Sei, adesso, dappertutto,
come questo cielo che respiro
come il cuore che mi batte dentro,
come un viaggiatore che parte
senza andar via mai da me.
È così che posso amarti
con ogni goccia di pioggia
che immagino rubata al fiume e
colma di verde e foreste
e erba dolce
e su di te mi sdraio.
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Io so
dove esiste un raggio di cielo
e so
dove sono i colori della pioggia
e anche so
dove le labbra mi scolpiscono l’anima
e sempre so
ogni passo che mi manca
per potermi sedere sulla sabbia
e guardare il grigio della sera
mutarsi in te
che inventi il mio nome
e seme, lo fai essere
dei miei respiri di uomo.
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Sono in attesa di svegliarmi
e in attesa, sono
di far finta di non sentirmi
vuoto,
e aspetto, di fermare
il suono del tempo e
del mio cuore anche
mentre sono in attesa
di mangiare il pane
senza miele e sogni.
Ho smesso d’essere
mentre aspetto e
mentre primavera scorre
dentro i rami secchi.
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Illumina un raggio di sole le gocce
in bilico sul bordo delle foglie e
il vento le scompiglia e tremano
prima di cadermi sul volto
come lacrime d’oro che il pensiero
mi accompagna a te.
Questa luce che trova
ogni pertugio e nervo
sei tu che da me arrivi.
Mi tendi la mano allora,
al naufrago legno,
che mi salva.
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Non c’è rimargine
alla notte spezzata
posso solo aspettarla finire
camminando tra i ferri
che puntellano il mio corpo
dentro le mie vene senza più asfalto
tra insegne luminose spente
e sogni buttati via.
Sondo i buchi tra i cancelli
per cercare il cielo
ma io non ce l’ho
il cielo.
L’alba arriva senza di me.
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Arrivano, le lacrime,
mentre il vento guida la pioggia
sulle pietre sperse dei miei pensieri.
Pesano, le parole mie
calpestate da tutti i silenzi
che ingoio, tra i fiori nudi
sugli alberi di questa primavera
inconsapevole e fragile
al gelo che scende
dalle mie mani.
Torno smarrito
a contare le nuvole che si spezzano
mentre aspetto
che mi passi
questa sete impaziente.
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Dietro gli scogli del porto
l’acqua resta ferma, e protetta,
ma stagna, verde, e oleosa
sul fondale scuro,
come una notte di pozzo.
Pare invano, il vento furioso
seminato sul mare che frusta le onde
fino alla pietra scolpita dalla tramontana,
e invece libero porta parole
da oltre orizzonte e tramonti
e anche amori
traversati dal volo dei gabbiani
e separati, fino al dolore più fragile
e arreso.
Come un piede nudo
sui chiodi
che gronda sangue amaro.
Eppure vive
il mare sconfitto
e nessun porto,
avrà il sapore delle vele gonfie
di desiderio.
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Il vento nel camino
mi chiama
all’odore di cenere e legna acerba
e mi riporta
alla fame di bambino,
al dolore delle ortiche sulle gambe
al bisogno
d’essere abbracciato.
Ci sarà notte
e avrà stelle
nessuna, della tua luce.
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Da qualche parte
sono state travolte, le mura
del mio sangue denso
e sono entrate le foglie
che all’inverno hanno resistito
e la sabbia, portata dal vento del sud.
Hanno cumulato dolore
mentre respiravo
il fumo di ogni notte senza sogni.
Fermeranno i miei gesti
e le carezze
che non posso dare
mentre scavo terra e mute pietre.
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Sul margine del buio
cerco luci
e odori di pelle nuda
quando la montagna è solo un’ombra
che dal cielo separa
le mie mani.
Resta notte per me
senza la pelle nuda del mio cielo.
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Mi guardava, un fiore sgraziato
nato tra ceppi e mura divelte,
consumato da polvere di cantiere
ma non calpestato ancora,
o sepolto, da una pala al lavoro.
Forse era uno specchio scheggiato
rigato dai colpi, e guardava me.
E io non ho da fiorire ancora
e i colori miei sono appesantiti
e li difendo, perché annotteranno,
mentre restano alti
contro ogni cielo
oltre il dolore mio
che mi sommerge.
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Partecipare, vorrei
del sole che rompe la terra fiorendo,
e delle morbide foglie di gemma
che spezzano il duro legno;
lo vorrei delle ali di un passero
che, pesanti un istante appena, volano.
