Nel 1973, avevo nove anni; nel 1978, ne avevo quattordici; avevo vent’anni, ed ero a Lecce, nel 1984 a giugno, quando morì Enrico Berlinguer; una sera, mentre lui era in ospedale a Padova, passai davanti ad una chiesa, pensando che avrei potuto pregare, perché il Segretario del Partito Comunista Italiano, restasse vivo, e guarisse, dopo il malore accusato nel suo ultimo comizio.
Io lo avevo ascoltato in un comizio, a Lecce, poco tempo prima, in un palazzetto dello sport che non riusciva a contenere le persone, e che aveva obbligato a installare una amplificazione di fortuna, fuori, sulla strada, per far ascoltare la folla intervenuta.
Di quel comizio, ricordo l’assenza di retorica; l’asciuttezza delle considerazioni; nessun atteggiamento divistico o spettacolare. Ricordo il silenzio di chi ascoltava, attento.
Il film “Berlinguer-la grande ambizione”, centra il suo sguardo, quasi del tutto, proprio sugli anni tra il 1973, e il 1978.
Anni che ricordo, parzialmente, ma il cui peso storico, ho compreso (spero), solo dopo, in una età più adulta. Ed è difficile, assistere ad un film come questo, senza interrogare la propria personale esperienza, e le proprie, personalissime, opinioni.
Si tratta d’un film e non di un documentario, anche se si avvale di immagini d’epoca.
Credo che il pregio maggiore del film, proprio sul piano della narrazione, sia quello di rendere evidente come, in quella fase storica, la partecipazione attiva alla vita democratica del Paese, fosse un fenomeno di massa. Nessuno, allora, avrebbe immaginato che oggi, in Emilia Romagna, per il rinnovo delle istituzioni regionali, sarebbe andato a votare meno del 50% degli aventi diritto.
E la partecipazione democratica, non era solo andare a votare.
Ma partecipare, con i Partiti e con i Sindacati, al dibattito pubblico; agire il conflitto sociale e animare, dal basso, le proposte, e perfino essere disponibili a divenire un “grigio funzionario di Partito”, per spirito di servizio; per militanza; sapere che, qualunque fosse la propria attività, era possibile sentirsi parte di movimenti più ampi.
Questa passione civile, riguardava, con forme e profondità diverse, larghissimi strati della società, che si richiamavano anche a diverse idee ed ideologie.
Colpisce, nel film , vedere le immagini di repertorio che inquadrano Federico Fellini e Marcello Mastroianni, tra gli altri, mentre montano la guardia d’onore al feretro di Enrico Berlinguer; la loro era una partecipazione sincera: non gliene sarebbe venuto nulla, in termini di migliori opportunità di carriera o di incarichi, e neanche la loro presenza avrebbe aggiunto qualcosa alla loro popolarità, anzi, forse ne avrebbe tolto, qualcosa.
Non intendo recitare una giaculatoria, su quanto fossero migliori i tempi andati.
In quei tempi, si moriva, per le strade italiane; i fascisti, con la complicità ampia di apparati dello Stato, mettevano bombe sui treni, e nelle piazze dove si manifestava; parti importanti della Sinistra avevano, quanto meno, un rapporto ambiguo, con la violenza, e qualcuno si stava apprestando ad uccidere, in nome di arroganti e vaneggianti analisi sull’imminenza di una ondata rivoluzionaria in Italia. La criminalità organizzata, in tutta Italia, metteva radici e accresceva il proprio potere, anche attraverso rapporti criminali, con parti degli apparati statali.
Ed in quel corso d’anni, il film ricostruisce, sia pure con la necessaria sintesi di una narrazione, e non di un saggio politico, l’intreccio forte, tra eventi internazionali, e nazionali; il peso delle alleanze militari, e le strettoie degli schieramenti contrapposti, tra Est e Ovest.
L’agire di molti uomini politici, era, consapevolmente, centrato sul tentativo di tenere in equilibrio spinte tra loro, talvolta contrapposte, di origine endogena, ed esogena, avendo in mente una superiore sintesi in nome dell’interesse dell’Italia.
Provavano ad essere statisti, per dirla in termini chiari, e non solo capi di una parte politica.
