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Storie

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Versi, per violare il silenzio.

Ott 23, 2024 | Storie

I passeri, ho visto andar via,

contro il cielo al tramonto,

grigio caldo e sabbia,

al modo di freccia alata

e nera da parere senza colore

come se una mano s’alzasse

in mio saluto

e non potessi io rispondere,

sperso nell’ombra della notte mia,

senza colore, ancora, e raggrumata

di quotidiana sofferenza acutissima.

Ho volto gli occhi

ad un cespo fiorito,

di ginestra e oro

per farmi carezzare da madre potente.

E s’è lenito il timore

d’essere rimasto senza volo

contro un cielo verde e petali e pioggia

e di colori più non avere,

che un rosso di cuore mi resta.

================================================================

Era solo un sasso,

arradicato in terra alla cresta d’una cima e

forse una farfalla, l’ha scosso,

sgusciandolo, di sua erbosa protezione e

l’ha scosceso, tremandolo,

come un freddo segreto e

a cadere, ha preso, lento, in principio

e grave, sempre più,

spinto dal vento che a notte scende

indifferente alla luce,

contro pietre grandi altre, ignare,

ferme nel loro tempo spento e

vive, ora, incrociando spigoli taglienti

e polvere di marmo, e precipitanti

senz’ordine che non fosse il cadere

rovinoso, più, e più ancora,

a spezzare fiori, attese, e sogni,

e legno vivo d’albero,

tutto macinando, della forza

di invincibile male che temo.

Silenzio arriva,

silenzio che non voglio e

non tremo.

Io respiro, la ribellione a franarmi,

che mi travolga, la discesa del monte.

Mi troverà erto, fino alle nuvole.

============================================================

Mi copre,

lo spezzettume di nuvole, d’acqua empie,

e mi toglie la vertigine del cielo

azzurro finalmente.

Gli occhi ne sentono il sapore pacifico

tra gli strappi di mari lontani

venuti fino a noi ad osservarci,

increduli

del nostro rifiuto ad amare.

Nel cielo,

ogni movimento e respiro,

insieme si lega

di un ballo avvinto, potente,

e musicale.

Sulla terra nuda,

restiamo aspri d’amare,

e così,

il nostro tempo inventato

ci consuma senza scopo.

===============================================================

Brucia

strada. Lascia al cielo nebbia

senza sorte alcuna

e grida, alle finestre chiuse e

grida, quando tieni la testa bassa.

Non finire strada,mai

e dammi la rabbia di non morire,

non sotto la pioggia,

che sempre ho amato

le sue righe da disegnare sui vetri;

sotto il sole se vuoi

perché mi dorma il caldo e le farfalle

distratte, da un fiore,

mentre smetto di ascoltare.

Bruciami strada

che voglio ferirmi

e addosso vedere

i segni del cammino.

==================================================================

Mi cerco un’ombra d’albero

che sia tregua a questa luce bruciante

e un respiro mi permetta,

guardato negli occhi tuoi.

Cammino senza far battere il cuore

che aspetta, sia colmato il vuoto

colato sull’asfalto

come una cera di preghiera,

in ginocchio.

E mi fermo

senza requie trovare

scosso, dal silenzio sparso,

tra le erbe alte e polverose.

=================================================================

Di farfalle, il volo svagato,

guardo, tra l’ombra strappata

delle foglie d’un albero trapassato

dal cielo.

Che si cela, nello scuro e

balena, a luce.

Ed è una musica di grazia alata

saltellante,

come un piede di donna insegua

il dorso liscio di pietre in torrente,

per non bagnarsi.

Raccoglie le ali, su uno stelo

tremante di vento e si ferma

e vorrei restasse lì,

fino alla mia notte,

ad imprimere colori taglienti

sulla pelle mia.

====================================================================

Ho remato

coi piedi nudi sul legno

e piegato

per spingere il mare schiumoso

dietro la poppa e

sentirmi le onde salire

col tempo del cuore

senza più rotta ora.

C’era un albero maestro

di legno venoso e brunito,

alto, poggiato d’un canto,

senza più vento a spezzarlo

e senza salsedine più e mani

e lo guardavo, e toccavo

come un relitto di naufragio

cresciuto nella sabbia.

Sono più povero

ora a remare

e ad aspettare il silenzio

per ascoltare le voci

di passati odori di vita.