E parte del tuo respiro vorrei essere
perché sarebbe mio respiro
e sarebbe insieme
e insieme non ha morte.
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Il pensiero che non dovrei pensare
io penso.
Come un’ape intrappolata in un vetro
il mondo che non dovrei pensare
non posso toccare
e sbatto, e sbatto, e mi ferisce
ad insistere nel mio desiderio.
Non conosce pace il mio pensiero
solo la fame, e la sete
e la durezza trasparente
dell’impossibilità.
Ma il mondo è lì
coi suoi fiori sfrontati
e le curve delle strade
di cui non vedo la direzione e
con le sue scale verso una finestra
o un soffitto o un asfalto.
E anche con la gioia
che mi promette bugiardo.
Mi mancherà l’aria
un tempo e continuerò a pensare
il pensiero da cui dovrei tagliarmi.
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Suggerisco al vento
di raccontarti ogni mio amore per te.
Quello che scivola sul vetro della finestra
e s’aggrappa ad un tuo sorriso
quello che arde un tizzone intero
ma non brucia tra le tue mani;
quello che nasce ogni alba
e ti porta una goccia d’agrume,
sulle labbra.
Racconto al vento la storia delle mie
lacrime di pioggia
che mai potrebbero di te,
placare la sete; che ti bagnino,
un istante,
i pensieri, di me.
Prego il vento
di straziarmi in mare
fin quando tu non mi accolga
ospite lercio di salsedine
e di te illuminato.
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Avevi un sole caldo
dietro i capelli, da quella finestra
da cui entrava il mare,
e io avevo bisogno
d’avvicinarmi alle tue onde
per sommergermi di cielo
e nuotavo con te
in quell’acqua dolce tra gli scogli
e respiravo salsedine
dalle tue labbra.
Il caffè al mattino presto
nel paese deserto
lo prendo ogni mattina
mentre ti guardo
e non sono mai andato via
da noi.
Cerco il fuoco sempre
a piedi nudi e feriti
cerco le tue mani
per inventare nuove parole
d’amore.
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Non è orario
di scrivere
ma di rompere il vetro
e cancellare la distanza.
Mai l’ombra d’un albero
dovrebbe al fiore impedire
luce, e nascita.
V’è posto per l’albero
e un angolo di cielo per il fiore
e per i rami c’è il sole
da raggiungere.
Alla vita, e all’amore,
basta uno spazio di giorno
per essere.
Ogni giorno
ed ogni volta che l’onda arriva alla sabbia
è il necessario e quotidiano pane
ch’ogni fame mi toglie
e ogni alba
mi chiama a te.
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Nessuna parola
mi darà le pietre taglienti
sotto le mie mani
Per quanto io possa accarezzarle
e sanguinare.
E nessuna parola
mi farà guarire
dall’essere nato
solo per cercarti.
Né cerco cura
da questo male infinito
e ghiacciato
perché so
che di male di te
morirò.
Lascia le mie parole cadere
e guardami, e ascolta
battere ogni mio cuore
e insegnami, ad amarti.
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Sto benissimo
mentre mi sgretolo;
mentre dal cielo alto
cadono solo ombre di foglie
carezzate dal vento
e desideri piccoli
i miei.
Spersi, nel vuoto delle mie dita.
E sto benissimo
mentre nulla mi guarda
e aiuta
e mi stringo addosso una maglia
per proteggermi il cuore
dal gelo.
E sto benissimo
mentre un’aquila vola via
senza guardarmi
io che non sono.
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Io ti ho trovata
nella quiete dell’attesa del sole
e nel muschio secco giallo
delle pietre dei muri,
che indica l’unico tempo che ho vissuto.
E ti ho trovata
nell’acqua di monte,
uscita dall’inverno
che m’ha tolto ogni sete del mondo.
E ti trovo
dal finestrino di un’auto
che viaggi libera
e io ti aspetto
per aprire il tempio
di ogni vita che desidero vivere.
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M’è venuta una farfalla tra le dita
ho lasciato aleggiasse
leggera come un pensiero
dolce e costante
un istante solo
tra le mie carezze.
E non è andata più via.
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Non ho più fame;
sono pieno
di fiori senza colore e
erba bruciata
e cielo piombo.
