Come si arreda un mondo che vorrebbe trattenerti al suo interno, e mai farti scivolare via ?
Tra le fantasie di ognuno di noi, forse, ogni tanto, si fa strada l’immagine di una casa ideale. Magari immersa nel verde; oppure al centro di un Centro Storico, o, per esempio, a due passi da un mare cristallino. Questa casa poi, al suo interno, potrebbe contenere di tutto. Infinite librerie; giardini magnifici; una cucina ipertecnologica e fornita di ogni ben di Dio da offrire; una palestra, una stanza dei giochi, o un terrazzo capace di mostrare ogni bellezza intorno.
Questi, sono solo pochi esempi, per raccontare come si possa costruire un luogo, potendoselo permettere, che sia capace di soddisfare ogni nostro desiderio; talvolta, persino prima che noi si sia in grado di definirlo, quel desiderio.
Non vi è molta differenza, in fondo, con quello che accade su Facebook.
Il “sistema Facebook”, arreda le nostre pagine. Le riempie di contenuti.
Tutti sappiamo che lo fa scrutando, profondamente, in quel che facciamo quando siamo al suo interno, e anche quando siamo al di fuori, in altri “sistemi” comunicanti. Tutti sappiamo di aver ceduto a Facebook, in cambio della nostra presenza gratuita nell’ambito del suo “sistema”, ogni goccia delle informazioni che, consapevolmente, o inconsapevolmente gli forniamo. Tutti sappiamo che il prodotto che Facebook vende, sono esattamente le informazioni che ci riguardano, e che consentono a poche aziende, quasi tutte statunitensi, non solo di tenerci sotto controllo, dal punto di vista della “sicurezza” americana, ma anche di costruire dei “profili”. Per meglio dire, queste aziende, hanno l’obiettivo di conoscere, con la migliore approssimazione possibile, i nostri gusti, le nostre idee; quello che ci interessa e quello che invece ci interessa meno.
Questo patrimonio di conoscenza che noi forniamo, gratuitamente, consente di individuare il nostro “profilo” di consumatori, cui avvicinare prodotti e servizi in modo il più possibile “personalizzato” ed attraente, ma anche di centrare il nostro “profilo” di cittadini, da influenzare e manipolare, al bisogno.
Questo “gioco di avvicinamento”, continuo, a tutto quanto susciti una nostra reazione, o a tutto quanto potremmo avere intenzione di acquistare, rende chiaro anche l’interesse di Facebook a farci restare il più a lungo possibile all’interno del suo “sistema”. La nostra permanenza, in termini di tempo, anzitutto, sul social network, è, a sua volta, un ulteriore regalo che noi facciamo al “sistema”, e che il “sistema Facebook”, vende ai suoi inserzionisti, e a tutti quelli che abbiano interesse ad isolare con la maggior precisione possibile, “tipologie” di consumatori, e di cittadini e cittadine, cui offrire spunti e stimoli di ogni genere, atti a confermare, consolidare, o cambiare la loro opinione, su una singola questione, o su questioni più generali, quasi tutte di rilevantissimo spessore culturale, sociale e politico.
Ed è anche per questo motivo, che attiene evidentemente allo specifico interesse economico del social network, che Facebook si affanna, in ogni modo, ad offrirci “elementi di arredamento” della nostra casa ideale: perché noi possiamo apprezzarli, guardarli, ascoltarli, e ancor più rafforzare il nostro legame con la “casa ideale” Facebook.
Come tutti sappiamo, su Facebook, abbiamo la possibilità di scegliere, con chi essere in contatto, e per questo, selezioniamo le persone a noi affini, o che costituiscano per noi un qualche interesse, o, per converso, talvolta cancelliamo certi nostri contatti, con i quali non desideriamo più avere alcun scambio. Così, il “sistema Facebook”, non solo ci offre liste di persone “che possiamo conoscere”, ma, soprattutto, inserisce sulla nostra pagina, un numero enorme ed imprecisato di offerte di contatto che abbiano a che fare con tutto quanto, secondo quel che Facebook ha dedotto di noi, sia di nostro interesse, in ogni campo del vivere.
Ecco allora, che, per “arredare la nostra casa ideale”, il “sistema Facebook” ci propone di acquistare ( visionare ), foto di attrici e attori famosi che ci piacciono, o ci ricorda grandi registi cinematografici, o ci offre video di scene memorabili di film più o meno riusciti.
Il “sistema Facebook” individua la nostra squadra del cuore, in qualsiasi sport, dal rugby al basket, al calcio, al cricket etc. , e ci consiglia continui rimandi a foto o video dei nostri beniamini che vincono o compiono grandi imprese sportive, nel presente, ma, soprattutto, nel passato. Ed un analogo meccanismo pone in essere per singoli atleti, in qualsiasi disciplina, dall’atletica al pugilato, al ciclismo, al tennis etc.