=======================================================================

Una vecchia processione

di oggetti e ricordi,

come un albero tagliato

nel suo nascere, cammina

tra gli spini e i petali filiformi viola

di una piantaccia alta

e suona, una musica di uccelli spersi

al tramonto, mentre il vento del giorno

appena sfiora le foglie

degli alberi carichi di prossime mele.

Mi nasconde il racconto

di antica dolcezza

in questo presente di silenzio, saturo.

Dalle candele accese,

mi sgocciola il cuore.

=====================================================================

Sono lontano da me

interi universi senza protezione

e di pensieri già visti sono stanco

e delle umiliazioni.

Non ho preghiere

e da alzare al cielo

non ho mani.

Eppure ascolto il vento caldo

corrermi addosso

mentre ancora sono

e ne immagino provenire il soffio

da mercati lontani e tende

e fuochi a notte

e chiedo pace.

Solo pace.

=======================================================================

Vicino vorrei

un’ape, che mi racconti i fiori

e anche un fiore,

che mi spiegi il vento.

E vorrei, a me vicino,

quella luna quasi piena

che vola tra sogni innamorati.

E essere vicino io vorrei

ad un orologio spento

fermo all’ora in cui

vieni a prendermi per mano.

=======================================================================

Tutto pare aver ragione

tranne i pensieri miei

allacciati alle mie scarpe d’inverno

e rimasti nella terra dura

di un bar chiuso.

Tutto pare aver direzione

tranne i pensieri miei

caduti nelle mani sbagliate

lasciati a penzolare in cielo

come una luna inutile.

E tutto pare aver giustificazione

tranne i pensieri miei

umiliati dal silenzio

e dalla sera stanca e abitudinaria.

Per questo, mi tengo i pensieri miei

come onde feroci;

all’acqua, non si può far male.

=======================================================================

Il sole hanno interrotto,

per un istante, le nuvole.

Allora ho visto dentro la fragilità

di fili d’erba e sassi;

ho sentito dei fiori il ronzare

e il vento alzarsi libero.

Lo stesso mio respiro

beveva aria di cani felici

e cerve leggere

e si placava, la paura

sorta ai piedi delle macerie

di ogni mio muro, che

voglio aprire di porte,

all’ombra,

e alla luce di un sole più clemente.

=======================================================================

Io, non sento la terra

quando cammini, e spezzi le nuvole, e

neppure il cuore, mi sento

quando m’oltrepassi

e lasci il vento a cercare

polvere

da portar via che

m’entri nelle vene e le fermi.

Sento solo il tuo celeste

di cielo nudo,

e non sono sulla tua pelle.

=======================================================================

Apro una finestra e

la notte, lascio entrare,

mentre spande i suoi rumori

senza volto e direzione.

Non ho lenzuola a proteggermi

e ho freddo

e gli occhi lacrimano

senza strade da riconoscere.

Mi siedo, ad aspettare il giorno

un giorno che sia luce

per me.

=======================================================================

Ho gli occhi a domani, già,

ma solo per non avere notte.

Per ritrovare il cielo dentro un bicchiere

e bere le mie attese nuvolose.

Per guardare la mia pelle

spaccarsi come arsa terra stretta

e cuore sospeso.

Vorrei non dormire

e chiudere gli occhi mai

né svegliarmi

impaurito all’orizzonte della mia finestra.

Una sola scheggia di sole

m’illude il respiro.

======================================================================

Asciugami di te l’arsura.

Ti aspetto dove la terra cresce nuvole

e ti cerco, quando il sole

mi sorge tra le mani.

E so che sei

sul confine di una porta chiusa

prima di entrare

nelle parole che ascolto.

Sono un mare che allarga a te le braccia

e nuota, sino alla fine del giorno.

=====================================================================

Poca, tra le dita,

m’è rimasta di sabbia;

del mio scavare di ragazzo.

L’ho lavata via,

per sembrare uomo,

per non ritrovarmi,

veduto,

con le unghie nere di giochi,

che dimenticare, avrei ben fatto.

M’ha disegnato la pelle, quella sabbia,

e ogni tesoro che ho toccato, ritrovo,

ogni conchiglia e ogni illusione,

se le mani mi guardo.

Anche quando arrese,

e vuote.