I massimi responsabili delle forze politiche presenti in Parlamento, nel loro discutere, e costruire proposte e proteste, dovevano necessariamente mantenere un atteggiamento dialogante, anche nelle asprezze polemiche, e dovevano porre in campo programmi complessi, capaci di rispondere alle esigenze della parte più ampia possibile della società civile, e questo li esponeva a critiche, per la scarsa accentuazione posta (forse), su un aspetto, piuttosto che su un altro. Sapevano, che il loro ruolo, ed il loro agire, sarebbero stati esposti a critiche, pubbliche ed esplicite, ma anche a possibili forzature e strumentalizzazioni, e persino a tentativi di destabilizzazione e di congiura. Erano perciò preparati al confronto anche duro: se lo aspettavano e non pretendevano che solo la loro voce, fosse ascoltata.
Non s’aspettavano, non tutti almeno, atteggiamenti servili della Stampa.
E quasi tutti, erano preparati; avevano studiato, leggevano. Molti di loro avevano avute continue esperienze di governo, o di amministrazione, e si sentivano portatori di una storia, che, in qualche caso, Berlinguer, ad esempio, in parte li ingabbiava.
L’ostinato accento di Berliguer su “Italiano”, rispetto al suo Partito Comunista Italiano, nel film, e nella realtà, sottolineava la particolarissima ed unica esperienza ed elaborazione dei comunisti italiani, che nasceva con i “Quaderni dal carcere” di Antonio Gramsci, e non con i libelli propagandistici di Lenin. E che era stata coprotagonista unitaria della Resistenza, e della scrittura della Costituzione democratica. E in quella Costituzione democratica, era inquadrata la ricerca, difficile, certo dagli esiti storicamente sconfitti, di una particolare forma di Democrazia che impedisse lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, e che si pensava di poter colorare con i colori del Socialismo.
Quella “grande ambizione” ha animato generazioni di persone, ma non ha saputo vedere i cambiamenti che il Capitale introduceva in sé stesso, per far fronte alle molte crisi subite, a partire da quella petrolifera, proprio dal 1973 in poi, e fino ai primissimi anni ‘80.
E fu proprio dentro lo scontro col Capitale, che si consumò la sconfitta storica di Berlinguer, quando, nel 1980, la vertenza sull’occupazione alla FIAT, si concluse, dopo 45 giorni di occupazione della Fabbrica, con un accordo sindacale che poneva in Cassa Integrazione, prima dell’espulsione dalle fabbriche, decine di migliaia di operai. E fu proprio in quell’occasione, sul giornale “La Repubblica” che il vignettista Forattini, allora considerato “di sinistra”, colse un punto forse debole dell’uomo Berlinguer, e che, da allora, è diventato il principale strumento a disposizione della Destra per additare la Sinistra di incapacità a rappresentare le persone, per il suo essere elitaria, arrogante.
La vignetta, ritraeva una finestra, dalla quale si scorgevano gruppi di manifestanti, con striscioni e bandiere, mentre, in una casa signorilmente arredata, Berlinguer, rappresentato in giacca da camera, pantofole e monocolo, sorseggiava un thè tra i libri, solo, e con l’aria azzimatissima.
Da allora, la Sinistra è sempre stata troppo intellettuale, troppo signorile, troppo ricca anche quando era semplicemente benestante, per rappresentare un intero popolo che per lungo tempo, ed in parte anche oggi, arriva a malapena alla terza media come titolo di studio, nella maggioranza della sua composizione.
Ma prima della sconfitta sociale, venne il sacrificio, del Partito Comunista Italiano, di fronte al Terrorismo Rosso, e all’assassinio di Aldo Moro.
In un passaggio del film, l’autista di Berlinguer, spiega che l’auto sulla quale cammina il Segretario, è blindata, artigianalmente, e, viene subito in mente come le auto della Scorta dell’Onorevole Aldo Moro, siano state invece crivellate di proiettili. E’ un accenno fugace, ma pesantissimo, a tutto quel mondo oscuro che si mosse intorno al sequestro del Presidente della Democrazia Cristiana, e che forse ne condizionò gli esiti finali.
In quella situazione, col PCI al massimo storico della sua rappresentanza parlamentare, Berlinguer schierò tutto il Partito, insieme a tutto il Sindacato, a difesa dello Stato italiano e contro ogni possibile avventura autoritaria.
Non cesserà mai, il dibattito storico, sulla possibilità in quei frangenti, di intavolare una trattativa che salvasse Aldo Moro, ma nessuno può seriamente mettere in dubbio la generosità, e l’altissima scelta di priorità che i comunisti italiani compirono in quegli anni, uscendone però più deboli, più soli, più distanti dalla realtà che cambiava.
