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Sparsi versi d’impoesia – parte terza –

Feb 29, 2024 | 2024, Storie

Strano mi appare

il ritorno della luna in cielo

perché mai mi accade

di ritrovare un mio sogno andato.

Una macchia di luce dentro

il nero di un cavallo ombroso

che mi calpesta, correndo libero

mentre alzo le mani a mia difesa

e resto, nel buio di questa parte di mondo

che ti perde, luna, e ti cerca

scansando nuvole e mare.

Splendi luna, tra le mie braccia,

domani, ti prego.

********************************************************************************

Sono stato via,

senza andarmene mai,

da quelle canzoni raspose

come strade che non vogliono nomi,

ed ho febbre dei rami

e degli alberi e di film

ancora pieni d’ombre

e delle prossime albe

che canterò dentro di me,

ogni giorno che mi sarà dato.

Mi sono accorto d’aver fatto cose

di cui non ho vergogna

e di voler ancora dare

anche se non ci saranno mani

tra le mie.

********************************************************************************

Oggi è uno di quegli altri giorni

che dal cielo piove un giorno che sembra uguale

a tutti quei giorni sparsi che

nella memoria, s’impastano col fango e col vuoto

e fanno freddo, perché non ho di che coprirmi

la pelle nuda e le ferite, che hanno smesso

di diventare cicatrici e persino di colare

sangue e,

restano solo aperte, come un fiore vinto.

E proprio oggi capisco

quanto fosse sempre così,

tutto spento, quando non soffiavo vento

tra le foglie, e allora, oggi diventa,

finalmente, un bel giorno senza speranza.

********************************************************************************

Con te, avrei voluto traversare la notte,

e con te avrei strappato le vele al vento e

con te avrei contato ogni stella del cielo

e raccolto ogni granello di sabbia e

con te avrei salvato le luci di ogni candela

e, con te, avrei cercato le strade delle volpi

e percorso i voli di rondine e

con te avrei imparato ad essere uomo

io che sono sempre stato niente.

********************************************************************************

Ho odore d’arancia, tra le dita,

e rosso di melograno

in un piatto sbreccato;

sul cotto di un camino, petali di tulipano

sono caduti da un bicchiere piegato

e guardo, oltre il vetro, la notte sorella

che m’aspetta, per rimediare

del giorno al dolore.

Ma senza riuscire mai.

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Sono uscito a notte

per accarezzare gli angoli di strada fredda

quelli senza luci e senza sogni

e gli ho raccontato

l’odore di una partenza

il suono della guarigione

i preparativi di una festa

l’attesa di una parola amata

e m’è sembrato di coprirli

come dentro un letto caldo

un abbraccio forsennato.

********************************************************************************

Era aerea, nel camminare,

e i suoi piedi nudi non gualcivano

le foglie a terra cadute

e si scaldava l’aria, dei passi suoi.

Ero pesante io

più di un ramo spezzato dal vento

e ogni mio inchino

rompeva le tegole dei tetti.

Sfioravo le sue ali di farfalla

per imparare un suono antico

che non mi era dato

e ancora mi bacia quella musica.

********************************************************************************

Non li sento più gli orologi

che mi separano dalla nostra casa

e neanche immagino il bisogno

di arrivarci.

Ho nascosto il sonno alla notte

e il respiro al giorno

e il mio volto allo specchio,

ma non riesco a scomparire.

Le vedo ancora, le mie scarpe

affondare nella neve e pure,

andare avanti

mentre non ho più, un luogo dove andare.

M’asciugo, di ogni lacrima e sentimento

come un’erba trasparente e senza più

pioggia.

********************************************************************************

Eccomi

davanti alla mia notte.

Con un dito, ci scrivo sopra

tutte le parole che non mi hanno detto

e anche tutte quelle

che mai avrei voluto ascoltare.

Con una mano cancello i silenzi

e lascio la musica.

Abbraccio il buio che dentro mi scorre

e bevo, il freddo della mia vicina assenza.

Poi accendo un fiammifero

e mi brucio gli abbracci

che desideravo.

Eccomi,

entro nella notte

indifferente. Finalmente.

********************************************************************************

Mi capita, che la vita mi passi accanto

e, appena, mi saluti.

