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Una galleria, non esaustiva ma seria, di buoni propositi per l’anno appena iniziato.

Gen 12, 2024 | Istantanee

Per me, l’anno è sempre iniziato il primo di ottobre. Come se ancora andassi a scuola. Per questo, per me, il mese dei buoni propositi, è sempre stato settembre: alla fine delle vacanze estive, e prima di un nuovo anno d’impegni.

L’anno, però, inizia il primo gennaio, di ogni anno, dicono, e allora, dopo averci pensato un po’, ho deciso di mettere su carta, adesso, una lista di buoni propositi per il 2024, buoni per me, forse per tutti. Metterli su carta, li fa sembrare un impegno importante e serio, cui non si possa scappare. Una specie di contratto con sé stessi. E imbrogliare sé stessi è una delle cose più tristi che possano essere fatte. Quindi scrivo una lista di pensieri, non in ordine d’importanza, ma alla rinfusa, così come mi vengono in mente scrivendo, e non perché non abbia chiari in testa degli ordini di priorità, ma, semplicemente, perché le cose mi sono venute così, a galla, e così le raccolgo.

Ogni prossimo giorno, è buono per morire.

Questa è una delle cose che si dovrebbero aver sempre bene in mente, mentre invece ci si sveglia ogni giorno, senza mai pensare che quello possa essere l’ultimo. L’ultima cosa che si fa, prima di morire, dovrebbe essere mitica; che so, un atto d’eroismo; un grande gesto d’umanità, o, più semplicemente, qualcosa che avremmo sempre voluto fare, ma che non abbiamo mai avuto il coraggio di fare. Davanti ad un plotone d’esecuzione, al condannato si dà da fumare l’ultima sigaretta. E io, ho pure smesso di fumare, da oltre dieci anni, e non fumavo neanche le sigarette, peraltro.

Ma, siccome ogni prossimo giorno è buono per morire, io i prossimi giorni, li voglio passare in equilibrio sul pennone dell’albero maestro, quando fuori il mare è in tempesta. Ogni giorno così, come il Tenente Dan a pesca di gamberi, che, peraltro, non potrei nemmeno mangiare, essendo intollerante; e, se tocco un crostaceo, mi trasformo immediatamente in una scena famosa, piena di schizzi, del film “L’Esorcista”.

Nessun eroismo, o esibizione di coraggio, semplicemente, gli occhi, non li abbasso, nessuno, e nessuna, dovrebbe abbassarli.

Solo questo.

Penso sia giusto leggere di più, e studiare.

Non serve, per prendere voti migliori da qualcuno. Ma serve, perché è bellissimo, sentire la propria testa che gira dentro cose, o storie, o lezioni, apprese, comprese. Diventare quelle cose che si leggano o si apprendano e farsele circolare nelle vene, come un sangue più ricco, che abbia appena digerito un pasto di quelli buoni e importanti. E viverle, magari, certe storie lette. E non aver paura di sentirsi ignoranti e stupidi, ma conservare la voglia di imparare e sapere di più. Il sapere, non è mai stato una “sublime e costante ricapitolazione”, ma un’ offerta di bellezza continua da conquistare, per sentirsi addosso il sapore segreto d’aver capito qualcosa e la consapevolezza di non ricordare tutto, ma riconoscere in sè i cambiamenti che il sapere e la lettura abbiano prodotto. Poi, come uno condannato a perdere il proprio passato costantemente, rileggere, e reimparare le cose, permette di scoprire d’essere ogni volta nuovi.

E questo capita solo quando si fa l’amore con qualcuno che s’ami davvero.

Imparare a fotografare.

Coi cellulari, tutti fotografiamo qualsiasi cosa in qualunque momento, spesso non viviamo neanche quel che abbiamo davanti, ma ci preoccupiamo solo di fotografarlo mille volte, per non conservare nulla in noi, per accumulare spazio informatico che non vedremo più, per mostrare ad altri una vita che ci siamo scordati di respirare.

