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Insegnare Musica, è una durissima corsa piena di ostacoli infidi.

Gen 9, 2025 | 2025, Storie

Esistono parole italiane, usate in tutto il mondo, con il medesimo senso che noi attribuiamo loro.

Sono le parole della musica: “cantata”; “andante”; “opera”; “concerto”; “violino”, etc.

La grande musica italiana ha saputo in passato conquistare l’egemonia nel mondo, fino al punto da codificare, con le proprie parole, una serie di concetti e di realtà tecniche, che tutti pronunciano con la nostra lingua.

Ma qual è, lo stato della musica italiana oggi ? Lo Stato investe nella formazione, per proseguire, ed innovare, una tradizione secolare, capace d’essere arte, e cultura, riferimento per tutto il pianeta, quando ci si voglia accostare alla musica ?

Certo non è facile, rispondere a queste domande; ma, forse, potrebbe essere possibile formarsi una opinione raccontando la storia di una persona che, della propria passione per la musica, ha saputo e voluto fare una scelta di vita.

E non è mai facile, scegliere di dedicare sé stessi ad una forma d’arte, la cui capacità di consentire il sostegno alla vita materiale, è, oggi, particolarmente labile.

Ancor più complicato, e pesante, è scegliere di dedicare i propri studi alla passione della nostra vita, se questo può avvenire solo contando su risorse familiari, quando la famiglia è una famiglia meridionale ( composta da genitori e tre figli ), in cui entra solo lo stipendio del padre, per il mantenimento di tutte e di tutti. E ancor più difficile, anche per la propria coscienza, seguire questa passione, ed impegnarsi per essa, solo lontano dalla propria terra d’origine, che non offre prospettive o possibilità.

Studiare al Conservatorio, di questi tempi, non è la stessa cosa di quel che avveniva nel recente passato, quando il corso di studi, per arrivare al diploma, durava dieci anni: oggi, la normativa è molto meno selettiva, e consentirebbe di arrivare agli studi accademici – che sono composti da un triennio, completato da un eventuale ulteriore biennio – senza una adeguata formazione musicale precedente, col risultato di aver abbassato complessivamente il livello delle competenze.

Insegnare al Conservatorio, di questi tempi, significa essere entrati in un sistema che, per effetto di Circolari Ministeriali, consente ai singoli Conservatori di tutta Italia, una discrezionalità pressochè totale nella scelta di chi reclutare, utilizzando a tal fine, Bandi di Istituto, opportunamente tarati e costruiti, per premiare chi sia stato scelto, antecedentemente, quale titolare di una cattedra, o di un incarico, persino quando apparentemente secondario, pur se, comunque, particolarmente impegnativo ( come può accadere per esempio, per il ruolo di accompagnamento al pianoforte, quando lo strumento che si studia sia un altro, ma si debba eseguire pubblicamente una musica che preveda l’accompagnamento, appunto, di un pianoforte ): ed in questo caso, può venirsi reclutati con contratti di collaborazione, sempre sottoposti a revisione e “insindacabile giudizio”, che prevedano una paga oraria anche di soli 15 euro, per un totale di massimo 250 ore all’anno di impegno ( il che darebbe luogo ad un reddito annuo di circa 3700 euro ).

Tutta una serie di meccanismi normativi, sono così posti in essere per consentire, da una parte, un potere di cooptazione, per chi debba decidere del reclutamento, e, per chi voglia spendersi nell’insegnamento della materia, una precarizzazione complessiva dell’impiego e delle prospettive, che è, prima di tutto, uno strumento attraverso il quale si esercita un potere reale sulle persone, talvolta, come scrivono i Bandi, un “potere insindacabile”, non sottoponibile cioè a nessuna revisione del giudizio, anche in presenza di marchiane scelte di favoritismo.

La persona di cui accenniamo la storia, dopo il diploma, inizia un percorso di esibizioni all’estero, ed anche in Italia ( dove è retribuita “in nero” ); il percorso prosegue attraverso collaborazioni con istituzioni universitarie, e con enti musicali nelle orchestre.

Si tratta sempre d’impegni temporanei, e frammentari, spesso scelti per la vicinanza alle proprie aspirazioni, piuttosto che guardando alla convenienza economica delle offerte.

E si tratta sempre di tempo trascorso lontano dalla propria terra d’origine, anche grazie alle risorse del sostegno economico familiare, che integra necessariamente quello che è possibile guadagnare con modalità incerte d’impiego.

Accade persino che, al primo incarico di collaborazione in Conservatorio, a Bolzano, l’Istituto non provveda al pagamento della contribuzione dovuta, ed eroghi una paga neppure sufficiente a coprire le spese di viaggio dalla propria residenza, fino alla sede dell’insegnamento. .

Con l’inizio del proprio impegno lavorativo, nell’ambito delle possibilità offerte dall’insegnamento nel Conservatorio, diviene chiaro che la “normale vita” lavorativa è innanzitutto legata ad un sistema di reclutamento che non premia sempre le competenze ed il curriculum, ma che troppo spesso invece alimenta un sistema di poteri e di clientele.