Ha scelto di non guardarmi negli occhi

nè di fermare il mio volto in uno specchio

nè di chiedermi, se dentro, io vi veda qualcosa

oltre il mio niente

oltre il mio amore per lei, vita

senza misura, e senza ali.

Rispondo, al suo saluto

e scompaio, ad un suo gesto della mano

che cancella

la mia vita.

********************************************************************************

Vorrei a piedi nudi camminare per la città

sentirne le lacrime che piango

e il vuoto che mi riempie le vene

e ferirmi vorrei dei chiodi che mi fermano.

Sentirei l’aspro asfalto di ogni rifiuto

che ingoio e cerco e

non sarebbero freddi i piedi miei

ma caldi di desideri e vino.

Ogni strada calpesterei

e il bruttame e l’erba sfinita

perché voglio ancora camminare

nonostante tutto il dolore mio.

Unica cosa mia.

********************************************************************************

In fondo ad un bicchiere di assenza

ci trovo il rosso del sangue

che ho scelto di avere ancora.

Sulle sedie vuote del mio tavolo

pesano le parole che non ti ho detto e

dalla finestra, il cielo vola via

lasciando squillare a vuoto un telefono.

Sto disegnando ombre con le dita

perché di luce, non me ne è rimasta

una scintilla neppure.

Ne ho abbastanza di freddo,

scalderà tutto il mio nuovo anno.

********************************************************************************

Con pazienza, e amore, do forma

al vuoto freddo che m’ingoia e

con attenzione precisa

ascolto il gocciolante silenzio

della paura che si spande

come un vento caldo,

senz’alberi o monti a trattenerne brandelli.

E impegno pongo

a ricercare sulla pelle mia i segni

dei morsi del male nero,

lividi, senza gioco, gialli

come una lancetta rimasta ferma.

Conto impaziente i giorni

che mi separano dal cuore

estratto dal petto, e guardato

seccarsi, finalmente.

********************************************************************************

C’era una strada,

che iniziava appena chiusi gli occhi

sul sole lento in cielo, d’estate,

nascosta dalle persiane ocra

dei pomeriggi di lenzuola bianche

e mani unite.

Dalla casa dei sogni arrivava alla stazione

senza bagagli e biglietti da pagare,

fino ai treni, presi per fuggire allo scirocco

e ai passi fermi che non volevano andar via.

Ora ha perso, quella strada,

le sedie la sera e i bambini fortunati,

ci sono giornali che rotolano via

e storie finite.

Per questo mi piacerebbe

spegnere l’orologio e andar via.

E di me, non avere pietà alcuna.

********************************************************************************

Salterei, dal tetto di un letto

per finire un altro giorno di silenzio,

avvolto in una coperta fredda

d’indifferenza setosa e morbida.

Cadrei a terra, col volto rotto

e col mio sangue dal naso

che nasconda il rossetto sulle mie labbra,

ma senza farmi male tanto

solo quello che basta a smettere

di camminare in tondo cercando

tutte le porte chiuse su cui ancora

potrò sbattere.

Proverei, a rialzarmi, come sempre

faccio, dopo ogni tradimento,

ma non stavolta forza saprei d’avere

nulla e non m’importa però.

È ora che finiscano i colori della giostra

di splendere al sole. Inceneriti.

Da un gran fulmine senza temporale.

Che io torni polvere, che io sia, la polvere

che non ero mai stato.

********************************************************************************

Le sento correre, le vene del collo,

per la fatìca di oggi,

che mi son rotto le unghie

a rampicarmi al cielo.

Senza successo e anzi

di più sono sprofondato

tra i carillon di giostra

senza riconoscere i miei ricordi

di bambino che guardava.

Arriverà il sonno, a portarmi nella notte,

dove s’accucciano i randagi

e dove le carezze non arrivano mai.

********************************************************************************

Non torno a casa,

vado a raccogliere la mia strada,

lontano, dai passi che conosco.

Né cerco farmaci

che mi guariscano dal male.

Guardo in alto, verso la luna

e saprò dove trovarmi.

È dove sono stato sempre,

senza giochi e volti amici,

in un angolo di marciapiede

ad imparare a camminare

senza nulla tra le mani.

Solo le mie parole,

in esse credo.

Altro non ho.

