Che padre sarebbe stato, Peter Minus ?
L’attore Timothy Spall, che interpretava il mago passato al “lato oscuro”, nella saga di Harry Potter, in “Cattiverie a domicilio”, è il padre di una delle protagoniste del film, ed è nella storia, il vero motore dell’intera vicenda.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, in una piccola cittadina inglese, sul mare, arriva una giovane donna irlandese, con sua figlia e senza un padre per la bambina. Vive sola, si comporta in modo molto libero, anche sul piano delle relazioni tra sessi. E’, evidentemente, una persona assai diversa, dalla generalità delle donne che abitano il paesino, impegnate a giocare a carte nei locali della “Associazione Donne Cristiane” del luogo; e, soprattutto, è assai diversa da Edith Swan, la figlia di Edward Swann ( Timothy Spall ), sua vicina di casa.
D’improvviso, Edith Swann, inizia a ricevere lettere anonime, piene di insulti e di riferimenti sessuali, che la turbano profondamente, e, con lei, la sua piccola famiglia devota: il padre, e l’anziana madre ( Gemma Jones che, nella saga di Harry Potter ( … ) interpretava Madama Chips ).
Dell’invio di queste lettere, viene accusata l’ultima arrivata, l’irlandese Rose Gooding ( l’attrice Jessie Buckley ), colpevole perfetta, pur senza alcuna prova. E, senza problemi gettata in prigione e destinata a subire un processo, al termine del quale, potrebbe perdere la custodia della figlia.
Sorridendo, amaramente, al crescente disvelamento della reale natura dei personaggi raccontati nel film, la storia incide con soave crudeltà sulla modernissima ostentazione di timorose virtù, a fronte di nascosti e privatissimi problemi, che hanno, in larga parte, a che fare con quello che, per tanto tempo, si è stati abituati a considerare “l’ordine naturale delle cose”: un ordine sociale fondato sulla sottomissione della donna, cui non è possibile, non adeguarsi.
Un ordine sociale nutrito dall’ostentazione di zelante cristianesimo e di caritatevole buon costume borghese, che nascondono inesplorati abissi psicologi di costante sopraffazione e riduzione a puro oggetto servizievole della donna, quand’anche fosse una propria figlia.
E spiazza, il film, per questa sua capacità di giocare costantemente sull’ambiguità delle parole pronunciate, che, mentre sembrano apparire formalmente impeccabili, sono in realtà, sempre, gelidamente violente e manipolatrici, e sempre dirette da uomini a donne, perturbatrici, di per sé stesse, dell’ordine sociale e, per questo, da tenere costantemente sotto tutela, con ogni mezzo, perché non sfuggano al controllo del maschio, e non mettano mai in discussione la sua visione del mondo e il suo ruolo nella società.
Il maschio, con l’unica eccezione dell’immigrato, giovane compagno della donna irlandese, dimostra costantemente la propria inettitudine, camuffandola per sapienza, grazie al proprio potere, ed agisce governato esclusivamente dal proprio osceno egoismo, anche quando questo significhi calpestare le persone intorno, specie se di sesso femminile.
Proprio mentre, invece, è solo una figlia di immigrati, poliziotta agente donna ( come si autodefinisce, per una parte del film, prima di guadagnare per sè stessa, semplicemente il titolo di “agente” ), che riesce a guardare la realtà con occhi liberi dal pregiudizio, ed inizia a cogliere le incrinature, e le contraddizioni della verità ufficiale. Ed è sempre lei, con l’aiuto di altre donne del Circolo Cristiano, capaci anch’esse di immaginare un altro mondo, oltre l’oppressiva influenza maschile, che individua il vero autore delle lettere oscene, che, nel frattempo, hanno allargato il proprio raggio d’azione, coinvolgendo, come bersaglio, decine di donne del piccolo paese sul mare.
Una storia vera ( dicono i titoli di testa del film ), più di quanto si possa pensare, che infila il proprio coltello nelle profondità dell’edificio piccolo borghese e borghese della quieta convivenza; un edificio tirato a lucido dalle pulizie femminili della casa, e tenuto in piedi dal lavoro servile delle donne; perfetta riproduzione casalinga della convinzione che la Legge, non sia mai, “Uguale per tutti ( e tutte )”, ma che il maschio, ancor più se potente e dotato di ruolo sociale, sia “più uguale degli altri”.
La storia ha anche un suo registro di commedia, giocato però sempre, dal conflitto, implicito ed esplicito, tra le parole e le azioni, libere, della giovane donna irlandese e il mondo impaludato dei suoi nuovi concittadini.
Mentre invece, la storia coglie gli accenti del vero dramma, quando quello stesso conflitto, alberga nelle timorate case dei fedeli cristiani, e nelle loro anime più profonde: quando l’accettazione della possibilità di contraddizioni, ed errori, e propri limiti, si scontra con la certezza apodittica d’essere sempre dalla parte della ragione e di poter fornire risposta ad ogni domanda che si agiti in noi, unita alla presunzione del controllo totale, su sé stessi, sulle persone vicine, sull’intera società.
Timothy Spall, offre una prestazione straordinaria, di un carattere torvo e meschino – magari persino più cattivo di un Peter Minus – così come Olivia Colman ( sua figlia nel film ), è capace di raccontare, con agghiacciante candore, il livello di introiezione, e inquinamento, cui è possibile arrivare, subendo costantemente una soperchieria manipolatrice sulla propria persona, cui non è mai consentito di seguire desideri e sogni.
Credo che, se qualcuno possa avere dei dubbi sui danni, che l’educazione repressiva possa produrre, questo film, con grande abilità, li tolga tutti; e va detto che la regista Thea Sharrock, di educazione teatrale, come informa Wikipedia, è stata capace di affrontare con leggerezza e spessore, insieme, un nodo fondamentale dei nostri tempi: quello che ha a che fare con la necessità, urgente, di ridefinire e riequilibrare i ruoli sociali, tra uomini e donne, perché è solo così, che tutta la società potrebbe giovarsene.
Film, da vedere.