grandi, tanto più si dovrebbe essere umili, per trovare grazia davanti al Signore; quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “ Amico, vieni più avanti ! “. Allora, ne avrai onore… –
A queste parole, si contrappongono:
– per la misera condizione del superbo non c’è rimedio, perché in lui è radicata la pianta del male; chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia, sarà esaltato. –
In più passaggi della propria Omelia, il Santo Padre sottolinea le implicazioni delle parole offerte dalle Sacre Scritture. Quando afferma che “ non esiste altro modo di realizzare la volontà di Dio, che assumendo la forza degli umili”, e, soprattutto, quando spiega che “ troppe volte, si pensa di valere in base al posto che si occupa in questo mondo. L’uomo non è il posto che detiene, ma la libertà di cui è capace e che manifesta pienamente quando occupa l’ultimo posto, o quando gli è riservato un posto sulla Croce”.
Quell’ultimo posto occupato dalle persone che, anche se si alzassero in piedi non potrebbero vedere il Papa che passa sul piazzale di Collemaggio; quei primi posti delle file davanti all’altare, occupati da politici e autorità di vario tipo, che si fotografano e si salutano tra loro, e si espongono sui social network, restando separati dagli altri.
Ed è interessante, il modo in cui Francesco esplicita il senso della seconda parte del Vangelo letto quel giorno : “ quando offri un pranzo, o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla resurrezione dei giusti “ .
In una città che non permette a Zero Calcare e a Roberto Saviano di sedersi alla propria tavola e parlare, perché ritenuti, da chi comanda, portatori di visioni inaccettabili.
In una città che, a più riprese, nei suoi vertici istituzionali, ha contestato la presenza di Migranti e Richiedenti Asilo, perché L’Aquila “ ha già sofferto troppo “, per poter accettare di accollarsi altre miserie.
Dice il Pontefice invece, che la Misericordia è saperci amati nella nostra miseria: quella Misericordia, che è l’esperienza di sentirci accolti, rimessi in piedi, guariti, incoraggiati. Ed è Cristo stesso, a dire di essere venuto per servire, e non per essere servito, e finché non comprenderemo che la rivoluzione del Vangelo sta tutta in questo tipo di libertà, continueremo ad assistere a guerre, violenze e ingiustizie.
Ed è la Madre di Cristo, a cantare nel Magnificat : “ ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili “.
Questa voce, dentro questo tempo di egoismi e sopraffazione, è ascoltata davvero ?
La giornata del 28 agosto 2022, ad Aquila può essere stata solo un’altra giornata in cui si è rappresentato uno spettacolo, con un protagonista, vissuto come persona simpatica e bonaria, attorniata da autorità sorridenti e certe che comparirgli accanto, assicuri loro una parte della sua luce, spendibile per le loro attività mondane, e da un gran popolo d’intorno, disciplinato nel rispettare la gerarchia prevista dei posti a sedere, e ansioso di catturare qualche immagine che, mostrata ad altri, non conservi alcuna relazione con le parole, ed i segni cui assiste, ma esalti solo l’esser stati presenti ad un evento mediatico, in mondovisione, con sicuri ritorni turistici per la città, che è l’aspetto che ha monopolizzato la discussione pubblica successiva alla visita del Pontefice.
Nel librettino contenente i Salmi e le Scritture della Liturgia del 28 agosto, la Chiesa, costruisce la cornice entro cui inserire il messaggio che Francesco è venuto a portare ad Aquila.
Nelle note poste in apertura, e chiusura, l’Ufficio Liturgico Diocesano di Aquila, spiega che Bonifacio VIII, successore di Celestino V, temendo che i propri avversari potessero strumentalizzare, suo malgrado, l’anziano eremita dimissionario, e servirsi di lui per provocare un eventuale scisma nella Chiesa, volle che Celestino V fosse condotto al sicuro, trattenendolo a Fumone, nel castello di famiglia di Bonifacio, dove Celestino consumò gli ultimi mesi della sua vita nel silenzio, nell’austerità e nell’intensa preghiera.
Si utilizza il pudico termine “trattenuto”, per non scrivere che Celestino fu posto in prigionia e sotto tutela. Forse addirittura assassinato.