********************************************************************************

Cerco, luoghi dove nasceranno fiori,

tra le erbe arse dei monti

e pagine bianche colme di inchiostro

ancora da scrivere

e il rosso cerco

da cui emerga il corpo nudo

di un infinito desiderio

e dentro questa notte

non cerco più il sonno e la memoria placata

ma il mattino feroce

di luce ghiacciata,

mentre rompo a morsi la finestra

che mi separa dal mondo.

********************************************************************************

Era solo un sogno,

aggrappato a un ramo

e il vento l’ha sperso.

Tagliato, in mille foglie

seminate in strada, in terra,

tra le mani di un bambino.

Strappato, in scintille

che saranno fuoco.

Ridotto in lacrime di pioggia,

raggrumate in risacca di nuvole.

Era solo un sogno, il mio.

********************************************************************************

Tutto il vino, tutto questo vino del mondo,

di colore rosso, o porpora o ambrato,

o d’oro e anche di sangue scuro

senza un mare da nuotare,

tutto questo vino urlato dal vento,

schizzato sui muri,

sulla mia camicia bianca e le mani

e il volto, come una pozzanghera

che si contrae e respira,

tutto questo vino ho immaginato

coprirmi e farmi dormire magari

finalmente, gonfio come un sacco vuoto

di me.

********************************************************************************

Avevo una promessa di cielo

nascosta in un quaderno

e forse s’è persa tra le righe,

o senza abbracci s’è gualcita.

Adesso ho una notte senza stelle

e la salsedine m’ingrigisce una conchiglia

che non ascolta più il mare.

Metto le mani in tasca e me ne vado.

C’ho lasciato il cuore

in quel quaderno di parole frantumate.

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Un muro scrostato, incontro camminando

tra i sipari di luce dei lampioni

e le ombre dei miei passi e mi fermo.

La pelle d’intonaco slabbrata disegna

un volto di donna che guarda

oltre me e l’angolo di piazza lontano.

Sei tu, disegnata su quel muro

dai miei occhi spersi e sebbene

allunghi le dita, non tocco

quelle linee pronte a svanire

col primo vento, per non perderti

ancora, e sempre.

Riprendo la strada, sicuro tu

mi stia guardando ora allontanarmi

e non mi chiami.

E vorrei non voltarmi.

********************************************************************************

Inermi pomeriggi di gioco

dalla pioggia portati via

e dispersi, entro una finestra

a guardare il mondo, separato

dall’aria libera e dal desiderio

d’oltre andare sempre e mai

fermare il respiro e il cuore veloce.

Ho deciso d’uscire nel freddo

perché nulla mi porti via

il cielo basso di paura e la nebbia

ch’è foglia agli alberi e

questa terra bagnata

che odora di muschio e di tempo

che sarà ancora. Per me.

********************************************************************************

Avevo promesso, che non avrei avuto

vele nere al vento, di ritorno

al mio porto.

Avevo promesso che mi sarei fermato

sull’isola tra i gabbiani e solo

sarei rimasto al faro

per guardare sulle mura di città a notte

se tu passassi ancora

e guardassi, oltre il confine del mare.

Avevo promesso che in ginocchio

avrei pregato la notte di andar via

dai tuoi occhi.

E tutte le promesse ho mantenuto.

Per questo ora ho freddo,

coi piedi nudi nella sabbia

da solo, come un cane bastardo.

********************************************************************************

Niente mi difende

dalle mie mani fredde.

E niente mi difende

dal rumore dell’alcool e

nulla voglio che mi difenda

dalla semplice e linda indifferenza.

Sera, s’e’ fatta, anche tra le luci

che galleggiano sul mare del porto

e nessuna barca più rientra ora.

Sto seduto sul molo, coi piedi sospesi

ad ascoltare le corde tendersi sotto le onde

e dal fondo dell’acqua non mi difendo;

ci guardo il mio volto, deformarsi,

col vento uscito dagli orci,

portato via, dalla tempesta.

Da cui non mi difendo.

********************************************************************************

Dicono che il cuore si fermi

col freddo.

Si ferma il cuore quando

nessuno lo guardi.

S’allontana allora in silenzio

come un ramo spezzato

da arroganza metallica

e lascia colare linfa, e foglie,

fino a terra

fino al giorno che sa d’essere notte.