Né mi sforzo
ad inghiottire
questo orizzonte chiuso
e la pioggia arida.
Sarò un albero d’inverno
ancora.
Fino a notte.
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Mi sono avvicinato
ad una pozza d’acqua
leggera, tra i monti e
tra le onde di vento
ho cercato il mio volto,
e non c’era.
C’erano le nuvole dell’alba
e il blu della notte ancora e
non c’ero io.
Con le dita ho toccato le mie labbra,
parlavo, da solo, al freddo
perché il sangue mi fermasse
dove nessuno era con me.
Poi, mi sono sentito respirare.
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Guardo bruciare una candela
e la sua fiamma trema
anche dalle mie mani protetta.
Ogni respiro la scuote e piega
e riaccende anche
mentre pare si spenga
anticipando il mio tempo.
Infine arde, ancora
senza consumarsi pare,
come un amore che la notte
vinca.
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Non lo so, se ci siano lune
in cielo, o stelle, che cadano dalle nuvole
per colpirni e neanche so,
se sia luce o buio ora
mentre custodisco vecchie foto
nel mio cuore rosso
di sangue .
Forse è notte
forse continuo ad aspettare la luce
ma corro, corro
incontro a te
ovunque tu sia.
Ho voglia di non essere
più.
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Di tutti i rumori intorno
solo il fiore ascolto crescere.
Solleva la terra
e trova il cielo
e ne respira il sole
per la prima volta
ogni volta che il mondo nasce.
Il resto è solo silenzio.
E capisco, perché primavera
deve passare per l’inverno.
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C’è la farò
ad essere una mela passata.
Con la pelle accesa e scavata
dalla sete d’acqua senza rami.
Ferita, da fame di uccelli .
Ma dolce ancora.
Proprio il tempo esatto
prima di cadere al tramonto.
Quando nessuno guarda.
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Per una qualche ragione
di ricordare, dovrei smettere
e permettere alle cose di non più essere.
Come un vento che in cielo
sparga nuvole bianche e alte
mutandole in inafferrabile orizzonte.
E invece voglio solo il futuro
scalpellare.
Se mi sia dato d’averne.
Cammino da solo
e il mio nome
smetterò di ricordare.
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Mi vado cercando
tra fiori di primavera impazienti,
e tra le nuvole scure
poggiate sui monti.
E mi vado cercando
tra i rami secchi di alberi polverosi
rotti da gemme rosse,
anche mi cerco
dentro questa sera
che il vento dimentica
per le strade del paese.
E mi sfuggo
come un sogno
che di me ride, al mattino.
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Sento ferirsi il mio cuore quando batte
e sento incerta, la luce della mia candela
quando il cielo è senza stelle.
Sento il dolore feroce delle mie gambe
che non hanno meta e
sento il silenzio scavarmi
nello stomaco vuoto.
Ho tutto capito male
e tutto mi è ombra, ora
che traverso la notte
senza mai sognare nulla.
Ho ucciso, la parte di me bambina
e fatta tacere
come un albero tagliato
che gronda linfa
e non fa rumore alcuno.
E leggero posso andarmene ora.
Al cimitero scavato negli scogli
sotto il vento di scirocco
e gli ulivi disseccati
da quel male terribile
che è assenza d’amore.
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Di quella casa colpita
una finestra accesa, avevo visto.
Avevo preso, senza volerlo,
ad immaginare una donna
che, di me ignara, si muoveva
intenta ai propri pensieri
senza me, mai.
E sentii che era
la mia stessa aria
ad essere respirata.
Che, spenta quella luce
ancora la stessa acqua
avremmo bevuto.
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Sono rimasto nel vento
a sera, chiusi gli occhi
mi spargevo sulla terra,
ascoltavo l’erba crescere
e dei fiori sognavo
il profumo.
Le mie mani sino al mare
sono arrivate e nella schiuma d’onda
alta, si sono sperse
fino alla rena della spiaggia
e rimaste a lucere tra gusci di conchiglia.
Non s’è mosso il cuore
fermo, tra le tue mani.
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Mi ricordo
quei piccoli garofani rosa
che spezzavano le pietre
con la loro terra e
addolcivano l’ortica col
loro danzare tenue
al vento basso che
raccontava di stalle
e scarpe dure e gesti lenti
come un respiro profondo
che dalla gola dei monti
risalisse oltre i muretti bassi
ai lati della sola strada asfaltata.
