C’è sempre sabbia, dopo le righe del giorno.
Resta tra le dita.
E, per questo, brucia la pelle, e la ferisce, anche quando ti sfiori,
da solo,
sanguina, il tempo scorso.
E la solitudine.
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Ho un cuore blu
come vento tra rami
feriti da un’alba di foglie
che ancora pregano pioggia
a nuvole distanti meno
del tuo volto dietro un vetro.
Batte tra le ali di un volo veloce
e cade
sui fiori che spezzano l’erba gelata ancora.
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Questo buio di montagna incerta,
trapassata da una luna invecchiata,
s’empie di suoni ritorti
e animali in fuga dalla terra insanguinata.
Se solo non fosse così fredda
quella luce che lasciamo dimenticata
quando fingiamo d’essere presenti,
sentiremmo prepararsi i nidi a nascere.
E sulla pelle nuda, avremmo respiro.
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Se guardi nello specchio non mi vedi,
me ne sono andato
tanto tempo fa.
Non ho lasciato molto di me;
solo sogni trasparenti nell’aria
scivolati tra le dita.
Senza accorgermene.
Perché il tempo mi ha scavato.
E però non mi sono spento.
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C’era del tempo
gocciolante da un tetto spaccato
cadeva in strada, ignorato,
in una pozza rossa di sole serale
e non faceva rumore
ma solo un rimorso di spreco
nascosto, neanche nato.
Avevo sete, d’acqua sporca, anche.
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Mi prendi gli occhi
e modelli i miei pensieri,
come una terra rossa e cotta,
per farci palazzi
che non abiti.
Sono io, sbagliato,
che voglio sempre guardarti.
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Il cotone gualcito di certe vecchie camicie
ha una dolcezza di guancia rugosa
e l’odore svelto di acque verdi.
Mi veste con la stessa timidezza
di una carezza mai ricevuta.
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Quanto vento, ci vuole,
per spostare una storia
da un camino pieno di fumo
azzurro e mani unite
fino ad un mare
schiumoso di stelle ombrose.
Non voglio sapere
come forte debba essere
quel respiro
che porta la sabbia di un gioco
sui prati improvvisi di un monte.
Mi basta che quella storia sia noi.
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C’era un tempo, domani
ritorna il mare, come da bambino
le creste d’onda erano neve,
ora sui monti arsi dalla luce di luna
e bianco che rompe la notte.
Non ho più una collana
da tenere tra le dita
quando cerco lontano
quel tempo domani
dove vorrei essere ancora.
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Riconosco di non essere ombra
e di non lasciare macchie sui muri
e nemmeno memoria sulla terra.
Basta star lontano dalla luce
e finalmente smetterò di essere
un sogno bruciato all’alba.
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Dentro i petali che rompono la terra
scorre linfa della bellezza tua
e oltre la corsa di cerva in un bosco
c’è il silenzio tagliente dei tuoi occhi accesi.
Scioglie la neve la mano tua
mentre ferma il buio
che mi strappa la gola
e smetto di tremare.
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Ti racconto che non dormo
e che mi siedo da qualche parte
ad ascoltare le urla
che traversano il buio
e mi graffiano le labbra
e mi lasciano il cuore nudo.
Ti racconto che bevo silenzio
e lacrime rosse.
Voglio aprire la porta
e uscire libero al freddo della strada.
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Ballando sotto la luna
ritorno ad un tempo di canzoni
e amici a me stretti;
non ho paura di stendere la mano
a protezione di occhi che pregano
aiuto e pane.
La luce notturna s’impasta col vento
che porta via le ore
e le posa sulle mie aperte e vuote mani.
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C’è un fuoco ancora vivo
di notte e di amore
rosso nel vento di mare lontano
disegna l’aria, inafferrabile appena
le dita cercano la sua musica
libera e bruciante
e non posso fermarlo e chiuderlo
in me, perché bisogna di fiato,
e di te.
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Sembra ancora l’alba
una libertà senza uomo
e sorge dai sassi e dagli alberi
dentro un silenzio non più buio
ma aperto dal sole bianco
e freddo, prima poco di nascere
al cielo e agli occhi
che devono piegarsi, offesi
di tutte le cose che abbiamo ferito.
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Non serve a niente, cercare le dita
o immaginare un volto che mi guardi
e neppure serve ascoltare i fiori crescere
oltre la finestra e l’erba bagnata dal vento.