********************************************************************************

Poggio la testa su un cuscino e

sento respirare veloce il cuore

che scrive col sangue, su un fazzoletto

bianco, una favola da bambino

vivace, che sbatte e lacera,

la pelle e lascia arcobaleni

sui sassi, e corre, dietro un pallone

di cuoio rosso e blu, diventano

le labbra, fredde, come il ghiaccio,

sul naso, che piange, e cola, perché

s’è fermato il cielo, di andare

dietro le nuvole; draghi e fantasmi,

viste da terrestre fantasia, prima,

che io smetta, finalmente,

d’aver paura, a dormire, col mio cuore

veloce, pieno di niente.

********************************************************************************

Da qualche parte, farà caldo,

e ci saranno sguardi amichevoli

e risate, e mani che si tengono insieme.

Da qualche parte, ci saranno passeggiate aperte

e abbracci, che sciolgono il freddo.

E da qualche parte ci sarà vino,

e fame, e parole e risa.

Da qualche parte ci saranno storie e

senza spine fiori, e promesse.

Io sto sotto la luna che cresce

ho in tasca schegge di terra

e una corda antica.

Cerco una scala, per arrampicarmi

al cielo.

********************************************************************************

Certe volte, mi siedo, nel buio.

Provo a respirare piano

per non disturbare l’aria e

ascolto, ogni assenza che ricordo

e risale in me, come se potessi

raccogliere un ciottolo, dal fondo

della luna, nel pozzo.

D’essere stato chiuso, a chiave,

nel buio, ricordo, e le mura

avvicinarsi a me.

Aspetto il buio che non ha tempo.

Muovo la mano, e scrivo

le parole che vorrei ascoltare

e cancello, quelle che ho detto,

senza ascolto mai.

Ci trovo mie luci nel buio,

timide, fragili, incredule

a te le affido,

perché tu possa farle essere fuoco.

******************************************************************************************************

Poggio, i piedi nudi sul pavimento

e sento la sabbia scura d’inverno,

cammino, e il desiderio d’arrivare

nasconde il freddo.

Il mare feroce era solo una sfida

a scendere più al fondo, per trovare

acqua calma, appena spinta dalle onde,

il rumore restava lontano,

come un dolore in tregua.

Riemergere, per urgenza di respiro,

restituiva solidità alla paura e necessità,

alla riva salda.

Ora alla finestra buia avvicino le dita,

e resto separato dalle ombre, e non ho

luoghi che m’aspettino e rompo

il vetro, col sangue del mio orizzonte.

******************************************************************************************************

Da ridere di me, mi viene

da lasciarmi appeso a una sedia, mi viene

da andarmene via, mi viene

da ogni posto dove sia stato

da ogni strada dove abbia strisciato

e da ogni parola io abbia detto.

Solo il mare, mi terrei,

perché ci affogherò dentro un giorno,

come fosse una bottiglia di rosso

vino buono e caritatevole

con me, che nuoto, fin oltre

ogni mio respiro.

******************************************************************************************************

A volte, i rumori lontani

faccio finta siano l’annuncio che desidero,

una parola immaginata, una traccia

nell’erba, una carezza che rincorro.

Io lo so, che sono un tuono,

un vento, una caduta, o un albero

che racconta.

Ma mi piace illudermi,

mi piacciono le storie che

mi racconto.

Perché mi fanno andare,

fino a quell’orizzonte che mormora e

m’inganna. A restar fermo

di morire, mi pare.

******************************************************************************************************

Ci sarà un’ultima volta

che camminerò al buio

e un’ultima volta che

ci sarà una casa, ad aspettarmi e

un’ultima volta ancora, in cui

scrivere potrò le mie dita vuote.

E quando sarà

questa volta ultima io

lo saprò che è l’ultima,

come sapevo l’ultima carezza

che ho sognato, di ricevere.

******************************************************************************************************

È fondo il mare, di notte.

Scintilla di luna e d’occhi segreti

di preda in cerca.

Io son seduto, sulla sabbia bruna

ad ascoltarne le storie.

Di quell’amore che avevo,

perso tra le stelle e la schiuma

tra le mani mie che avrebbero carezzato

le spine anche, purché sue.