Bonifacio, come sosteneva l’allora Segretario di Stato Cardinale Tarcisio Bertone, intervistato dall’Osservatore Romano, in occasione della sua presenza ad Aquila, per l’apertura della Porta Santa, nell’agosto del 2009, all’indomani del sisma, “ promulgò il Giubileo, estendendo l’indulgenza a tutto il mondo, con un impulso plenario di rinnovamento, di perdono, e di condono ( inteso nel senso di amnistia, cioè di beneficio concesso a richiesta ), anche a livello economico e sociale “; mentre Celestino, nella sua Bolla, “assolve dalla colpa e dalla pena, conseguente a tutti i peccati commessi sin dal Battesimo chi, sinceramente pentito e confessato, sarà entrato nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio – quella Maria che canta i potenti scalzati dal trono e gli umili innalzati – dai vespri della vigilia della festività di san Giovanni, fino ai vespri immediatamente seguenti la festività “, senza prevedere cioè alcun “pagamento”, in cambio del perdono.
Francesco viene ad Aquila dunque, anche per ribadire che, sia Celestino, che Bonifacio, sono parte della Chiesa, e Celestino, contrariamente a quel che scrive Dante Alighieri, non può essere ricordato come colui che “fece per viltade il gran rifiuto”, ma come colui che “ è stato testimone coraggioso del Vangelo, perché nessuna logica di potere lo ha potuto imprigionare e gestire” . In lui, sostiene Francesco, “ noi ammiriamo una chiesa libera dalle logiche mondane e pienamente testimone di quel nome di Dio che è la Misericordia “ , e la Misericordia è il cuore stesso del Vangelo: è saperci amati nella nostra miseria.
E, il giorno dopo la visita di Francesco, “Avvenire”, il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, si preoccupa di indicare che vi sono altre interpretazioni, del Canto di Dante: interpretazioni secondo le quali quei versi si riferirebbero a Ponzio Pilato, e non a Celestino V.
Francesco quindi, che non può essere considerato superbo uomo di potere, con la spada della sua autorevolezza, taglia via, d’un tratto, senza ulteriori spiegazioni, secoli di polemiche e sospetti, e anche secoli di isolamento aquilano, di scandalo, per quella Perdonanza che si celebra ogni anno secondo volontà di un austero eremita, in ideale possibile contrapposizione al Giubileo, che solo il Papa di Roma può proclamare, e ricompone così il quadro di una Chiesa unitaria e scevra di contraddizioni, de-storicizzandola.
E torce ogni senso di questo tempo trascorso al chiuso delle montagne, oltre le quali la Perdonanza non è stata ascoltata, proclamando che “ Aquila, da secoli, mantiene vivo il dono che proprio papa Celestino V le ha lasciato. E il privilegio di ricordare a tutti che, con la Misericordia, e solo con essa, la vita di ogni uomo e di ogni donna può essere vissuta con gioia…” e auspica che proprio la Basilica di Collemaggio “ sia sempre luogo in cui ci si possa riconciliare, e sperimentare quella grazia che ci rimette in piedi e ci dà un’altra possibilità; che sia un tempio del perdono, non solo una volta all’anno, ma sempre, perché è così che si costruisce la pace, attraverso il perdono ricevuto e donato “.
Il Papa indica una strada, per il futuro.
La strada per la costruzione della Pace, anche a partire da Aquila.
Una strada che non prevede patrocini comunali ad eventi organizzati, di lì a qualche giorno, da simpatizzanti fascisti, nascosti sotto le ali di fantomatici draghi, e amanti della guerra, visto che, tra i vari intrattenimenti, offrivano “dimostrazioni nell’uso di armi destinate all’assedio “.
E agli aquilani ricorda che “ chi ha sofferto deve poter fare tesoro della propria sofferenza e deve comprendere, che nel buio sperimentato, gli è stato fatto anche il dono di capire il dolore degli altri… Voi potete custodire la misericordia, perché avete fatto l’esperienza della miseria”.
Alza, per gli aquilani, l’asticella.
Non è sufficiente accogliere qualche profugo afghano o ucraino, telegenici e finanziati dal Governo, ma occorre proprio rivolgersi altrove: esattamente dove il nostro sguardo non vorrebbe arrivare.
Il Pontefice è andato via da Aquila consegnandoci un lascito.
Un intero anno di indulgenza plenaria se si seguano certe ritualità e preghiere e se si torni a convertirsi al Padre, riconciliandosi con Dio, attraverso la Confessione e la Penitenza.
Sembra il dono di un uomo che senta il proprio tempo concludersi, e prima che cali la notte, voglia provare ad offrire al maggior numero di persone possibili, una via per la salvezza.
Potrebbe diventare anche questo, un bel “brand turistico”.
Auguri.