Come allora, oggi, sono i fiori
della mia solitudine assetata
sono i petali di pelle che non accarezzo
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Resto fermo, al vento
che mi porta odori di sabbia
senza mare,
scuro come il fondo di un vino
e celeste nei miei ricordi
mentre tu lo nuotavi.
Al fianco mio una volta,
senza dolori.
Resto fermo mentre vorrei
essere uno straccio
trascinato via
nella polvere delle foglie secche
e riposto poi, in un canto,
per forse macchiarmi ancora
di te.
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In una pozza opaca
galleggiavano petali di fiore
forse rubati dal vento.
Forse un messaggio d’amore.
Avevano profumo di carezza
e colore tenero;
parevano barche immerse nel cielo
rovesciato in quell’acqua
e luminoso
traversato fino a casa.
Nostra.
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Portami via
dove io possa vedere
rondini e alberi di mele
e cielo, attraverso i tuoi occhi.
Portami con te
tra i tuoi passi e i tuoi silenzi
oltre le montagne
che conosciamo.
Fino alla fine
dei miei pensieri.
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L’ho sentito arrivare
il tramonto.
Ha spezzato i rumori del mare
finché anche i gabbiani
han volato senza stridere.
Ha ombrato le mie mani
bianche di salsedine
e onde.
E mi ha poggiato il vento
tra le braccia perché potessi
cullare un altro mio giorno
passato. Nel silenzio.
Di fuoco i colori
si spegneranno, a notte.
Galleggiando leggeri
dove non posso toccarli.
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Entro un seno d’acqua
riparato da vento
scende leggera la fine del giorno.
L ‘ombra di scogli giovani
nereggia il mare, luccicando ancora,
tardi raggi di sole e
anticipa, la mia notte.
Non oso sfiorare nulla
di questo istante che scompare
e nulla mi resta tra le dita
per fermare il mio sguardo,
che di lì va via
cercando tra insegne e finestre accese
l’alba di domani
e ancora domani.
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Correvo
per trovare un cielo più leggero,
sospeso, tra i fiori bianchi
di un disordinato, albero di mele.
T’avrei portato una nuvola
per farti stendere al fresco
mentre cerchi i tuoi sogni
così vicini, alle tue dita.
Mi sono seduto
nell’erba appena verde,
per ascoltare l’odore
del mio cuore, appeso
agli angoli del tuo sorriso.
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Sai
sotto un albero c’è la terra.
Ci proteggiamo i piedi,
con le scarpe, da quella terra.
Raccoglie seccume e pioggia
e sputi, e merda.
Ed è solo terra
quella che nutre l’albero
e lo stringe al mondo,
mentre gira, tra giorno, e notte
e te.
Solo terra
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Avevo scoperto
di poter guardare il cielo anche
attraverso le sbarre di un lucernario.
Ci entrava luce
e le nuvole della fantasia
mia innocente.
I ferri intrecciati
disegnavano ombre sulla parete
ma non restavano ferme.
Mutavano il loro annerire
col correre del giorno
fino a lasciarmi la stanza libera
e l’azzurro allora
era solo lontano
come ogni abbraccio
che non riuscivo a stringere.
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Quasi nulla
posso raccontare al sole che cade.
Non ho potuto rompere
il vetro che mi separa
dal cielo.
E nemmeno ho potuto correre
veloce fino al fuoco
per poggiarmi due monete
sugli occhi chiusi.
Ho solo visto un albero crescere
e forse è tutto quello che ho.
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La pelle, mi sbuccio
per trovare aperte
le vene del mare che desidero;
per guardare il colore della mia carne
rosso, come l’alba che aspetto;
per ascoltarmi respirare
l’aria del tuo fiato.
E non mi fa male
perché di me non ho cura.
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E’ già pronta la notte
a lasciarmi in disparte,
tra le cassette di frutta annerita
dietro le mura di un mercato chiuso,
senza sogni, e lenzuola.
Io l’aspetto,
senza parlare, spegnendomi il fiato e
i pensieri, che restano vento
trasparente, e lontano.
Solo miei, e a nessuno posso
lasciarli tra le dita.
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Gira
il vento sull’erba
e la scapiglia,
come un pensiero inquieto
che trapassi lo stomaco e
non lo acquieti.