La fine del mare è una linea perla

solcata dalla luce del faro

ad ogni battito del mio cuore

che si ferma, aspettando

la prossima onda calda

che mi sommerga magari per sempre.

D’un amore che avevo

blu come l’ombra di una sorte avversa.

Le storie del mare pregano

alle mie ginocchia coi colori delle piastre

nelle chiese vuote coi legni

che odorano di salsedine.

Mi copro, perché non ho fuoco

né amore più da dare,

solo una bottiglia vuota

piena di baci che non ho dato e

la butto in acqua

perché trovi un’isola di maghe

e mi bruci, in eterno, questa sola

lampada che ho in me,

per tenere il buio lontano ancora

dalla mia via.

******************************************************************************************************

Del mio mattino scomodo, e freddo

ho orgoglio,

e delle mie mani semplici, e vuote

ho orgoglio

e anche dei sogni che non tocco più

ho orgoglio

e della mia fatica, piccola,

penso bene,

delle mie parole senza profitto,

ho piacere, anche se ignorate.

Del mio orgoglio, del mio piacere,

del mio bene, non ho cura alcuna.

Vivere, ora, è solo un fiore passato.

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Immagino, il sapore del cielo a notte,

trafitto dalla luna. E di una nuvola

che mi si spezza nel petto ascolto

il tuono.

E colarmi il sangue dalla fronte sento

per il colpo d’una spada e

sulla schiena mi brucia la frusta

del vento, acceso.

Sola la bocca resta secca

d’acqua e di sogni.

Potrei tenermi tutto dentro

e invece mi urla

questo dolore del vivere

e lo vado a posare

sulla soglia di una porta chiusa.

Che resti li. Da me lontano.

******************************************************************************************************

C’era una schiena di luna,

oltre il monte, nel cielo lontano

e io non potevo toccarla.

Saliva da levante,

come un sole notturno

che aspettava i lupi,

e non potevo toccarla.

Aveva luce sabbiosa

dietro le nuvole pigre

e oscurava le stelle e

io, non potevo toccarla.

Vado a nuotare, nel mare di notte

quando è marea alta e tempesta

ci sarà un’onda pietosa, che

prima d’arrendermi all’acqua

mi porterà fino alla luna

per toccarla, e poi respirare

più, mai.

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Di notti che non devo pensare

è piena la mia borsa

e pesa sui muri

che mi sbriciolano le mani.

Certi odori di mais

non posso più cercarli

tra i monti rossi di tramonto insieme.

Certi pezzi di carta

mai più tagliati infinitesimi

da lasciare nel vento

non posso ricomporli che in me.

Misuro solo la distanza

che mi separa dall’alba

che ignoro, e che indifferente

mi porta alla luce, spenta.

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È solo un raggio di sole

che arde il buio nella stanza

entra di sbieco, da una finestra

e tra i rami,

e posa sulla mia mano.

È tutto quello che ho.

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Non mi va più, di contare

i pomeriggi andati via e

le stelle che non trovo, di giorno.

E non mi tengo più, un dito sul collo

per sapere se ho un cuore.

E cammino neanche perché

non ho dove andare.

So solo che non mi arrendo

e non mi nascondo

alla corda che si stringe.

******************************************************************************************************

Cammino solo

per strade che non ricordo

tra fogli di carta mossi dal vento

e persone che non mi guardano.

Le luci, le insegne, i fari delle auto

moltiplicano ombre veloci

in terra e sui muri

e io non ho un volto più.

Non voglio sapere,

dove, forse, vado.

In tasca ho un vecchio biglietto di cinema;

volevo guardare ancora, quel film con te.

Vorrei restituire tutto quello che ho avuto,

e restare senza il nulla che sento,

per scrivere ancora,

sulle pagine buttate in strada.

******************************************************************************************************

Era un odore di terra smossa

e passi pesanti

che rompevano pietre e radici antiche,

e mi lasciavano nuda la pelle

sotto un cielo colmo

di sole freddo e senza vento.

Avevo corto il respiro

e le parole perse in gola,

mentre guardavo le braccia dei monti

stringermi aspre, e severe, e lontane.

Cercavo un albero,

di corteccia fragile,

cui raccontare tutta la mia tristezza vera

e dove stridere le mie mani,

sino al sangue, che almeno a lui

desse nutrimento.