=======================================================================

Tra i muri di pietre

aggrappati all’erbe alte,

ritrovo la follia mia

di voler scalare il sole.

Senz’ali, solo, coi pensieri poveri miei,

e col battito veloce del mio respiro e

con le mie mani,

troppo tenui, alle balze dei sogni

ancora miei.

Nulla più recintano e fermano,

tra gli alberi e i boschi

come nulla più posso abbracciare

mentre ogni giorno

di andare, smetto.

===================================================================

Tempo arriva

che io divento nulla

mentre sono,

un ramo tagliato d’albero

troppo lacrimante ancora

per essere bruciato.

Di me è rimasta una scorza

nuda, non ancora scurita,

dall’unico sole che conosco.

Pende,

dal tronco sciancato, appena prima

di sbriciolarsi ai tarli,

e polvere essere,

come un vecchio cassetto

mai più aperto.

Mi basta,

sparire.

E nulla, mi basta più.

======================================================================

Di questa notte bruciata

non ho nessuna paura

nella mia bocca amara.

Sul muro scrostato

è disegnata la geografia

dei miei profanati sogni

e non fa ombra

ma solo polvere sgretolata

come stelle d’incenso e fiori.

Il silenzio è un cordame ruvido

che mi lega la pelle

e la taglia

fino alle vene esposte

e m’arde,

il suo sospeso scendere.

M’arrampico allora

su un vuoto albero di fico

e aspetto che addosso,

mi cada un’alba.

====================================================================

Segno le mie crepe col dito

alla luna che cresce

sulle campagne amare

e ballo col suono del mio cuore

strappato.

Di star quieto

non so le strade

e di bruciare a notte

ho per me cura.

Tranciante il tempo

senza merito

non m’ha piegato.

Desidero e sono

e non ho casa da tornare.

=============================================================

Corri vento caldo

portami con te

e spargimi, dove lei cammina.

Che mi lasci addosso le sue impronte

come parole attese,

come una vecchia elica di nave ferrosa,

in fondo al mare sospesa,

che ancora voglia navigare

pure in disarmo,

fino al calare dell’orizzonte.

E bruciami libeccio di deserto

che le mie scintille

le rischiarino la notte,

e la proteggano dal buio.

Le palme lontane appena si muovono

sotto il cielo senza nuvole

e crescano i loro frutti

mai dolci, quanto le sue labbra

che finalmente mi sorridano.

======================================================================

Di me hanno bisogno le mie lacrime

e di me hanno bisogno le mie mani aperte.

Di me, hanno bisogno i miei occhi

che cercano nel buio.

E di me, ha bisogno il mio cuore veloce

che si ferma,

quando impara la notte.

Di me hanno bisogno

i miei passi incerti

e il dolore, dei muscoli.

Di me, han bisogno

le parole che lascio al cielo.

Io, ho bisogno di te.

=======================================================================

Tra i rami il verde lo sento

e il vento mi tenta

a seminare acqua

come fossi nuvola di temporale

che vola senz’ala.

Siedo, in ombra calda,

e disegno, carezzando con le mani,

la luce piena tra le foglie,

il sorriso che avevi

certe mattine all’alba

quando un angelo teneva il sole sveglio

perché io potessi vedere

quanto più del giorno splendevi.

Corro via

e cerco la porta che hai aperto e sai,

nessuno m’aspetta

e il buio mi abbraccia.

=======================================================================

Mi piace

non essere un tramonto

che da’ sangue al cielo dietro l’ombrato monte.

E mi piace

non essere la notte

inventata dal canto d’amore delle cicale.

Ancor più mi piace

non essere una carezza

sulla scorza d’albero forte.

Più di tutto,

mi piace essere niente

e non voler finire.

=======================================================================

Ho sentito la notte svegliarsi

camminava leggera sugli aghi di pino

secchi e taglienti

senza ferirsi.

Andava ad alzare il cielo al giorno

in ginocchio, dichiarando il suo amore,

al sole che l’avrebbe cancellata.

Lasciava sparsi sogni sospesi

cacciati via dal rauco canto d’un gallo,

dal guaire d’un cane abbandonato,

mentre un bambino incerto

ancora cercava una mano da tenere.

Posso anche oggi aspettare parole

e guardarmi il cuore andar via.