Se anche i comunisti difendevano quello Stato che era pieno di ingiustizie, di diseguaglianze, di sopraffazione, di criminali, qualcuno al governo ai vari livelli, che speranza poteva essere data ai giovani ?
E’, nel film, anche questo, un punto sfiorato, nella dialettica privata, tra padre e figli, in quegli anni.
L’assillo parallelo, di Moro nel portare dentro il recinto democratico fasce sempre più larghe di popolazione, e di Berlinguer, di consentire anche alle istanze delle classi subalterne, d’essere ascoltate e di avere risposta, per difendere lo Stato dalle contrapposte tentazioni autoritarie, era destinato a salvare l’Italia, ma a perdere i due partiti storici, sul cui dialogo, insieme a tutti gli altri soggetti democratici, s’era fondato lo Stato italiano, uscito dalla sconfitta nella II Guerra Mondiale, parzialmente riscattata dalla Resistenza.
Il film racconta anche la forza delle parole.
Quelle parole, nette, che Berlinguer pronunciava nel condannare l’autoritarismo del blocco sovietico, che ascoltava infuriato, e che probabilmente aveva provocato persino il tentativo di uccidere il Segretario del Partito Comunista Italiano, e che sembravano sempre troppo timide ai suoi avversari politici italiani, che si valevano dell’assoluto veto degli Stati Uniti d’America, all’ingresso del PCI nell’area di governo del Paese.
Quelle parole capaci di parlare alle persone comuni, nelle periferie e in fabbrica, senza che s’avvertisse mai, una impossibilità di dialogo tra pari, e quella differenza di cultura che Forattini invece aveva voluto sottolineare in termini spregiativi, che pure coglievano, forse, l’aria che si respirava in alcuni circoli intellettuali del tempo, e, sicuramente, nell’arroganza delle affermazioni che non ammettevano contraddittorio, di tanta Sinistra extraparlamentare, e non solo.
A distanza di quaranta anni, dalla morte del Segretario del Partito Comunista Italiano è giusto che questo film apra una fase di riflessione storica, senza celebrazioni, bensì con l’urgenza di comprendere che oggi – nel mondo interconnesso di oggi, coi poteri terribilmente squilibrati di oggi, tra Stati e dentro le singole società civili, con interi Stati dominati da gruppi criminali, a partire dalla Russia, con un mondo ipertecnologizzato e iperfinanziarizzato e poco prima dell’avvento dell’Intelligenza Artificiale e sull’orlo del collasso climatico ed ambientale, con un attacco sempre più chiaro e radicale alla Democrazia liberale – non è pensabile un ritorno all’indietro, ad una mitica età dell’oro; neanche se si chiami Enrico Berlinguer.
E’ giusto che si apra anche una riflessione storica sul ruolo, sulle azioni, e sulle scelte compiute dalle classi dirigenti dopo Enrico Berlinguer, perché se ne sottolinei il progressivo allontanarsi dalla rappresentanza e dalla lettura profonda della realtà, e il progressivo trasformarsi (con le dovute eccezioni), in puro ceto politico in lotta per la propria visibilità e sopravvivenza.
Di Enrico Berlinguer, resta vivissima una caratteristica temuta da molti, e considerata essenziale da tanti altri: la coerenza tra le sue parole e il suo agire politico; tra i suoi atti, pubblici e privati, e le sue elaborazioni; tra la sua ansia di comprendere ed ascoltare la realtà, e la sua continua ricerca del superamento delle gabbie che la Storia aveva messo all’Italia del Secondo Dopoguerra.
Il film racconta questa coerenza col volto straordinario di Elio Germano, con le sue intonazioni di voce, e con la sua vocazione militante che non dà tregua a sé stessa.
Le immagini, del funerale di Enrico Berlinguer, sono per me un trauma affettivo, prima che una perdita politica. Ma per ridare voce, e gambe, alle parole di Enrico Berlinguer, bisogna studiare anche cosa ci fosse, dentro la sua lettura politica dell’Italia e del Mondo, che lo ha condotto alla sconfitta, e che da oltre quaranta anni, pesa sull’Italia tutta.
Questo film merita una grande attenzione, anche per le possibilità di discussione pubblica, e libera, che consente.