******************************************************************************************************

Ho gelo, alle mani vuote

ho fame, e arde la gola di sete

e cammino, tra i ruderi

dei miei pensieri travolti.

Sorrido alla luna nascosta

e cerco stelle sperdute

sulle tegole dei tetti caduti.

Ci sarà dietro un angolo

un abbraccio

che mi sciolga le ginocchia

e finestre che s’aprano

e parole che io possa sfiorare.

A camminare continuo

fino alla prossima alba senza sogni.

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Me lo tengo, un sorriso

per quando romperò uno specchio

senza ferirmi il futuro.

E me lo tengo per quando cadrò dalle scale

senza rompermi il cuore.

Mi tengo un sorriso per i giorni

scoscesi, quando non saprò salire al cielo

e nemmeno toccare il mare.

Mi tengo un sorriso per me,

per regalarlo,

quando qualcuno ne avrà bisogno.

O per lasciarlo in un angolo

un sorriso almeno, buio non fa.

******************************************************************************************************

Avevamo camminato insieme

su quella strada antica

affacciata su una spiaggia scura

dove il sole tramonta sanguinando,

sulle corde che tengono le barche ferme

a carezzarsi tra loro, in quiete.

E ora cammino, mentre il mare

mi minaccia, e la notte odora di tufo

e conchiglie su quella sabbia

che sotto i tuoi occhi,

sapeva di fiori e corpi infiniti.

Ci vengo a cercare il tuo nome

che avevo scritto su una pietra

che m’ero tolta dal petto.

Lo ritrovo su una vela

gonfiata dai miei respiri e

scolorata dalle mani che l’han tenuta

per non lasciarla strappare dal libeccio aspro, e ci piango sopra.

Perché è l’unica parola che ricordo.

******************************************************************************************************

Mai ho saputo

da dove arrivino tronchi d’albero

nudi sulle spiagge d’inverno

scavati d’acqua e sale,

i rami mozzi alzati al cielo

in preghiera isterilita.

Strappati forse da un fiume gonfio

e trascinati al largo dal capriccio

di correnti cieche, e poi ancora

come vele strappate, spinti

da venti fuggiti dalle caverne

di illusioni finite, abbandonati sulla rena

a macchiarsi di sole bruciante

prima di tornare polvere, col tempo

di giorni indifferenti.

Li ho sempre carezzati

quei monconi d’albero senza gemme e nidi

come fossero il mio volto allo specchio

tagliato dal dolore

invisibile infine, col primo buio.

******************************************************************************************************

Desiderio è una porta chiusa

da cui filtra alba e battito di cuore,

lontana, e che solo una mano

può aprirmi mentre corro

urlando la mia pelle

urticata dalle giornate facili

e placide, che m’avvicinano

la fine.

Desiderio sei tu

da mille e mille anni prima

che io nascessi

e decidessi di scomparire

ogni volta che pronuncio il nome tuo.

Mio.

******************************************************************************************************

Avrei voluto oggi

fosse già domani, e poi ancora

fino a te.

Avrei voluto oggi

sentire sulle dita

le tue parole di resina profumata

e cancellare il deserto

del tempo attraversato.

Avrei voluto oggi

non avere la paura che ho

e avrei voluto sentirmi

primavera nel sangue

che mi spezzi le ossa e

le rinasca.

Avrei voluto.

******************************************************************************************************

Guardo il cielo buiarsi

come un respiro che diventa quieto

dopo una corsa lunga

per giungere finalmente

ad un prato aperto e attendere

che arrivi la luce di desideri lontani

d’un abbraccio prezioso

di occhi che mi guardino e

di luna che consoli

l’albero di mele nudo ancora

e ritorto, senza frutti di peccato

gioioso e dolce.

Ho addosso la fatica di attendere

che ci sia un giorno

dopo quest’altra notte che arriva

e non avrò sonno e

sarò a spingere l’alba

perché mi porti da te.

******************************************************************************************************

Sono questa terra

appena di pioggia bagnata

e sete ancora mi consuma

di te.

Questa terra, sulla pelle

annerita poco, dal cielo avaro,

cerca in sé i semi

che fecondino l’aria e

plachino, i denti d’angoscia arrotati.