=====================================================================

Annegare desidero, nel mattino,

che m’allontani la notte, dalla gola,

che mi faccia distruggere

tutto quello che ho intorno.

Affondare desidero, nell’alba

rivoltosa, e rompere ogni specchio

per me dimenticarmi.

Riaprire il mare, desidero,

respirare acqua salata e scogli

e ferirmi.

Per vedere il mio sangue sperdersi,

tra le onde.

======================================================================

Mi nascondo

ai tuoi occhi, al tuo ridere,

al sole che suona musiche tristi

al buio che si riempie di ferrose cicale,

mi nascondo,

alla mano premuta sulla bocca

per non urlare e

morsa, sino al sangue,

mi nascondo,

al calore osceno della terra

e mi nascondo alla luna

che separa le nuvole

e non alza più maree.

A me, non mi nascondo.

Io mi so.

E so, domani. Io lo so.

Anche se me lo nascondo.

=====================================================================

Stretta la strada

tra il rosso del tramonto cadente

e l’ombra danzante d’una campana

che nel vento prega

la notte di difendermi

prima ch’io cada,

da questo silenzio mai sazio,

tra alberi e vuote terre.

Mai visto, ci cammino,

mani in tasca,

vuoti i sogni

e sgraziato.

Come uno specchio

puntato su un prato libero,

e disordinato.

===================================================================

Di andare, mi hai detto,

fino alla fine del mare

perché forse sei lì, ad attendermi.

Ho alzato la vela

all’assenza di vento e remato

sulle correnti contrarie e

ho buttato via l’ancora

per fermarmi mai.

Ad ogni orizzonte

una nuova lontana riga nera ardeva

sui miei occhi senza sonno

e mi spingevo, ancora oltre.

Senz’acqua o cibo

nutrendomi della prossima onda

alle spalle lasciata

perdersi nella sabbia senza parole.

Non ho guardato porto, o ansa

e nemmeno stelle del ritorno.

Io so che il mare finisce

e poi c’è solo un letto d’ulivo.

=======================================================================

Di non respirare mi accorgo

mentre maturano le mele

che raccogliere non posso.

I rami oltre un muro di cinta

i frutti gialli, alti,

rubano cielo al sole.

Piano, s’addensa pioggia incerta

e il mio orologio non porta a sera;

quanta polvere, ho addosso,

quanto tempo di farfalla, scomparso.

======================================================================

Era basso, il muretto

che dal vuoto mi tratteneva;

roso, da salsedine e pioggia,

e tramontana fresca e muschi gialli

seccati da infinite estati e

di volare, fino ad uno spicchio di mare

mi fermava, ma

potevo vederla, la schiuma di burrasca

e anche lunghe, le onde,

sino alla spiaggia

delle sorgive d’acqua dolce e fredda

ad ogni estate,

mentre m’aggrappavo per scivolare mai

e tra le dita mi restavano

briciole di tufo sabbioso acuminato.

Come sarebbe stato,

cadere libero,

sino al marciapiede di terra,

chiedevo alle ombre mie,

e m’allontanavo dal precipite

per non rispondermi.

Giocare m’era consentito,

protetto, e chiuso, da quel muro.

=================================================================

Coloro la sera

di abbracci sfiorati

e delle nuvole il respiro,

e la lascio sospesa

sulla punta tagliente di un pino.

Diverrà notte

e avrà le braccia mie

aperte

alla paura smarrita, e all’acqua

che schiara le lacrime.

E ancora sarà mattino,

senza me;

rimasto al buio,

che arriva,

pregandolo d’essere luce.

====================================================================

Buio non c’è, più secco

della mia bocca

senza parole

da ascoltare e senza

pareti che mi proteggano

dal freddo,

del sangue mio senza colore.

E neppure luce, cerco,

che non mi spetta

e non sono io

che buie, ho le mani.

Oltre la finestra,

il mondo è dei lampioni

e di fari taglienti

ma non mio.

C’è solo di vivo

il cuore disordinato mio,

aggrappato

ad un albero da fulmine tagliato.

Solo modo,

di sentir battere la linfa.

==================================================================

Desidero non restare prigioniero

di una mia vecchia foto.

che, inconsapevole,

ha fermato un attimo di luce,

sperso ora, tra le polveri

di una cavea lontana.