Viene dai miei confini
questo vento spaventato
e neppure i rami
d’alberi ritorti
lo placano un istante.
Gira
e non va via da me.
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Ho visto fiori abbracciarsi
sotto questo vento d’aprile
per proteggersi dal freddo.
Quel freddo inatteso
come un albero che cammini
e che gela il cuore.
Non so, se possano conservare
i colori dell’alba pura
o se debbano tramontare
nel giorno alto.
So però che, senz’essere avvinti,
già sarebbero bruciati.
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Mi scorre addosso questo vento
senza portarmi via pensieri
e assenze.
Mi lascia solo il silenzio
di un camino vuoto
senza fuoco più
o pagine bruciate.
Lontano, si piegano erbe e rami
un istante,
giusto il tempo di un ricordo
mentre il cielo s’ingravida di pioggia.
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A giorno, la luna in cielo,
con la sua faccia ombrata, cerca le stelle.
Per noi scomparse.
Le tiene per sé come un segreto dolce
e le sparge, tra i suoi sogni nascosti.
Per ognuna delle stelle dormienti
c’è un fiore in terra
che chiede occhi che lo cerchino.
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Uno stecco di ramo
si spezza, a notte
come una mano caduta
e resta, nella terra aperta
in silenzio.
Nessuno ascolta lo strappo
dalla linfa e il cuore fermarsi.
Quel legno scappato
mi duole dal petto
e al buio
lui, come me, non esiste
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Ho guardato spargersi
alla terra lontana,
i semi piumati d’un fiore
trasparente, come il cuore mio
pesante.
Rimestati dal vento e
condotti per mano
ad uno spicchio di prato nero,
trasparente il prossimo anno
come i solchi rigati del mio volto.
Del fiore è rimasto
uno stecco nudo e vuoto,
delle mie braccia accese,
specchio, ora opaco.
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Ci sei tu
sulle cime degli alberi
d’improvviso vestiti
e ci sei tu
tra le pietre e il muschio
dove nascono fiori
dal colore dei sogni.
E ci sei tu,
sugli specchi d’acqua e cielo.
E tutto di te, chiama a vivere
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Vorrei conoscere, il fondo del cielo:
forse somiglia ad una risposta mai data
oppure profuma
come petali di una crisalide.
Vorrei arrivarci, alla fine della luce
e già so, il fondo del buio.
Del mare, il fondo riconosco;
è quando in me, trovo ancora dei resti.
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Guardavo un albero, nato solo,
al culmine di un dirupo,
far volare via le sue foglie
e disegnare nuvole del cielo,
sfuggite dalle braccia,
come una partenza senza destinazione,
di nascosto dal giorno.
Pareva volersi strappare le radici e
inseguire sogni ingenui,
per cadere infine,
tra sassi che tagliano la corteccia
e linfa sanguinante.
E ogni giorno è lì invece,
nel gelo del silenzio
a sollevare il sole
dalla notte in cui s’è perso.
=======================================================================
Ho del tempo, da regalare.
A chi voglia ridere ancora di me.
Ad una bambina che impara a correre.
Ad un vecchio che voglia ascoltare storie.
A chi abbia bisogno di una spiaggia libera.
A chi voglia pulire il cielo.
Lo regalo, il mio tempo.
Quello che resta.
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Restavano, appena in equilibrio, gocce,
come lacrime trasparenti,
sui rami verdi di ginestra arruffata,
mentre il cielo lasciava scorrere nubi
contro l’azzurro aperto ancora,
prima di pioggia nuova.
E cadevano lente in terra
vinte, dal peso di fiumi, e mari,
che erano, e dal dolore
di un passero scacciato dal sole.
Una, ne ho sfiorata con un dito,
e mi si è sciolta tra gli occhi,
come un grumo di cristallo rotto
e d’un canto, dimenticato.
=======================================================================
C’era un albero lungo la strada
solo, era cresciuto,
in uno slargo verde
dalle pietre aspre abbracciato
e protetto.
Il tronco era ritorto, su sé stesso,
come un cordame di nodi stretti
che si allacciavano,
con la stessa furia, e disperazione,
di un amore inesausto
e finito mai.
Pareva un ricordo solenne
sorpreso a sé stesso
d’ancora vivere
tra umane prepotenze.
=======================================================================
Resterei,
tra queste macchie di luce,
mentre il cielo gioca col vento
e consola i pensieri.