Se camminassi tu su questa terra,

nudi i piedi tuoi,

s’ascolterebbe vento che apre porte

e sbrana l’acciaio delle catene e

mi libera, di notte eterna.

******************************************************************************************************

Dal tempo della luna sono separato

e le gambe mi bruciano

di tensione, come un vetro di finestra

sbattuto, e sbattuto ancora dal vento.

Ho iniziato a contare il tempo,

da quando ho dolore.

Amico mio dolore

che mi rombi nelle orecchie

e mi tremi le mani.

Sono nato mentre il cielo

si chiude e raccatto da terra

ogni mia parola e in tasca,

la conservo, per non scomparire io

senza peso, senza più nulla.

Non hai luce, dolore,

ma io non sono buio.

******************************************************************************************************

Fuori

da questa stanza c’è

una strada veloce di curve buie

e stelle, tra i rami pietrosi.

Ho chiuso gli occhi

per graffiarmi la pelle

senza profumo e senza sogni.

Sono stanco.

Mi macina dentro, il silenzio

della mia musica a volume alto,

vado a scegliermi un sipario

da cui entrare nella notte.

******************************************************************************************************

Se solo potessi

essere i miei occhi

quando ti guardano

o la mia voce

quando chiama il tuo nome

se solo potessi essere

le mie mani sul tuo seno

se solo potessi essere

le labbra mie

che ti sfiorano,

sarei davvero io e

non i sogni che m’accompagnano

ogni giorno dentro la mia vita.

******************************************************************************************************

Ancora un po’

e finiranno, questi giorni miei.

Questi giorni in cui nulla

merito e sono.

Me ne tornerò dentro le onde

con mio nonno a remare

fino al tramonto.

Avrò le mani piagate di salsedine

e gamberi e corda

e il cuore leggero.

Affonderò dentro l’orizzonte nero

col maestrale bianco di schiuma

e gabbiani affamati

e finalmente,

sarò solo una cosa inutile

come un sughero galleggiante

staccato dalle nasse

sulla corrente che porta via.

******************************************************************************************************

Sempre, voglio avere occhi

di giovane innamorato,

e di indifeso bambino,

e di marinaio di infiniti mari,

e di donna che s’incanti e

e di vecchio come io sono.

Per imparare favole nuove

e capire i passi che incontro

mi vengono.

Per chiuderli, alla fine

dentro un bacio che mai fugga da me.

******************************************************************************************************

Lo salto oggi

e vado dritto a domani

a mai, a sempre,

a un giorno qualsiasi

pur di guardarti

da lontano, da vicino

pur di correre da te.

Subito capisco

che non è tempo,

senza te il tempo.

Me ne vado a dormire

appena posso,

perché ti sogno

e perché sei il mattino,

quello di domani

e quello di oggi e ieri

eri con me

dentro di me, almeno

come ogni istante che esisto.

E anche quando avrò deciso

di non esistere.

******************************************************************************************************

Sfiorita, una rosa accarezzo

i colori piegati

ad un sole disceso

ombrati di tempo

e perdute occasioni.

Ma ho sempre profumo

tra le dita e

morbidi i petali

m’innamorano più ancora

che primavera.

Perché siamo respiro, insieme.

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Sono quest’albero

arido per l’inverno colmo di lacrime

e senza pioggia blu e fresca.

Ho la scorza ferita, scomposta,

dall’indifferenza spinosa e ghiaccia.

Provo,

ad affondare nella terra le mie radici

per fame e dolore di coltello,

e a scardinare il ferro che mi recinta.

Tocco la luna coi miei rami,

aspri, la notte, invocando.

E prego

fulmini e vento

di schiantarmi.

Perché non più

frutti ho da dare.

Né occhi coperti da piume

di volo appena nate.

Nulla, ho.

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Nulla puoi fare

per cambiare i pensieri miei.

Sono miei adesso e

non riscaldano le mie mani

mi cadono addosso

come un sole che piove

dolore.

Che belli, i pensieri miei

fioriti sotto una pietra scura

e dimenticati.

Spersi, di tarassaco senza terra

insolenti,

sorridono al buio, prima di

spegnersi.

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Io non so, se gli uccelli cantino

veloce una primavera che arriva,

la musica loro a me

è il tuo nome tra le valli

del mio morire

e la tua pelle e

le tue vene e ferite

che sono tutto il respiro

che posso avere.