Non conosco più,

quel volto aperto

sulla soglia di una casa ora vuota e

di quel volto

i pensieri ricordo, come ora,

di terra che vuole fiorire

oltre ogni tramonto mio.

Ho scritto altre pagine,

senza fine ancora,

e nessuno le legge

e non ha più parola

quel volto aperto,

tagliato da rughe di silenzio.

======================================================================

Dorato, era il mio fiore tra i fossi,

profumava come bicchiere di vino in compagnia,

e di occhi leggeri;

mai il capo abbassava al vento

e giocava coi bimbi liberi,

di ogni lingua del cielo.

Lo nutrivo d’acqua e fiato di menta

ed era lui, a proteggere me

dai serpi e dai lampi.

Ogni suo giorno m’era nuovo

e mai, tra le dita,

m’è passito.

Non so più camminare, ora,

e perdo il lume delle strade

e ancora

ne cerco il brillare dei petali tra i rovi.

M’aspetta.

======================================================================

Un abbraccio

possibile, a notte,

come una lama nella carne

senza alcool che non faccia

dolore,

come una corsa,

incontro al profumo,

e alla seta, nascosta, segreta

e d’ombra,

mi scioglie,

anche quando non esiste.

=======================================================================

Sto imparando

ad ascoltare tutto il silenzio della città

e a contare ogni suo angolo

e sasso.

E sto imparando

a mancare ad ogni appuntamento

con l’intero cielo che mi piove

dentro.

E sto ancora imparando

a tacere

tutte le voci che

intorno al fuoco delle notti

e alla tavola

mi sono state tramandate.

Io imparo,

quando sono piagato.

====================================================================

Le braccia d’alberi,

in preghiera alzate al cielo,

cadevano di foglie e ombra

e muschi verdi.

Dinanzi, mi andava,

sollevando leggera la gonna,

come una nuvola

che a terra non stridesse,

e sul secco in terra

mai lasciava orme

eppure era di carne, e dolce.

Non m’era dato raggiungerla

in sogno.

S’evanesceva con la nebbia sfilacciata

del mattino di sole opaco,

al mio tendere le dita a lei.

Solo la realtà, mi resta

per sognare di raggiungerla ora.

====================================================================

Una stanza chiusa

senza finestre e nera,

a notte, troveresti

se guardassi in me.

Profonda,

come la ferita di un vulcano

cieco.

Silenziosa

perché tutte le musiche

si sono spente

sotto l’acqua.

E fredda,

perché ho sangue di ferro

e assenza.

Luci, non cercare.

Non ce ne sono più.

Mai ci sono state.

Che bello questo cielo spento

e nessuna stella mi guarda.

=======================================================================

Un volo d’uccelli notturni

mi prende a vortice,

come un suono di violini

e mi porta tra le foglie bagnate

e le orme di passi

che vanno via.

Cerco, un fuoco dolce

che mi scaldi,

le mani

fredde e

rompa la pioggia e il buio nudo.

Scelgo due pietre

di antica selce

e raccolgo scintille.

Perché non aspetto

d’essere salvato.

=====================================================================

Stanche, ho le mani.

Di scavarmi dentro il buco

dove l’orologio inghiotte

ogni respiro mio.

Con un solo gesto

desidero liberare

i miei sciolti quaderni

da ogni loro sogno e

guardare il fondo

d’una platea vuota.

Dal freddo voglio uscire

sotto una coperta di cielo.

==================================================================

Pagine, e pagine ancora

di parole giovani sempre che

cadono nella memoria

come un’acqua ferma al sasso.

A riva, l’eco muove giunchi

e carezze mai date,

urlate nel cavo d’un albero

senza risposta.

Darà fiori

quel tronco a primavera,

finché vi saranno primavere

e finché quel legno

non mi sarà estirpato

dal petto.

=======================================================================

Dev’esserci un miraggio profondo

dentro un liquore e un pezzo di cioccolata

per usare il mio dolore

come una luce che cerchi

una finestra accesa

e una lacrima dall’angolo di un occhio

che mi porti all’odore

di quanto non ho più e

mai ho avuto.

Bevo, e ancora bevo

un ritornello lontano e aspetto

la pioggia; una pioggia aspra

che tagli la pelle

e bagni le lacrime

che di versare mai

smetto .