Ma il “sistema Facebook” agisce in ogni campo dei nostri possibili interessi, ed ecco allora che siamo inondati di rimandi verso i cantanti o i gruppi, o i generi musicali che più ci piacciono, come pure verso cartoni animati, o trasmissioni televisive, o radiofoniche. E ci vengono offerte memorabilia del passato di ogni sorta, compreso il taglio dei capelli o il vestito indossato in epoche trascorse.
Ed insieme a tutto questo, troviamo sui nostri schermi le opinioni di chiunque sia valutato essere “portatore di traffico internet”, su qualsiasi argomento: dal trucco per la donna, alle diete, al modo migliore di fare bricolage o cucinare un piatto o dirigere le Nazioni Unite, e siamo attratti da brevi video di comici noti e meno noti, o da poesie, o citazioni di personaggi famosi, e, talvolta, da inserti che vorrebbero essere umoristici, anche quando si tratti di umorismo di bassissima lega, e talora con venature misogine o razziste.
Un ulteriore mondo di soggetti che desiderano interloquire con noi, e catturare la nostra attenzione, ha a che fare con opinionisti di ogni genere, professionisti e dilettanti; curatori di riviste on line; giornalisti o presunti tali, d’ogni settore e con specializzazioni in qualsiasi argomento, ma in particolare, sui più vieti luoghi comuni.
Gli algoritmi che governano il “sistema Facebook”, sono costruiti per moltiplicare all’infinito, sotto i nostri occhi, qualsiasi cosa, una volta da loro individuata, generi in noi un qualche livello di attenzione e interesse.
In tutto questo, ovviamente, circolano interi mari di “specchietti per le allodole”; di facili esche cioè per la nostra curiosità o per le nostre ossessioni e compulsioni o passioni sincere ( ed in parte sono questi i mari nei quali prosperano le distorsioni di notizie, o la selezione capziosa delle notizie, o la loro manipolazione, anche la più grave ), ma anche qualche materiale che abbia un effettivo interesse.
L’elenco, è, ovviamente, assai parziale, ma, a ricordarci che noi siamo il mercato che interessa il “sistema Facebook”, intervengono le inserzioni a pagamento ospitate sulle nostre pagine, e sempre offerte presumendo, sulla base delle informazioni raccolte su di noi, che possano essere di un nostro, anche vago, interesse: personaggi politici o candidati a questa o quella elezione; associazioni di ogni genere; aziende che vendono i loro prodotti o servizi; mezzi di informazione di massa, etc.. Una inserzione a pagamento, la ritroviamo ogni tre pubblicazioni dei nostri contatti, e, nonostante ogni tanto circolino in rete, cervellotici sistemi, cui si chieda di aderire e credere, per ripulire la nostra esperienza sul social network, da ogni “pubblicità” ( sistemi a loro volta finalizzati a tracciare il profilo di soggetti facilmente influenzabili ), da questa invasione di campo non possiamo difenderci, poiché è uno dei pilastri sui quali si regge il fatturato del Social Network.
Se però, per un solo istante, provassimo a rintracciare qualche comune legame tra tutte le inserzioni che compaiono sulla nostra pagina Facebook, non veicolate dai nostri contatti, ma dal “sistema”, ci accorgeremmo che esistono alcuni tratti che caratterizzano il tipo di esperienza che ci venga offerta.
Si tratta in generale, solo per guardare alle loro caratteristiche più evidenti, di elementi che servono a rafforzare una sorta di identità che noi proiettiamo, di noi stessi, ogni volta che entriamo nel “sistema Facebook”, o interagiamo con qualcuno dei “sistemi” collegati: Instagram e WhatsAp, ad esempio. Il loro compito è confermarci nelle nostre tendenze, vere o presunte, quali che esse siano.
Tali conferme avvengono in particolare attraverso il rimando ad elementi di cultura popolare, che possano essere condivisi da pluralità, il più possibile ampie, di persone.
E questo processo è enormemente facilitato dal richiamo ad elementi di cultura popolare del passato che agiscano anche da caratterizzazione generazionale.
Il “sistema”, quindi, in larga parte, agita di fronte a noi un intero palinsesto di riferimenti, in particolare attinenti il mondo della cultura popolare, sportiva, dello spettacolo etc. declinati però al tempo passato. Un universo rassicurante e conservatore, che vellica il nostro desiderio di individualizzazione, offrendogli però caratterizzazioni spesso stereotipe, magari di altissimo livello, ma incapaci di aprire qualsiasi nuovo discorso.
