“ Ho visto cose che… non so spiegare…”
Indiana Jones, al cinema, omaggia il replicante Nexus 6, Roy Batty ( ” ho visto cose che voi umani… ), suo antagonista, in Blade Runner. Sì, perché Harrison Ford, travalica la storia, ed il personaggio che interpreta, e riassume su di sé ogni sua precedente rappresentazione, producendo una identificazione totale tra attore, e ruolo interpretato.
E, allora, diventa lecito, nell’ultimo film ( forse ), della saga di Indiana Jones, rendere omaggio ad un suo avversario, e all’attore che lo interpretava, e che non c’è più.
Harrison Ford incarna in sé personaggi iconici, del film d’avventura, che non possono pensarsi, per ora, senza il suo volto. Per un attore, forse è una fortuna, o, magari, una condanna.
Ma, sia Ian Solo, che Indiana Jones, hanno, dalla loro parte, non solo l’invincibilità dell’eroe, bensì anche una sana dose di ironia, e di autoironia, che li salva dal prendersi troppo sul serio; dal diventare stucchevoli. E’ la cifra della loro modernità.
( D’altra parte, la Disney, proprietaria del marchio, ha deciso che, ad incarnare Indy, nei fumetti, non fosse il Topolino tutto d’un pezzo, ma un inedito quanto splendente e sorridente Indiana Pipps… ).
Credo sia legittimo, coltivare varie perplessità, quando si insista per tanto tempo su un personaggio, per di più interpretato dallo stesso attore ( “ I predatori dell’arca perduta “, risale a oltre 40 anni fa… ). Il rischio, è quello di raccontare sempre la stessa storia, magari infarcendola di effetti sempre più speciali, e di costruire trame sempre più mirabolanti, e sempre meno accettabili, sul piano, almeno, di un realismo di minima.
O, per converso, invece, le persone hanno voglia di ritrovare, sempre in chiave diversa, grosso modo sempre gli stessi riferimenti. Che li rassicurino, anche quando sono masse enormi di serpenti ( stavolta, anguille ), dalle quali fuggire intoccati, o brulicare d’insetti che s’insinuino nei vestiti ( stavolta, all’appello, son mancati solo i topi… ).
Il film d’avventura, insomma, per funzionare nella versione del professore archeologo, sembra debba percorrere alcuni luoghi comuni; alcune pietre miliari, da toccare, ogni volta.
Una partner femminile che non si comprenda mai bene, se giochi in proprio, o, addirittura, con gli avversari dell’eroe; un eroe, appunto, circondato da vecchi sodali, disponibili per lui a correre ogni rischio immaginabile, in nome di una idea salgariana di amicizia; un bambino, che magari abbia specifiche abilità e una infantile incoscienza che lo porti ad affrontare ogni catastrofico rischio possibile; un “villain”, un cattivo cioè, senza sfumature: spietato, cinico, ambiguo e irredimibile ( e Mads Mikkelsen interpreta qui, il suo ennesimo cattivaccio bello, e perfetto per essere sconfitto ); inseguimenti improponibilissimi; sparatorie dalle traiettorie sempre sfioranti il protagonista e, infine, qualche elemento di soprannaturale stravolgimento della consuetudine, che però scompaia sempre, alla fine della storia, lasciando il nostro mondo tranquillo, nella sua ignoranza delle straordinarie evenienze che, invece, animano la vita di un docente universitario, stavolta spedito in pensione.
Ed è esattamente quella dose di aporia, che apre il desiderio a che sia possibile, quel che viene raccontato, ad essere il vero ingrediente segreto della storia.
L’arca dell’alleanza; le pietre che assicurano fortuna e futuro; il sacro Graal nientemeno, e gli alieni. Tutte storie che possono viaggiare sotto la sorveglianza della consapevolezza. Storie che possono avere la loro dose di realtà materiale, anche quando non siano ufficialmente visibili. Storie cui credere senza sensi di colpa, ma anzi corroborando quell’idea parecchio diffusa ( talvolta a livelli patologici ), che, in fondo, la storia del mondo non dovrebbe essere tutta così chiara e spiegabile, e delle sacche di mistero esistano, ed anzi siano proprie quelle, a dare un senso al nostro, fin qui, percorso umano.