La voce mi resta leggera al buio
mentre le parole cadono a terra, sole,
e un angolo di vento sparge via
le luci spezzate che cercavo.
Adesso ritrovo una notte piegazzata;
le coperte pesano di pelle antica
come una cenere di camino
bagnata di pioggia e inverno dentro.
Trovo caldo solo nelle mie tasche.
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Divento fumo, e mi sperdo,
non ricordo la brace, sotto,
quando pensavo esistesse fuoco.
È così semplice finire di essere;
restare negli occhi un attimo,
giusto il tempo di credersi.
Finalmente gira la lancetta del vento
e posso sfiorare le foglie della notte.
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Vai a raccogliere il tempo
e poggialo,
tra i fili d’erba e il vento,
perché si fermi ad ascoltare
le rondini al freddo e le gazze
annerite dal grigio di tramonto.
Spiegagli, che oggi non deve
andare oltre, fin dove le pietre
sanguinano spezzate.
Ma stare. Solo stare.
Finché la prossima alba
diventi memoria meno pesante
da respirare.
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Mi dispiace
ma non sono placato.
Non mi bevo la vostra acqua
e non mangio le cose che vi piacciono.
Non ho i vostri occhi
e non penso i miei siano migliori
ma hanno il profumo di arance che conosco.
Non rispetto le vostre abitudini
imparo a non averne.
Potete comandare dove vi pare
ma io sono troppo piccolo
e non me.
Oggi, ho comprato altri libri
e musica.
Ho di che vivere.
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Vorrei cedere il mio posto ad un altro me.
Quello che saprebbe stare contro il vento
quando annerisce sangue nelle vene.
Quello che avrebbe il coraggio di chiudere l’ombre oltre le cime degli alberi.
Vorrei essere altrove
mentre la notte scorre senza giorni
e quando la malattia mi cerca.
E non mi libero di me invece
per quanto miserabile io sia
posso sempre amare e aver fame.
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Cammini
a piedi nudi sui miei disegni
e insegni loro i colori.
Ridi
ed esce dalle finestre
il vento del tuo sangue mai fermo.
E mi guardi
trovando tra le mie pagine
proprio il momento in cui mi fai nascere.
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Di un intero albero raccontato dal vento
e radicato al cielo,
mi hanno lasciato
un ramo solo, tremante.
C’è primavera, sulla scorza sua;
sono io, che non so
se vedrò fiori.
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Credo di appartenere ad un palazzo senza rovina e
credo di poter camminare ancora verso
un appuntamento che non ho e
continuo ad immaginare mattine luminose
chiuse dentro una stanza dove
tu sola puoi fare luce e
so di non avere neppure più una ruga
asciutta di dolore mentre
ogni strada si torce in orizzonte
lontano.
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Sono uno dei cinque sassi di un gioco
da bambino
lasciato a diventare polvere in una
dimenticata tasca di calzoni corti
e ginocchia cadute.
Bisogno delle mani tue, per tornare
a misurarmi con i sogni.
E smettere di rotolare via, e
perdermi, tra gli asfalti senza odore
delle auto indifferenti.
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Quante vite non ho vissuto
e quante, mi sono state rubate,
nascoste, uccise, prima che le potessi
pensare.
Erano le vite che incontravano verità
e sole.
Vite senza violenza e bugie.
Le tengo care ora
dentro le mie notti di orologi spenti.
Sono tutte ferite e grumi e nodi
e io fingo non facciano male.
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C’era fatica, ai remi di legno venoso
e paura, in mare,
quando ponente pesava sulla schiena delle onde.
Per poter dare aiuto all’altro,
mai soli si salpava oltre terra lontana,
prima del giorno senza stelle,
protetti dalle mani delle donne
che fermavano il vento
fino al ritorno degli uomini al porto.
E s’imparava, un mattino in più ancora,
che il proprio nome è solo una sabbia spezzata di scoglio.
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C’è una verità
dentro la faccia ignota della luna
e a te solo
appartiene, finalmente possibile
da toccare e guardare
mentre tutti restano accecati
dal solo riflesso
evidente del falso
che non è profondo mai
quanto la luce
custodita, tra le tue lacrime.
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Mi cresceva sera tra le mani
mentre avevo ancora giorni
da scavare
e notte mi aspetta senza rintocchi.
Cerco stelle tra i sassi
perché lascino cadere luce
dentro i miei boschi di pensieri.
Non mi importa di perdermi
perché mi trovo solo cercando.