In questo sistema si crea conflitto se, nonostante le accortezze, un Bando di Concorso, obblighi comunque a reclutare una persona, convenientemente titolata, che provenga però da altre esperienze e da altri territori. La persona di cui raccontiamo fa le sue esperienze in vari territori, fino ad approdare ad Aquila, dove, al Conservatorio, prima lavora come “artista”, poi con contratti di collaborazione, e, infine, con normali contratti di lavoro subordinato, ma temporanei, esibendosi, nel contempo, con istituzioni musicali della nostra città.

Ma neppure ad Aquila, è possibile raggiungere una reale ed effettiva indipendenza economica, ed è sempre l’aiuto familiare a fare la differenza e a consentire la normale vita quotidiana.

Nel nostro Paese, anche per le persone particolarmente qualificate, si sperimenta e si vive dentro il cosiddetto “lavoro povero”: un lavoro cioè che, pur impegnativo e frutto di anni e anni di studio e di pratica, non consente autonomia ed indipendenza economica e che arriva, al massimo, ad una soglia di sopravvivenza frustrante e giustificata solo da un sistema che scarica sui più deboli, ogni contraddizione ed ogni esigenza di risparmio economico, finalizzato ad un qualche profitto, o, in alcuni casi, anche alla semplice sopravvivenza del committente.

Nel campo specifico della Formazione, e dell’Alta Formazione, quanto può essere demotivante un meccanismo che, oltre a non consentire retribuzioni all’altezza della qualificazione, obbliga a legarsi, o a sentirsi comunque condizionati, da un sistema di reclutamento discrezionale e condizionato da logiche che nulla abbiano a che vedere con il merito e con le esigenze didattiche degli studenti e delle studentesse ?

A tutto questo, s’aggiunga che, nei fatti, non si può scegliere la propria destinazione di lavoro, ma ci si deve adattare, quando possibile, alle occasioni che si aprono; alle possibilità che, dall’altro capo d’Italia si creino condizioni favorevoli all’impiego, cui si debba rispondere, magari solo per poter acquisire punteggi e titoli utili alle graduatorie di un eventuale ed incerto passo successivo.

Da Aquila, quindi, si deve accettare un insegnamento in Calabria, e, poiché dal punto di vista economico, la retribuzione cui si avrebbe diritto è insufficiente a consentire di andare a vivere dove si insegna, si deve aprire una trattativa con i vertici di quel Conservatorio, per consentire di raggruppare l’orario di lavoro e permettere, ogni due settimane, di svolgere due o tre giorni di insegnamento insieme, in modo da poter continuare a vivere ad Aquila, per recarsi poi, viaggiando nei giorni previsti, ad insegnare così lontano.

Si vive tanta speranza, e tanta mortificazione insieme, quando a diciotto anni ci si diploma al Conservatorio in “pianoforte”; a venti ci si diploma in “organo”, e, ben dopo i quarant’anni, finalmente, si riesce ad entrare in Conservatorio, con un contratto vero, anche se, sempre molto lontano dalla propria terra d’origine.

Ed in questi anni, si matura anche, per averlo toccato con mano, il disinteresse dello Stato italiano ad investire, complessivamente, nel sistema culturale-artistico-formativo della musica; quella musica che, nel mondo, parla italiano; e si matura la consapevolezza che bisognerebbe avvertire gli studenti, che la strada da loro intrapresa, ben difficilmente, in quell’ambito, consentirà loro di immaginare una vita, un futuro, all’altezza degli sforzi che vengono, o dovrebbero venir, richiesti loro per completare la loro formazione.

E si constata persino, come, mentre all’estero, se un artista proponga sé stesso, per un Festival o per una esibizione, viene ascoltato e posto sotto esame, e se merita, selezionato; mentre invece in Italia, si può aver eventualmente diritto all’ascolto, solo se convenientemente “presentati”, o se, in alcuni casi addirittura, si paghi, per la possibilità d’esibirsi pubblicamente, e fare così, anche curriculum.

Ci vuole davvero una salda passione, e anche l’aiuto, troppo prolungato, della propria famiglia, per sopravvivere a percorsi di questo tipo, mantenendo aperta la speranza che, un giorno, le cose possano mettersi meglio.

Credo che non consideriamo mai abbastanza, quanto le motivazioni di un singolo insegnante, possano fare la differenza per la sua capacità, ed entusiasmo, nel trasmettere un sapere prezioso, e quanto esser capaci di preservare, quelle capacità ed entusiasmo, dal logoramento di condizioni materiali incerte, sia essenziale per consentire percorsi qualitativamente alti di insegnamento/apprendimento.

Tutto affoghiamo insieme, invece, in una logica di miserabili compatibilità economiche ( c’è sempre qualcosa di più importante della Formazione, su cui investire: tanto, chi può, integra i percorsi formativi pubblici, con costosi insegnamenti privati ), sulle quali si costruiscono piccole e vessatorie condizioni di potere, in cui è chiaro solo che si debba essere subordinati a qualcosa che nulla abbia a che vedere con gli sforzi fatti nella propria vita.

Questa storia, finisce bene, finalmente con un impiego stabile, sia pure sempre lontano da casa, e dopo aver affrontato una selezione, per titoli, didattica ed esecutiva, tra oltre 400 candidati e candidate.

Ma quanto è costato arrivarci ?

E perché, l’Italia alimenta solo sistemi che pesano sulle possibilità e sulle condizioni umane, e le mortificano, invece di valorizzarle ?

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