======================================================================

Mi si stringe la sera addosso

come un vecchio mantello strappato

e le giornate corte m’accendono

dell’alba il desiderio.

Ma non posso

scansare il buio come una crosta bruciata

e devo subirlo

con la schiena piegata e bassi,

gli occhi, senza sogni.

Al freddo, resto dritto,

contro il vento e le ore

interminabili

aspetto mattino.

Un mattino per me.

====================================================================

So quanti respiri ha il mare

e non so, quanti ne ho io, e

so quanta sabbia ha costruito castelli

e quanto vento so

ne ha sparso le mura e i merli,

distruggendo sogni e realtà,

nate tra le dita mie, e tue.

So tutto il freddo

di una strada piena di vetrine

e d’auto veloci e c’era

un tempo, in cui sapevo

anche, come arrivare

ad un ricordo caldo.

C’è un balcone,

oltre il vetro che mi separa dalla sera,

e io chiudo il tramonto

dentro la scatola di aghi e rocchetti,

e poi lo butto via.

Fino alla prossima alba.

=====================================================================

Freddo serale metallico

mi convince della mia assenza;

c’è la mia ombra,

poco ondosa

in una pozza densa,

e sprofonda.

Perfetto, il sole

s’allontana, senza più nulla dirmi.

Mi copro

e tremo uguale, senza difese,

e sorrido

al mare lontano.

==================================================================

Ci sono ancora rondini, in cielo,

a volare controvento,

e a ricordarmi che è giorno

mentre mi tramontano gli occhi.

Non temono il freddo

luccicante

di perle del mattino in controluce,

e neppure la notte elettrica

senza più nido.

Vorrei come loro camminare

senza le mie ali,

contornando d’anfora l’aria;

incerte paiono e precise invece

seguono il loro desiderio

incalzandolo, di risposte mai ricevute

e carezze, sussurrate.

Così vorrei tradurre il mio dolore,

incerto, e preciso invece

mentre mi lacera,

e sapere di un nido, che mi aspetta

oltre ogni mare di lacrime.

=====================================================================

C’è un intero cielo

dove non sono e

c’è una infinita luce

che non accarezza la mia ombra;

ci sono matasse di nuvola

dove salire mi è negato e

una divelta terra

non conserva i miei passi.

E sono ancora,

me nonostante e

seguo, il volo di una lontana aquila

fino a una macchia di sambuco

e con le nere bacche

scrivo il nome che ancora

ha la mia carne.

==============================================================

Mi torna colore d’inverno

la pelle; perdo il mare di dosso

e i frutti dolci.

Un momento, balena agli occhi l’argento d’ulivo

attorto, dal vento e dai colpi

di giorni affamati e il blu bruno

dei fichi odorosi.

Scorrono

dietro i vetri di un treno

che non ha casa.

E tremo

dove avevo sorriso

e atteso

degli scuri serrati il fresco

e le lenzuola bianche.

==============================================================

Infinite notti trascorse

a non dire; a non disturbare

il buio feroce del silenzio

che dal mare mi tiene lontano

e mi soffoca il cielo e questo cuore

oppresso, da insensate rinunce.

Diventa sibilo, il respiro

e ribellarmi mi chiude più ancora

tra strade chiuse.

Ogni rumore

non è mai una parola e

i miei occhi aperti

non sono luce e

aspetto,

di essere accettato.

==============================================================

Nuvole radenti, disegnano,

nel cielo di tramonto acceso,

stormi di uccelli incerti

e piegano il vento e l’erba, come una musica.

Ne seguo i colori ombrosi,

mentre si rifugiano tra i pioppi,

e sono foglie,

che non hanno autunno.

L’aria spande onde

che m’attraversano mentre s’alzano ancora, e s’allontanano nella sera, polvere.

Io resto,

e non ho ali

né compagnia o canto,

e sono nulla,

anche per gli storni indifesi.

Neppure una piccola pietra sull’asfalto.

=============================================================

Benvenuto nel mio teatro

ottobre;

puoi recitare la parte che vuoi.

Puoi lasciarmi ferite di sole e

risate di pioggia;

puoi essere il freddo della musica spenta

e puoi arrostire castagne di incontri.

Puoi essere un buffone senza corte

e puoi trasformarmi in un gioco di prestigio.