Respirerei,
queste macchie d’ombra
mentre i rami nascondono i nidi
e mi si spegne la gola.
Ma voglio inseguire una farfalla,
senza sporcarle le ali.
=======================================================================
Seguivo una stella
non nata, ancora,
per camminare ogni notte
ed ogni buio,
e trovarti.
Chiudo gli occhi ora
e metto le dita nude
su una fiamma di candela
urlante
e cerco la strada
per trovarti, sempre.
=======================================================================
Questi mattoni di terra rossa e vino
mi proteggono dal giorno
e mi raccolgono, a notte,
quando ho finito i sogni,
e non mi sveglio.
=======================================================================
Della mia vita,
ne ho abbastanza
e fa nulla
se dimentico che
non sono io,
a decidere, magari
decide una volta il luogo,
l’alba, o il baratro del monte
dove ho ascoltato
le mie condanne
e il silenzio che precede
la gioia incredula,
degli uccelli vivi all’alba.
Il prossimo mattino solo,
m’è rimasto tra le mani
e di me m’importa,
quel nulla che serve
a chiudere la porta.
=======================================================================
Guardo il cielo,
ombrato dai voli di rondine
divaganti,
come vento tra le rocce taglienti,
e respiro,
delle loro ali falciate
il pensiero veloce
che, con una matita spezzata,
stendono sui miei occhi.
Anche io,
apro le braccia
e m’accolgono le nuvole,
che vorrei mi piovessero.
=======================================================================
Raccoglie briciole, un passero
e fili d’erba e semi d’albero nel vento
e sceglie un angolo nascosto di mondo
per innalzare un nido
al suo furore d’amore e
al desiderio suo di altri voli,
senza sapere mai
se resterà solo
a guardare la polvere poggiarsi
sulle aperte sue ali.
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Sulle foglie, la pioggia
è una carezza insistente
che le scuote e piega
senza pesare mai.
L’acqua di cielo ne segue le venature
fino ai bordi, e poi oltre, scivola,
portando con sé
del verde il profumo
e il desiderio di restare protetta
tra i rami, e mani aperte.
S’impiglia tra le mie labbra
e mi scende al cuore deserto,
colmo di semi da fiorire.
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Di cadere, ho deciso
per essere pietra staccata dal monte
e smettere d’essere trovato
polvere come sono
nella terra che mi fiorisce accanto.
Adesso sento il vento
andarmi via e il sole bruciare
e chiedo acqua
per disciogliermi, nel tempo,
come un sale senza memoria.
Tra le mani d’un ragazzo,
chiedo un istante di restare,
prima d’essere lanciato al cielo
per amore
e rabbia.
=======================================================================
Di te sono ubriaco
solitudine
che sei il semaforo rosso di ogni mia strada
finché, veloce, mi spezzi il fiato
e i sogni ciascuno
che vorrei fare,
nel silenzio di tutte le risposte
che mai avrò mie.
Lasciami morire, fiato.
Non mi serve più vivere.
Ne ho tristezza,
di ogni cuore che dentro mi preme,
e l’orologio butto dal polso,
perché nulla mi trattiene
dalla mia musica ultima.
=======================================================================
Solo a notte
cammino in equilibrio storto
sulla corda sospesa
tra le cime dei monti
che a te mi portano
ovunque tu sia.
E al freddo di ogni notte nuda
trovo la pietà che serve
per portarmi verso l’alba
e non interrompermi
finché posso
e vedo una luce di finestra
accesa.
=======================================================================
Una voce, ci sarà,
per chi non ha avuto scelta
per chi scegliere non ha potuto.
Avrà colore di sangue di papavero
e di tramonto sul mare scuro
d’ombra di navi nemiche
e sarà vento contrario
d’acqua versata.
Sarà voce senza parole,
solo la paura di cuore chiuso
solo il volo sghembo
di passero colpito.
Eppure incisa,
su ogni asfalto dei passi
e su ogni finestra rotta
e mai sarà in silenzio.
=======================================================================
Di muschio giallo seccato, a macchie,
era coperto il pavimento del tetto,
rialzato dalle cupole
delle stanze a volta, sotto,
silenziose e segrete
di donne e uomini odorose
e di legni poveri,
truccati da velluto rosso
e spolverati, all’occasione.