Il vento non ne sperde la musica,

ma ne nasce ogni battito

del cuore mio.

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Era un angolo di strada vecchia,

i muri delle case erano geografie

d’umido e frasi spray.

Io ci stavo fermo e solo

a guardare i muschi crescere.

Avevo tempo e nessuno

che m’aspettasse.

Guardavo linee di cielo

oltre i tetti di strade nude, e strette;

e non c’erano mai stelle

dove erano i miei occhi.

Eppure lì

senza nessuno e nulla, tra le mani

m’ostinavo a vivere.

Una malattia antica

che non conosce vergogna o orgoglio

anche quando è orfana d’amore.

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Quando spegni il cielo

non arriva l’alba,

ma solo un foglio di calendario

grigio, e senza attesa di te.

Oltre le finestre

tutto è ancora inverno

come nelle mie vene bucate.

E io non ho

coperte abbastanza

per proteggermi dal buio.

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Oggi il cielo

è un pane senza sapore

e non ne nasce canto d’uccelli in inverno

affamati, ma di sole aperto

odoroso di mani unite

e danze che scaldino l’aria.

Devo trovare

un caffè che ti goccioli dalle labbra

e che possa io cogliere

con le dita tremanti sullo stelo d’un fiore

che non voglio tagliare

perché la musica metta disordine

tra le nuvole e scopra il tuo seno luminoso.

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Questa terra indurita

da mesi di cielo agro

è la mia pelle stanca

di steppi aridi e pietre

taglienti, crepate,

da lame d’aria sabbiosa

e calda di mare infecondo.

Non ha carezze, mia pelle.

E piove ora

da stento cielo

che non mi disseta

né placa, il profondo delle ferite

che ogni giorno

il silenzio mi infligge.

S’avvicina mia notte pietosa

col suo lino di telaio antico

per me senza requie mai.

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Rubami tutto, buio

le speranze che non ho

le spezie senza più odore

il rumore del mio cuore

le mie mani bagnate di mare

i miei occhi che non ti guardano.

Permettimi solo

di scrivere ancora i giorni

rifugiato in una casa di legno

tra i monti e i cavalli

al caldo delle tue braccia.

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Sono io, anche qui, sono io.

Mura strette e letti scomodi

finestre lontane, e odori che

più non conosco.

Ma mi tocco

e sono io.

Senza specchi e vento da sud

anche se mi sciolgo

come una candela vecchia

sono io.

E mi troverò il mio mare

da nuotare.

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Incontrami, nella stanza dei pesci volanti

tra i coriandoli rossi sul pavimento sparsi

e tienimi per mano sulla musica di violini

zingari, e balliamo al fuoco della notte e

del liquore aspro dal sapore di muschio.

Si solleva da terra il girotondo

dei nostri abbracci e supera

ogni peso di catene e rimorsi

e il vento comanda docile

di portarci sulla cima dell’alba.

Perché il sole impari

come tu colori il mondo.

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Sto imparando a chiudere gli occhi

ad ogni mio inutile sogno

e ad ogni goccia di pioggia

che dai fiori mi sale in gola.

A me basta chiudere gli occhi

per camminare fin dove

vorrei essere.

Non cado, e non trovo ostacoli

e nessuno scappa

senza guardarmi.

Non voglio vedere più

il tempo girarmi intorno

e il desiderio bruciarmi dentro

in questa notte eterna.

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Era vuota la piazza

le strade ferite, non suturate, ancora

e camminavo senza cercare una porta

che mi facesse entrare;

quanta nebbia avrei voluto

per non trovarmi più mai.

Dicono ci attraversi la vita

prima del tramonto,

presto non avrò vita più da cercare

prima di dormire tra foglie di limone.

Ricordo solo le tue braccia

e mi perdo tra le ombre

di liquori e bar.

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Ieri

tornavo dove vivo

tra cose provvisorie e mura

che non conosco ed era

come oggi

che solo conosco

il mio tempo provvisorio

e non ho mura

su cui scrivere le mie parole

secche, asciugate

da nuvole di deserto

muto

come un grido che non posso

pronunciare e mi preme

dove il petto fortissimo

pulsa e brucia

e duole.

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