Puoi seppellirmi di foglie andate

e farmi viaggiare su un binario morto.

Io accetto tutto nel mio teatro

Nel mio teatro, io solo,

pago il biglietto.

============================================================

Dev’essere buio, fuori

e i lampioni della città, lontani

e vuoti i parcheggi dei supermercati

e per questo chiudo gli occhi;

per non sapere

come si muove l’ombra,

dell’erba sul soffitto,

riflessa,

da un prato che da solo

non potevo guardare.

Sui tavoli del parco

i giochi dimenticati di bambini

distratti, si cercano

per ripararsi dal freddo

e dai vetri che separano,

sui quali poso le mie mani

per sfondare ogni confine e

ferirmi,

a sangue e profondo.

E veder gocciolare nel buio

là fuori, l’ostinato rumore

dell’eterno silenzio.

===========================================================

Da questo lato del mattino,

il giorno sembra un inganno senza arrivo

cui nulla importa di me.

E neppure se aprissi gli occhi

un sogno verrebbe a prendermi

per mano.

Devo aspettare l’alba

tra poco,

perché la luce mi si avvicini

senza che mai io possa

toccarla.

============================================================

M’attendo colpi

che mi trapassino.

Cammino curvo

per non farmi cogliere e

sanguinare, e cerco, nella nebbia,

di non sbagliare margine,

mentre mi sento il cuore girare

e sbattere

in una scatola, incatenato.

Allora corro

e non vedo i fiori

e le bacche rosse,

ma solo i muri secchi, dietro cui

nascondermi, non placato.

E senza nulla vedere

ancora corro assetato, e finirà

anche il latte che non bevo più.

==============================================================

Ancora una farfalla presa

dagli odori del fiore

posso vedere, lontano.

Come uno stampo felice nell’aria,

io che avvicinarmi

non devo.

Un istante di enorme silenzio, era,

e cercavo di vedere se tutto

a me intorno

fosse spento.

Solo l’orologio

segnava i passi

che oltre l’orizzonte ho camminato.

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Sono colpevole

di sentire il sapore

di mele selvatiche in terra cadute

ai margini dell’asfalto.

E sono colpevole

di vedere ali volare

nel fumo di un camino.

E ho colpa

perché credo alle parole.

E sono colpevole

perché credo nel mare

che a notte raccoglie del giorno

le lacrime e le scioglie

nelle storie scritte da bimbi.

Sono colpevole

d’attendere il bene del mondo

da un mondo che mi nega

d’esistere.

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Un rumore profondo,

altrove vicino

e il cuore entra in risonanza

e aspetta e batte

solo quando urta

contro una roccia caduta.

Agghiaccia la pelle e

s’affossa

come un passo su una terra bagnata

che di me almeno,

conserva un ricordo.

E lo guardo il vento cattivo

e non mi smuove.

Io, sono sempre qui.

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Che grande errore

ho fatto,

a credere nella sabbia di mare

quando si sollevava col vento

e mi lasciava schegge di sole

sul petto nudo.

E che infinito errore

ho commesso

a pensare ai petali bianchi dei gigli,

al fianco mio, leggeri

protettivi col mio cuore nudo.

Che errore senza perdono

ho fatto,

a camminare pensando di sapere

quale strada m’avrebbe portato

a restare, in ogni sogno,

indifeso e finalmente nudo.

Scrivo sul vetro bagnato,

l’incompleto elenco degli errori miei,

perché ne resti il vapore,

ad ogni controluce.

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Oltre il monte

una scheggia di luna

scatena chiarore bianco

nel cielo notturno, come una porta,

socchiusa alla cecità.

Ho dita meccaniche mosse

da anima calda e fragile

e pare così bello,

il buio sapore di vino.

Mentre raggiungo

il mio arrivo

penso al tagliente amore

che mi spezza il ghiaccio

intorno.

E scrivo sul dorso del monte

dritto nel cielo,

tutto il mattino

che mi aspetta e mi respira.

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La prima volta che ho parlato

avevo fame,

d’essere abbracciato

e preso, da terra verso il cielo

e in girotondo.

Sapevo già

d’avere sbilenco il cuore

per questo indossavo maglioni rossi;

perché si vedesse,

quanto cuore m’usciva.