E nel suo ultimo capitolo, Indiana Jones, incontra la sua versione del multiverso Marvel ( sempre un marchio di proprietà Disney ), nella forma più coerente col suo proprio retroterra: quella del viaggio nel tempo.
Il cattivo, vuole riportarci ad Adolf Hitler; non per aiutarlo, ma per sostituirlo. La storia, lo ha reso edotto di tutti gli errori commessi; di tutte le scelte sbagliate.
“Il quadrante del destino”, sembra suggerirci che è possibile un simile percorso. Esattamente perché si dovrebbe sapere, quali siano gli errori da non commettere, il disegno di governare da soli il mondo potrebbe avere successo. E potrebbe avere successo con la complicità inconsapevole di agenti segreti governativi chiamati a difendere l’“ordine”. Il rassicurante ordine borghese americano, che non tollera le manifestazioni contro la guerra nel Vietnam, o chi fornisca informazioni alla libera stampa.
Ed è singolare, che si torni al nazismo.
Come se, nel mondo, vi fosse la consapevolezza che con quel grumo ideologico, i conti non siano stati fatti fino in fondo.
E non lo sono stati fatti, nella realtà, visto che gli scienziati nazisti, impegnati nella ricerca missilistica, furono arruolati dalla NASA per i suoi programmi spaziali; che è esattamente lo status del cattivo del film.
Il buon ordine borghese, si serve anche del nazismo, per combattere il nemico supremo e su di esso avere supremazia: il Comunismo.
E non è forse quello che accade sempre ?
Non accade forse da oltre cento anni, che il capitale si serve degli assassini spietati del fascismo, a tutte le latitudini, per non cedere nulla ai lavoratori, alle lavoratrici, al popolo ?
Forse, succede persino oggi. Persino adesso, mentre l’arroganza del potere va in Parlamento a raccontare che è legittimo derubare le persone, aggirare o eludere le leggi, e percepire risorse pubbliche, purché si sia politicamente coperti, e purché sia chiaro che, per alcuni, le Leggi non valgono.
L’avventura ha un suo fascino, forse eterno, per l’uomo.
La lotta per raggiungere un obiettivo, un sogno. I contrasti che segnano questa lotta, ed il suo esito finale. Forse, come uomini, abbiamo bisogno di queste storie; sicuramente, abbiamo bisogno di ascoltarle e vederle, magari sul grande schermo.
Ed in questo film, tutto sembra tenersi, e tutto sembra rimandare ad altre storie, ad altri momenti.
Indiana Jones ritrova la donna che ha sposato ( sempre Karen Allen, anche lei, con indosso i segni del tempo trascorso ), e con lei rivive il momento in cui s’erano avvicinati e riavvicinati in passato. La citazione insieme, di una vita trascorsa inseguendosi per il mondo, e citazione nel contempo di un altro film della saga, stimolando, per questa via, quella costruzione di mondi fantastici, che ha i suoi esegeti, i suoi cercatori di preziosità e particolari nascosti, la sua mitologia che si autoalimenta, e che persino muta la percezione di luoghi reali.
S’attrezzino, a Siracusa, agli assalti all’orecchio di Dioniso. Magari, finalmente, la tomba d’Archimede, verrà scoperta davvero.
L’ultimo Indiana Jones, mi pare migliore del penultimo, ma inferiore al terzultimo, che pure, era superiore ai primi due, ma forse non al primo, che, comunque, lo ha rivelato al mondo.
Personalmente, sarei contento di un Indiana Jones, formato James Bond. Di materia, ce ne sarebbe.
P.S.
Harrison Ford, nelle scene finali del film, ripreso a torso nudo, stabilisce un nuovo standard. Verrebbe da baciargli i bicipiti.
Per chi a 81 anni volesse presentarsi sullo schermo, sarebbe difficile essere da meno.
Siete tutti avvisati.
Io, non competo. Nemmeno a 18 anni ( invertendo il numero 81… ), potevo competere.