Un tempo, Milady de Winter, era Lana Turner.
Diva di Hollywood, dalla vita privata tormentata e pericolosa. Dagli amori folli, e proibiti, e mortali. Era il serpente tentatore del Paradiso Terrestre; un perfetto contraltare della purezza vagamente insensata, con cui i Moschettieri del Re si battevano per l’onore della loro Regina, come fosse una novella Dulcinea del Toboso, cui dedicare ogni sorta di cavalleresche imprese.
Era cattiva, Milady, e la sua sconfitta, e la sua fine, erano solo una tappa, neanche tanto dolorosa, della strada che avrebbe portato alla salvezza finale della Regina, che poteva così continuare a nascondere le proprie frequentazioni adulterine. Il Re, avrebbe continuato ad essere cornuto e contento: tutti, avrebbero continuato a sapere che il Cardinale Richelieu, sotto sotto, era un cattivo soggetto, e il regno di Francia avrebbe potuto continuare a galoppare incosciente, fino all’Illuminismo, e alla Rivoluzione, che avrebbero spazzato via tutti quegli eroismi gratuiti; quei mantelli svolazzanti, quei cavalli galoppanti, e quei cappelli a larghe tese, che nessun vento, avrebbe potuto mai portare via dalle eroiche teste dei leggendari spadaccini.
Un tempo, ogni puntata che Dumas padre pubblicava su “La Siecle”, doveva concludersi con un colpo di scena, che avrebbe fatto attendere con trepidazione la pubblicazione seguente e, certo, questo ritmo indiavolato, ben s’adattava all’indole del quarto Moschettiere, che, pur non essendo presente nel titolo del romanzo, ne è il protagonista.
Forse casualmente; forse perché la penna ha portato l’autore da quel lato; di certo, ne è il protagonista ideale. Giovane, focoso, impavido, facile ad innamorarsi e, per le sue passioni, pronto ad ogni estremo sacrificio di sé.
Dumas, disegna gli archetipi dell’avventura contemporanea.
Una squadra di eroi tra loro solidali e amici; un avversario forte e subdolo e senza scrupoli; una donna oscura, dal passato infelice, pronta a favorire le trame del male; una donna innocente destinata a morire; un regno da difendere da nemici cattivi, e grandi motivazioni ideali, capaci di farci tifare il bene, contro il male.
Dentro questo schema, che intreccia amore e morte, peccato e redenzione, eroismo e viltà e che avvinghia ciascuno dei protagonisti in legami mutevoli e modernamente ambigui, è possibile immaginare qualsiasi variazione sul tema.
Da centosettanta anni, grosso modo, ciascuno di noi, più o meno dall’infanzia, conosce il canovaccio fondamentale della storia dei Moschettieri del Re, e negli anni, le sue rappresentazioni, cinematografiche, in particolare. Non c’è più bisogno di didascalie e di voci fuori campo, per spiegare il clima, il tempo, l’ideologia e i valori che muovono i protagonisti. Tutti partecipano di quella comunità di informazioni e riferimenti. Tutti sanno chi è dalla parte giusta, e chi è dalla parte sbagliata.
Qualsiasi eccesso d’ardimento, può essere concesso a D’Artagnan, e ai suoi tre commilitoni. E qualsiasi nefandezza può essere attribuita al Cardinale e ai suoi sgherri. La Regina sarà sempre un contrasto vivente, tra la sua attrazione per il Duca inglese, inconfessabile, e la sua devozione sincera per il Re e per la Francia. Milady, dovrà però sempre essere bellissima e rancorosa. Quel che ha subito in passato, alimenta la sua personale vendetta contro il potere ed il mondo e gli uomini: ne fa un colpevole perfetto, che, su di sé, incarna ogni male, e, in particolare, il tentativo di sovversione dell’Ordine, ben più del Cardinale che, al massimo, è solo un luciferino e perdente – inafferrabile – Andreotti.
Questa storia dei Tre Moschettieri, ha in sé ogni stigma possibile che ne consenta la ripetizione in ogni tempo, e secondo lo spirito di ogni tempo; e, contemporaneamente, i germi che la trasformino in una commedia avventurosa – mai però farsesca perché al valore dell’onore delle regine e delle donne in generale, e della patria in special modo, bisogna sempre crederci, almeno un po’ – spogliandola dei suoi eccessivi pathos mortiferi.