Con la luce, e le ombre, si ruba invece un pezzetto di vita al tempo. Non diventa proprietà di qualcuno, quella vita, quel pezzetto di vita rubato, perché niente ci appartiene, ma si potrà guardare ancora e sentirne l’odore nel ricordo, e sentire ancora, almeno per quel che mi riguarda, tutta la solitudine che si ha addosso mentre si scattava la fotografia. Io poi, devo vincere il pudore. Il mio pudore di fotografare le persone. Ogni volta che provo a fotografare qualcuno, mi vergogno di me, per non essere capace di ritrarre tutta la bellezza che vedo. C’è una scena di un film , che amo molto, di Luc Besson: un angelo, davanti ad uno specchio, mostra ad un uomo il suo volto, e gli chiede di amare quel volto. E mentre l’uomo dice all’angelo che l’ama, l’angelo scompare, invisibile, e l’uomo dice “Ti amo”, al proprio volto, mentre lo dice all’angelo.

Devo vincere il pudore di me stesso, per poter rappresentare la bellezza che vedo nell’altro.

Si dovrebbe smettere d’avere speranze.

Questa, lo so, è una cosa parecchio complicata. Sperare nel bene, nel buono, nel giusto, per sé stessi e per gli altri, è quasi un istinto naturale. Ma è solo una consolazione in realtà. C’è qualcuno, o qualcuna, che voglia vivere di consolazioni?

Non c’è un altro giorno, per avere quello che si desidera. Certo, non si può avere tutto quello che si desideri. Non lo si avrà mai. Però si può provare a fare e ad essere, e quello che viene bisogna provare a farlo essere buono. Si potranno avere sogni, che permettano d’inseguire le nuvole e d’inciampare mentre si corre con gli occhi fissi al cielo; ma sperare qualcosa, basta. Anche i miraggi, vanno bene, perché si fanno inseguire, almeno fin quando non si sbatta il muso nella sabbia. Ma sperare qualcosa, basta.

Ancor meno si può sperare qualcosa da qualcuno.

Nessuno si senta offeso. Ma da tutti, bisognerebbe aspettarsi nulla. E neanche bisognerebbe chiedere. Io, per esempio, non chiederò mai più nulla a nessuno. E non perché porti un profumo che mi permetta di non chiedere mai. Ma solo perché, certe volte, per capire l’altezza alla quale si collocano le relazioni, qualcosa può anche essere data, senza che venga chiesta.

Smettere d’avere speranze, significa smettere d’illudersi che le cose vadano bene solo perché si desidera che vadano bene. Non ci sono preghiere sufficienti, a che questo accada. E neanche riti magici bastevoli, e neppure previsioni probabilistiche le più accurate.

Si prova a far accadere il bene ed il buono, e se non accade, si riprova di nuovo. Semplicemente. Se è possibile, se va bene farlo. Altrimenti, si passa oltre. Si deve passare oltre. E provare a curare le cicatrici, possibilmente, non sperabilmente.

E poi, gran parte delle speranze, sono del tutto irragionevoli. E la ragione, aggrapparsi alla ragione, è l’unica cosa che separa dall’imbecillità. E dall’essere patetici, ovviamente.

E’ proprio necessario guardare più arte, e ascoltare più musica.

Io, non sono, e non sarò mai, un artista. Ma essere davanti a certi quadri, o guardare certi film al cinema, o sentire certa musica, con le orecchie, e col corpo e con la propria anima tutta nuda, o leggere certe parole o sentirle a teatro, o guardarle dipinte sui muri e scolpite nella pietra, avvicina al cielo. E’ come aver appena tagliato la testa con la spada ad un Kurgan, e sentire tutta l’energia dell’Universo che ti squassa la pelle e ti riempie di bolle di piacere.

E quanto più la si possa guardare, l’arte, e comprenderne gli intimi significati, per i quali è opportuno, anche qui, studiare almeno un po’, tanto più ci si sente completi. Tanto più si sfiora la bellezza, e l’intimo significato del vivere. Tanto più si sente il proprio grido di sfida a questa vita che finisce comunque. Insieme all’amore, forse, è proprio sfiorare l’arte, che dà senso all’essere.

Naturalmente, per chi pensi che il senso della vita, sia accumulare carta moneta, le mie parole non hanno alcun senso, e, a me, non me ne frega niente che sia così.

Io voglio da me, questo, di più, nell’anno che è iniziato, non voglio disturbare altri. Peraltro, molti di questi altri, non li vorrei vicino nemmeno per sbaglio. Ma se qualcuno pensi degne le mie parole, lo riterrei un privilegio.

Sarebbe bene uscire dalle proprie abitudini.

Sono rassicuranti, le abitudini. Parecchio. Fanno sembrare che tutto vada bene, e che tutto sia sotto controllo. E nulla è più ingannevole di questo.