Ma la prima volta che ho parlato

non ho detto nulla

avrò solo steso le braccia

per chiedere,

come ora,

che cerco le parole

della prima volta che ho taciuto.

Abbracciato.

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Caduto è il giorno

mentre ancora di sé lascia

tracce d’oro nel cielo;

una scia di possibilità

ancora accese e ali

sempre in volo.

Intorno ho macerie

di continenti che girano

e ombre di mani

che non si sono unite

e il freddo del vento

che tutto scioglie via.

Raccolgo le mie povere cose

e le lettere mai ricevute.

Non ho casa e non ho rosso di nuvole

da fermare; né ho fretta.

Ci sarà notte

e io cercherò stelle

seduto su scalini aspri

con la schiena poggiata

su una porta chiusa

mentre al mio fianco un bambino lacero,

aspetta che il tramonto giochi con lui.

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Vorrei ascoltarti, notte

e sento solo silenzio,

mentre ti copri il seno con le mani

e lasci che la luna

t’illumini il ventre.

Vorrei guardare le tue strade diritte

arrivarmi vicino, almeno,

mentre leggo alla luce di un lampione e

respiro non ho.

Vorrei proteggerti, notte,

dai miei sogni inutili

e dalla mia gola arida.

Vorrei ballarti notte,

perché hai la musica dolce

e ignota,

di quando sono amato.

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Prendono vita

le foglie di stagione trascorsa

scosse appena dallo scirocco arido

che affosca l’aria

e il sole intorbida.

Si piegano

di una farfalla al volo trasognato;

oscillano, al peso di una memoria

e cadono infine,

leggere, roteanti,

inconsapevoli tornano a essere terra

e vita.

Ancora non ho, da cadere

per questo cerco linfa

e tramontana

e scompiglio d’odori.

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Riempie la notte

la luce che c’era

e le lenzuola bianche scurano ora

le voci, basse,

per non svegliare i muri

e essere ombre.

Non corrono più, le strade,

verso i rami intrecciati degli alberi

e il blu di cieli liberi;

si fermano, anzi,

a cercarsi gli angoli di carta sparpagliata

al vento

coi nomi del mondo intero, scoloriti.

E solo delle coperte

resta l’abbraccio.

Fino al prossimo mattino.

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La sabbia nell’aria, non costruisce castelli

e non porta sino al mare;

è solo polvere che rende pesante il volo

di ogni pulito desiderio.

E’ terra lontana sopra me sparsa

e vorrei fiorisse

per nutrire petali e racconti di vento

e vorrei mi portasse

oltre confine con sé.

Per essermi straniero

e impararmi, ancora.

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Balla con me

vecchia camicia dal collo liso;

balla con me

libro sottolineato;

balla con me

musica che non smetto di ascoltare.

E ballate con me

fiammiferi spenti e

ballate con me

barattoli di miele scuro.

Non lasciatemi solo,

mentre scavo nel cielo.

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Filtra, la polvere di tramonto acquoso

dagli scuri di ogni finestra

di ogni mia casa

e la luce ne inseguo,

fin oltre ogni mio mare.

Perché desidero guardare ancora

contro la notte che scende

e desidero trovare una terra

che solo albe rosa

lasci respirare e le braccia stendere.

È veloce questo vento

che porta lo scuro

ma meno rapido,

di un raggio che carezza le farfalle.

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Non lo sai

cosa significa quando un cielo

è senza luna e

e non lo sai cosa significa

guidare sempre contromano,

senza avere direzione.

E non sai

cosa risponda, alle domande

che mai ho potuto fare.

E neppure sai,

tra i ferri ritorti del cemento,

cosa significhi immaginare una casa.

No. Non lo sai,

cosa significhi

sentirsi dentro battere il cuore

e le ginocchia sciogliersi

mentre seduto sul vuoto

resto sorpreso

dal sapere che ancora

posso amare.

Non lo sai.

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Il fuoco ho visto,

rendere amaro un legno

e illuminarlo, prima, di sangue

dorato e rosso,

come un’alba furiosa

e annottarlo poi,

di nero carbone senza respiro,

fino alla polvere di cenere

nell’aria sospesa

e spegnerlo infine,

dopo ch’era stato germoglio

e braccio e foglia e frutto dolce.

E la notte,

ho visto vincere allora.

E ancora mi gela.

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