Si toccava da lassù il mare
e s’annusava la corrente al mattino
prima d’andare in barca
a tentare la sorte e la fame.
Tranciata, quella casa ora,
e il mio tempo della meraviglia.
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Nulla più inghiotto
se non acqua,
che mi plachi il deserto di te.
E non basta.
E non è per gli alberi pioggia
né per il mare appagamento.
Solo rumore lontano
che non copre il tuo canto.
=======================================================================
Mi urla veloce, il cuore
e non lo sento.
Nascosto tra le foglie d’un albero rifiorito
aggrappato ai rami
per non scivolare dal cielo.
E’ come un asfalto
dal gelo crepato e rotto
che sbriciola il mio tempo finito
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A piedi nudi
su un legno piagato,
della mia fame di vivere
m’accorgo.
E ascolto la pioggia arrivare
che mi lavi via
tutto l’assurdo silenzio
appiccicato
alla pelle mia vuota
e segnata di salsedine e memoria.
Fiorire possa
un sorriso dalle mie rughe
che è ancora giorno.
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Giro tondo giro
gira il mondo tondo
gira fino a sera
sino al giorno prima, com’era,
ma non gira mai, dove vuoi
ha sue strade e tu le corri
contro vento, sino alle torri
d’una vita partita
senza ritorno e preziosa
quanto più la perdi,
tra le dita,
mentre cerchi
di giocare pulito
persino sull’orlo dell’infinito, orizzonte
sfuggente, e da solo
resti senza volo, e l’abbraccio,
e t’abbraccio, di nascosto
in ogni posto che conosco e
in ogni sogno che m’inganno
e regalami vento e respiro
perché giro, e rigiro
fino a te, in tondo.
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Apri i tuoi colori fiore
alla pioggia e al caldo respiro
di terra calpestata eppure viva .
Accogli le carezze che nessuno
ti dà e piega la testa
allo sguardo che ti spezza
e ti allontana il cielo.
Continua a darti luce,
quella candela che non si spegne
sotto un ponte fangoso
nel vento di ferro,
fragile.
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Dentro la notte, avrei potuto restare
a sentirne il fiato e il freddo,
ma ho camminato
a fatica, e spezzato, dal dolore,
e ho cercato luce, e ascolto
e un gesto solo, di tenerezza
e fuoco amico.
Ho sbattuto in specchi
e miraggi, e deserti di fata morgana,
senza mai alzare un grido,
o una mano
in mia difesa neppure.
Umiliato, ogni giorno,
e nulla cosa, la mia pelle
e di nulla parola degno
ho continuato a tenere gli occhi
dove il mare cerca origine
e le onde s’alzano tremende
perché della morte mia non ho paura,
più.
E tremo.
Di ogni dolore ho sentito i tagli,
innocente,
e stupido, come una vacca al mattatoio,
questa notte ho negli occhi
e la scavalco
perché io.
Mi merito l’alba.
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Muta, m’è diventata
la stagione di fioritura e
il vento contro mi porta via
le voci e ogni sapore
e cerco allora giorni dispari
e alberi spezzati
per imparare parole nuove
di nodosi grumi sciolte.
Abbassa a me i tuoi occhi
che io possa nascerti tra le dita.
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Ingannami tempo, con una favola;
raccontami, d’una schiena umiliata,
che non fa male,
e del silenzio, che è solo quello
degli occhi che si guardano
per scrivere parole mai dette,
e rompi,
i vetri di petali e rose
che ho alzato sui sogni miei;
frantuma, tutto quello che non ho,
e spargilo,
a far seme di deserto e sale.
Fa, che il prossimo passo
abbia solo meno freddo.
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Raggi di luce polverosa, dritti,
lacerano le nuvole e
danno voce ai voli bassi delle rondini
rade in caccia
appena sopra il filo dell’erba
mentre il vento agita degli alberi
i cuori fragili di linfa
e il tramonto inizia.
Mi gioia che il mondo prosegua
ancora ad andare, pur senza me.
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Dal traverso delle gocce di pioggia
guardavo tappeti di cielo azzurro
ombrato dalla sabbia di scirocco
ed ero terra aperta e
impaurita di poter ancora fiorire.
Tra i rami, gli uccelli riparavano
l’un nell’ali dell’altro
in un abbraccio, che m’era strada
nel vapore della terra calda.