Per quanto mi riguarda, e ammesso interessi altri oltre me, cambierò strade, e pettinatura. Magari mi decido e me li raso a zero, i capelli. Così li posso lavare col sapone la mattina in doccia, come tutto il resto, e risparmio all’acqua i tensioattivi dello shampoo. Cambierò atteggiamento e corteggiamento. Cambierò vacanze. Cambierò.

Cambierò tutto quello che mi conforta e mi fa stare tranquillo.

E cambierò anche il mio rapporto con gli altri.

Da oggi in poi vado solo dove mi rilasciano scontrini e fatture. E non devo neanche spiegare perché. E invito tutte, e tutti, a farlo. Per aiutare i Lavoratori autonomi onesti che subiscono concorrenza sleale dai ladri evasori di tasse, mica per altro.

Ma farò attenzione anche a che, cambiare abitudine, non diventi un’abitudine. Le buone abitudini, me le tengo strette. E quali sono le buone abitudini ?

Quelle che scelgo io, come è ovvio. E non perché io abbia ragione, ma solo perché sono l’unico che può dire se mi vadano bene oppure no. E’ una bella responsabilità, ed io, me la prendo tutta. Ognuno si regoli allo stesso modo, ma senza autoindulgenza, per favore.

Continuerò a sapere di essere niente. Questo riguarda me solo, e non voglio coinvolgere nessuno, in questo.

Non significa, che io abbia voglia di fare la vittima. E’ solo una constatazione amichevole di irrilevanza. La mia.

Quando la mattina il Presidente del Consiglio si alza, non è che va a leggere quello che scrivo su Facebook, come prima cosa appena sveglia:  dovrebbe farlo, ma non lo fa, per cui, la mia voce, parla nel deserto, e pure sottovoce.

Allo stesso modo si comporta il cosiddetto sindaco della città in cui vivo, e, credo, il 99,9999999 % dell’intera umanità, per cui, che io abbia idee, o sentimenti, o emozioni, importa davvero quasi a nessuno. Io devo sapere che posso scomparire in qualsiasi istante, ed il mondo continuerebbe a girare esattamente come ha fatto negli ultimi seicento milioni di anni, più o meno.

Mi aiuta, sapere d’essere totalmente irrilevante.

Prima di tutto, perché m’obbliga ad essere serio anche quando mi prendo in giro. Se non altro, per far finta d’essere rilevante, per me. E poi restituisce dimensione alle cose. Il mio unico vero apporto al mondo, sarà quando, una volta morto e cremato il mio corpo, le mie ceneri serviranno a dare un po’ di nutrimento ad un piccolo braccio di mare all’ingresso del porto di Gallipoli, dal lato di Scirocco, e ad un piccolo pezzetto di terra su un lato della strada che collega i Piani di Fugno a Filetto, sotto il Gran Sasso. Niente di più.

Io, sono niente, e lo posso dire gridando.

Occorre sforzarsi di capire una parte delle persone che vivono oggi con me, sullo stesso pianeta.

Sono persone che credono in un qualche Dio, e che certe volte, pensano che sia giusto uccidermi, perché non credo nel loro Dio. Sono persone che, ad Aquila, si dichiarano di destra, e hanno la pelle colorata; si dichiarano di destra, e convivono ed hanno figli fuori dal matrimonio; si dichiarano di destra, e vivono in una casa del Progetto C.A.S.E., pagata coi soldi dell’odiata Unione Europea, mentre era Presidente del Consiglio un uomo che si dichiarava di destra, e che, per una vita ha pagato il pizzo alla mafia, come minimo, e situata, quella casa,  lungo una via intitolata ad un comunista ucciso dalla mafia spaventata dalla sua proposta di legge che mirava ad indagare e colpire e i patrimoni dei mafiosi. Sono persone che guidano regolarmente l’automobile e guardano il televisore, frutti della scienza e del lavoro dell’uomo, e delle donne, e poi pretendono di curare una pandemia con le uova di drago sepolte in terra e riesumate al canto di un gallo nero. Sono persone che pensano che essere sfruttati sul lavoro, sia più ingiusto che sentirsi discriminati perché omosessuale. E se io ho il diritto di baciare mio marito per strada, perché quei due uomini dovrebbero fare lo stesso davanti ai miei bambini ? Sono persone che si lamentano perchè non c’è la neve per andare a sciare, o perché fa troppo caldo, anche dentro l’acqua quando sono al mare, ma non credono che questo abbia alcuna relazione con la possibilità di mangiare un mango quando se ne abbia voglia, o tre chili di hamburger di mucca intensivamente macellata, o di usare la propria automobile anche per andare a fare i propri bisogni nella apposita stanza da bagno profumata.