E’ qualcosa che non riesce così bene neanche all’Iliade, che pure è materia di studio in buona parte del pianeta. O, forse, in una certa misura, è stata l’Iliade, a fornire alcuni spunti fondamentali, a Dumas, per mettere insieme avventure tanto accattivanti.
I Greci però, muovevano guerra per l’onore tradito di un uomo, abbandonato dalla moglie che s’era innamorata di un altro, e non per difendere l’onore, che poteva essere travolto, di una Regina non proprio fedelissima. Diciamo che i Francesi sono un po’ più flessibili e aperti ? O magari, sono solo consapevoli che una storia, può essere osservata da molti punti di vista diversi.
Eva Green, è bellissima, e incandescente.
Ed è la protagonista, di questo film. Ed è suo, il punto di vista che anima questo secondo capitolo della storia dei Tre Moschettieri, riletta dal regista Bourboulon.
Milady muove le fila degli accadimenti. Milady Eva Green non è l’oscurità ombrosa di Milady Lana Turner.
Milady Eva Green splende, e lotta, contro la propria eterna capacità di seduzione e, nello stesso tempo, di essa si serve come di un’arma affilatissima e infallibile. Milady Eva Green permea di sé le trame della storia, e le piega alla sua tradita gioventù di donna.
Nel romanzo, il marchio del giglio, sulla sua spalla, racconta la sua adolescenza di ladra, forse; in ogni storia successiva, al marchio, si dà il senso che la piega della storia suggerisce: è il marchio dell’adulterio, dell’assassinio, della morte, semplicemente.
Una donna, deve essere marchiata, del peccato che ha commesso, e, per esso, giustiziata, e nessun perdono, può avere, e, per la fantasia dell’autore, deve miracolosamente scampare all’esecuzione – prima ancora che Sherlock Holmes, possa spiegare la dinamica di come sia possibile sfuggire ad una impiccagione ( vd. lo “Sherlock Holmes” interpretato da Robert Downey jr. )- ; perché non si può rinunciare così facilmente ad una “Dea ex machina” così capace e funzionale, nell’economia di un racconto che richiede continui rivolgimenti della sorte.
Andare a vedere un film così, in fondo, significa solo lasciar libera quella parte bambina di noi, che ha voglia d’essere stupita, e coccolata e incantata. Significa smettere di porsi il problema della verosimiglianza storica o della fedeltà al testo, e abbandonarsi alla fascinazione di una lotta tra Bene e Male, in cui non vi siano più nette divisioni, ma continui ripensamenti e sfumature. Non ci si identifica più, in un singolo eroe senza macchia e senza paura, ma si aderisce al sottofondo fantastico di una storia che già conosciamo, e che sappiamo ci regalerà emozioni, commozione, paure, sorrisi.
Andare al cinema, a vedere Milady, significa solo andare a guardare in uno specchio, se troviamo noi stessi, persi per un paio d’ore dentro un tempo inesistente, dove possiamo vestire i panni carnevaleschi di un Re, o di una Regina; dove la nostra spada di plastica può essere la migliore lama di Francia.
Un tempo, forse, si sarebbe detto che il feuilleton, il romanzo d’appendice, avrebbe distratto dai problemi del reale, o forse, avrebbe allontanato dalla visione del “vero cinema”. Ma il cinema, è anche uno spettacolo popolare, ed in questo spettacolo popolare, compare un Moschettiere colorato, proveniente dalle colonie francesi, e ci si interroga sulla stupida crudeltà delle guerre di religione. Perchè il reale, preme sempre, dietro il fantastico.
Magari, andando al cinema a vedere un film di “cappa e spada”, può scappare persino di farsi qualche domanda.
Se solo la si smettesse d’ingozzarsi di pop corn dall’odore osceno.
E poi, Eva Green, da sola, vale il biglietto.
Si può dire che è brava, ma che è anche, dannatamente bella ?
Aspettiamo il Terzo Capitolo della storia. Perchè ci sarà un finale. Provvisorio, ovviamente. Nella filmografia mondiale, si annoverano film, anche sui figli, dei Moschettieri.
Dumas, nei suoi romanzi, era stato un po’ più cattivo e crepuscolare.
Io, comunque, sono sempre stato dalla parte di Porthos, anche se, nel romanzo originale, era un orribile mantenuto.