Il tipo di soggetto che il “sistema Facebook” cerca di fabbricare, è un “uomo nuovo” che abbia continuo bisogno di essere rassicurato da elementi culturali più o meno universalmente accettati e condivisi; che sia pronto ad ascoltare qualsiasi offerta di consumo gli venga proposta, perché tagliata il più possibile sulle sue misure; che costruisca le sue opinioni su riferimenti spesso generici, perché pensati per cercare una minima comunanza con ciascuno degli utenti. Un individuo, massimamente individualista, ma dipendente dall’altrui consenso ( ricercato poi anche attraverso i segnali di accettazione che gli utenti sono invitati a porre simbolicamente, sotto le pubblicazioni di ciascun utente, che quindi, spesso, a questo unico fine sono piegate ).
Un individuo che si muove in un mondo, in cui il “sapere”, è solo quella “sublime ed eterna ricapitolazione”, che Jorge Da Burgos, il bibliotecario assassino de “Il nome della rosa” di Umberto Eco, contrapponeva all’esigenza di ricerca cui faceva invece riferimento Frate Guglielmo da Baskerville, suo positivo antagonista.
Non sembra esserci progresso, nella casa ideale che Facebook ci offre, ma solo specchi nei quali rimirare la nostra vanità, più o meno legittima.
E credo sia questo, il pericolo più grande che corriamo tutti noi utenti di Facebook: quello di accontentarci di un mondo fatto solo di passato, e di conferme, e di ricerca del consenso e di consumo; di accettazione sociale mediata al più basso livello: un mondo fermo e che non desidera andare avanti e sperimentare e confrontarsi, anche attraverso un uso regolato del conflitto.
Esistono, naturalmente, eccezioni a questo ecosistema.
In particolare nell’uso creativo, o di approfondimento, che molti utenti fanno, anche sul piano del linguaggio, delle immagini o dei riferimenti testuali e metatestuali che offrono. Ma si tratta di una minoranza, purtroppo, peraltro boicottata strutturalmente dal “sistema Facebook”, i cui algoritmi sono fatti per porre in evidenza, sempre, solo elementi che costringano a restare dentro le pagine del Social Network, seppellendo nell’indifferenza tutto quello che richiami a mondi esterni o ad altre piattaforme di riferimento, o a mondi autocostruiti e diffusi.
La questione vera, è che stiamo provando a ragionare sui comportamenti di una azienda privata, che ha libertà, quando non violi le Leggi, di organizzarsi e costruirsi come meglio ritiene più opportuno per ottenere il suo scopo ultimo, che è il profitto, ma la cui azione si svolge in una dimensione totalmente pubblica, e però del tutto indifferente alle ricadute collettive dirette ed indirette del suo “modo d’essere e funzionare”; in termini di formazione delle coscienze, di libertà dell’informazione, di regolazione delle relazioni sociali e del discorso pubblico, tra l’altro.
Confesso di non avere alcuna illusione sulle possibilità reali, in questo tempo, di cercare una giusta dialettica tra le scelte aziendali finalizzate al profitto e le loro conseguenze su un piano che potremmo definire sia pre-politico, che politico nel suo senso più generale; e nemmeno credo che una forma di attivismo positivo esercitata dagli utenti del Social Network, possa aprire finalmente una vera discussione sull’impatto che questi sistemi oggi hanno sulle società aperte, in generale, e sulla Democrazia in particolare. Basti pensare all’indifferenza formale del Social Network rispetto al contesto nel quale opera, se è vero che Facebook, pur d’essere presente anche in Paesi governati da regimi autoritari o dittatoriali, accetta comunque che quegli Stati pongano dei sistemi di controllo al suo interno, atti ad individuare e colpire ( o impedire ) il dissenso politico o religioso.
Ma confesso anche che il fenomeno “social network”, che riguardi Facebook, o altre piattaforme, ha assunto ormai un peso qualitativo, derivante dalle quantità assolute di utenti che lo frequentano, tale, da farlo divenire imprescindibile, per chi voglia guardare ad uno degli aspetti della nostra realtà, che anzi, ormai, sempre più la caratterizza e definisce.
Io credo, che un movimento politico che voglia occuparsi del futuro della Società, in una Democrazia, abbia il dovere di confrontarsi con questi temi.
Facebook, ed i social network più in generale, non sono più una variabile, più o meno simpatica e divertente, del mondo nel quale viviamo, ma sempre più ne definiscono le caratteristiche di fondo, persino nella coscienza dei cittadini e nel loro modo di relazionarsi.
E’ da irresponsabili, e da culturalmente subordinati, far finta di nulla.