E occorre sforzarsi di capire tutti quelli che hanno pronta una propria opinione su tutto, certamente migliore e più profonda di un qualunque tizio abbia titoli di studio e anni di esperienza e lavoro per parlarne. Certe volte, me la credo anche io, ma non ho mai pensato di spiegare al meccanico cui porto l’auto, come controllare la funzionalità del radiatore della mia carretta.

Capire, non significa, accettare ed accogliere.

Capire, significa trovare gli strumenti perchè queste persone facciano meno danni possibile a noi e al pianeta. Se possibile.

Bisognerebbe dare nomi ai luoghi, e costruire carte geografiche immaginarie.

Il marciapiede dove avete dato il primo bacio della vostra vita, mica può restare solo un marciapiede; come minimo, dovrebbe chiamarsi “scalino delle beatitudini”. E il campo sportivo dove avete segnato il primo gol, è sicuramente una succursale del Maracanà. E quando sognate, che mettete il mare sotto la Piana di Campo Felice, dovreste disegnarla questa possibilità. Perchè carte geografiche alternative, possono permetterci di vedere qualcosa, nella realtà di tutti i giorni, che nessun altro vede, e magari è persino bello quel che si può scoprire. Costruire camminamenti, mezzi di trasporto fantastici, magari evita la tristezza delle nostre strade grondanti alberi tagliati e odoranti depositi abusivi di cantiere. Oppure fa venir voglia di mettervi riparo.

Credo sia un bell’esercizio, da consegnare ai prossimi che governeranno le città e le campagne. Magari si leggono i sogni dei loro cittadini, prima degli inviti delle imprese edili e dei finanzieri interessati a riciclare denaro.

Direi a tutte, e a tutti, di imparare i nomi dei fiori.

Non quelli che si trovano dal fioraio. Quelli, li possiamo chiedere alla fioraia. Quelli che troviamo sui bordi asfaltati delle strade, tra le crepe dei muri ancora per terra; o nei prati di montagna.

Quando si conosce il nome di qualcuno, diventa più difficile, fargli del male. O restare indifferenti. Ci si interessa, anzi, di come abbia aperto bene la sua corolla al mattino,di quanto gli profumi l’alito, e di cosa voglia dire, con tutti quei colori che ci regala.

Lo so, che esistono le app telefoniche che i fiori li riconoscono basta che li inquadrino un momento. Ma se siete su una balza di montagna, o su una spiaggia desertissima, e il cellulare non ha segnale, che figura ci fate con la ragazza cui volete far colpo ?

Imparate i nomi dei fiori; è anche una bella cura contro la superficialità di chi cammini senza curarsi di calpestare cose e persone.

Provare a chiedere di più, giustizia.

So che questo, è un terreno minato. In tante, e in tanti si pensa che l’unica giustizia giusta, sia quella che tutela i propri interessi. Ma si potrebbe praticare qui un vecchio gioco da bambini.

Immaginare d’essere al posto degli altri, per capire se quel che si vuole, sia giustizia, o la soddisfazione del proprio egoismo. So anche che qualcuno è del tutto incapace, di giocare a questo gioco. Per questo, se si voglia giustizia, bisogna talvolta invocare la Legge. E bisogna farlo. Ma scegliendo l’avvocato che rilascia fattura, ovviamente.

Per parte mia, ogni tanto, per avere giustizia, ricorrerò all’azione diretta. E scriverò. Nomi e cognomi. Perchè certe cose non meritano attenzione.

Tra le varie qualità della giustizia, c’è il saper ascoltare. E se tutti provassimo ad ascoltarci di più, forse, ci sarebbero meno guerre.

Temo le guerre, in questo anno che inizia.

E penso che se vogliamo la Pace, dobbiamo preparare la Pace. E costruirla, e praticarla. E convincere, alla Pace.

Altrimenti, di tutto quel che ho scritto, varrà una sola cosa, nel 2024.

Si salvi chi può.

Cazzi vostri.

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