Sentivo andar via, il temporale
che m’aveva sorpreso
e non avevo più casa,
né i sacchi di iuta che, da bambino,
m’erano tetto e armatura.
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Scavo, nei battiti del mio silenzio
per trovare il cielo che inizia
a togliersi il velo notturno
mentre ancora le stelle
mi indicano strade vuote
che a gran velocità corro
per arrivare presto
al mio desiderato nulla.
E di nulla, mi contento.
Perché so quanto valgono le mie braccia
e quanto scaldo il fuoco.
È enorme il cielo che si brucia di blu
io mi stendo in terra
e chiudo gli occhi.
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Un solo petalo di rosa selvaggia
sulle dita mi lascia pace
m’apre il cielo e lo sprofonda
e mi cura
un istante almeno,
del mondo e delle paure.
Fossero le nuvole
profumate di quel petalo
e la pioggia odorosa,
che mi lavi via
il ferro e il cuore
e mi sciolga l’inverno della sete.
Vorrei non più desiderare.
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Mi aveva lasciato solo
il mio mare.
Non avevo isole
di maghe d’acqua trasparente
e nemmeno spiagge infeconde
dove togliere al vento le parole
incise nella sabbia.
M’era rimasto solo di tramontare
e l’ho fatto.
Prima dell’ora,
prima del cielo bruciato dal rosso,
sono salito su una pianta di fico
per rovinare, a terra,
e restare, rifiutato.
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Tutto, ho da imparare,
dal silenzio dei colori, quando annotta,
e dalle voci lontane,
non a me rivolte.
E tutto provo ad imparare
dal canto dell’aria
che passa senza di me
e si perde tra i rami
e i sogni.
Tutto, imparerò, promesso,
dai sorrisi che non posso vedere
e dalle mie mani spente.
E tutto, mi ha insegnato
un’erba sola e timida e tenace
e bruttata.
A desiderare il sole.
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Non so, se potrai perdonarmi, cielo,
per aver continuato a cercare
il mio antico gioco perduto.
Lo pensavo dentro oscure navi
e ne cercavo le mani aperte
da portare, sollevandole, in aperta luce.
Lo temevo dimentico
di me e d’ogni mio pensiero
affidato ad una scatola di memorie.
Lo cerco con ogni sguardo che possiedo
e con ogni parola che conosco
lo chiamo
perché mi torni innocente bambino.
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Un martello, picchia continuo il muro
e lo soffia via
sui fiori già spenti,
della primavera d’inverno.
Ci sarebbe silenzio,
senza quel battito d’orologio
che sgretola la memoria
densa di luce.
E invece ascolto i colpi
d’un lavoro paziente
inteso alla mia cancellazione.
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Sfiorire ti ho visto, rosa,
lo stelo piagato dal secco
i petali, abbrunati dal silenzio delle carezze,
e piccoli neri semi sparsi in terra
come lacrime che non hanno avuto
requie.
Morbida resti, se ti sfioro,
come il segreto inesausto desiderio
di te aver cura.
Della tua rinascita non so
se avrò notizia,
o se mi resterà nel sangue una spina
che l’abbia per mano condotto,
al fondo delle scale
dove le bugie
non servano neanche più.
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A chilometri di distanza nel tempo,
restano taglienti le ferite
d’amaro mare
e ancora lasciano sulla strada mia
nero sangue color cuore.
Credevo d’esser felice
ed ero solo illuso
d’estate infinita,
prima di questo inverno arido.
Respiro polvere di sudore e sale
e la mia sete nutro
dell’odore lattiginoso di fico bugiardo
e non ho più, mattine d’attesa.
Solo di tramontare, ho voglia.
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Arriva il vento di sera
porta vicino, l’orizzonte,
e le pagine vuote scorrono
tra le parole che cerco
per dirti quanto sono escluso
dalle onde e dal pane
e quanto io tramonto
mentre sulla pelle si placa
la sete, mai, di te, però.
D’andare è ora,
e dolce è il buio che mi aspetta.
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Il canto furioso dei gabbiani.
Il mare che si adagia sulla sabbia.
Un frullio di passeri spaventati.
I fiori bianchi che stendono i petali.
La barca che prende le onde.
Il vento che mi libera le mani.
Una foglia che cade.
I miei passi, non fanno rumore, mentre sento i suoni del giorno che arriva.
Che sia per tutti dolce.
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