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Prendimi per mano
portami dietro il prossimo angolo
di strada rotta
e mostrami un pezzo di cielo
rimasto acceso
almeno quanto gli occhi tuoi
e spezzami ogni paura
e fammi fare un giro
sulle tue gambe libere
prima che io impari
a camminare, e il nome intero del mondo
è il tuo.
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Ci sono fiori bianchi
che crescono nella sabbia
aggrappati al vento e nudi al mare
raccolgono le piogge dei sogni
e ne bevono il loro risveglio.
Non hanno ombre,
come un amore indomato,
né passiscono mai
ma volano via, di notte,
profumando la polvere.
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Fa oscillare le lancette, il vento,
come se potesse deviarne il giro
e portarle tra le tue mani
ad oltrepassare ogni giorno.
Ascolta le mie molte sconfitte
ma non le ferma sullo specchio,
e le porta fino al sole che accendi
perché se ne sciolgano i grumi
come un nodo di barca liberata dal porto.
Mi ghiaccia il sudore addosso,
questo vento
e allora corro più veloce
fino a qualunque luogo tu sei.
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Non voglio essere salvato
mentre sogno di cadere
perché m’accorgo
di quanto sia prezioso
conoscere le mie mani e gambe
e sapere di non avere
altro da custodire.
Solo una storia
di cieli sfuggiti
e alberi torti dal vento
e tentativi d’amare.
Forse sarò sveglio
quando il dolore
mi arriverà addosso.
Lo preferisco, al sogno.
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Mi piace la notte da sveglio
perché sento i pensieri
sbattere contro le lancette di un orologio vecchio
e so che l’alba li farà sembrare sogni.
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Ho trovato
oltre le mie pagine
una sera improvvisa
poggiata sui miei silenzi
e attese.
Non ho provato, ad allontanarla.
Ci sono entrato dentro
per immaginare il buio
spento
ma per cercare anche
una mano dolce
che bussi al mio tempo
e lo fermi.
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Quante tristezze, ho sparse
tra le piume d’un passero
che vola tra le nuvole azzurre
di notte liquida e silenziosa.
Le porta in un nido vuoto
di stecchi aridi d’inverno
perché, poggiate come uova secche,
cadano fino in terra,
e si spezzino.
Finché ci sia requie e fine
al mio gelo.
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Roco l’urlo dell’onda
che arrende gli scogli
e ne racconta in sabbia i giorni
è la stessa schiuma di memoria
che il vento sparge sui fiori
e nei fossi di ossa
ma io continuo a stare
dentro quel mare curvo di ponente
e non cerco il porto
ma di andare ancora.
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Avrei voluto essere
meno sbagliato
ma non riesco a smettere
di sognare il gelo
delle mie notti sole
senza mattine da inventare
e butto via i passi sulla spiaggia
senza lasciare orme
perché neanche scriverti posso.
Mi portassero via
questi sbalzi di libeccio
come una rondine felice.
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Era solo un altro tramonto
e si respirava un vento quieto
come ferri lasciati a rugginire
su un vecchio tavolo sbilenco;
eppure il giorno scurito lo avevo vissuto
ritrovando vecchie strade e amici
e scoprendo nuove pietre sgretolate
sui muri delle case trascorse
che a passarci le dita sopra
lasciavano una polvere di gesso grassa,
di bimbo sicuro alla lavagna.
Potevo camminare ancora, senza sapere, dove dovevo arrivare.
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Io non so bene
cosa avrei voluto
e invece so
che ho avuto
molto più di quel che volevo:
ci sono pensieri
che mi accarezzano
e occhi che mi curano.
E a me basta cercare
il suono della prossima alba.
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Sì sperdono le mani
mentre segnano il contorno delle nuvole
riflesso nel tuo sguardo di fulmine
e lasciano libero il cielo
di piovere mareggiate e tramonti.
Quando respiri, è alba.
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Quasi sul confine del sole
preferisco il cielo mosso
da pensieri di vento
e storie lontane
e miraggi strappati dal giorno.
M’aspetto che la luce
trapassi nuvole e cemento e
brilli le foglie d’albero fresche
come un bacio mai atteso
per il tempo almeno
che torni il vuoto di malinverno.
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Ancora non lo so quando è il mio tempo
di guardare la luna steso su un prato sottile
acceso d’acqua, e sentire i fiori
urlare il soffio della fatica
nel rompere la terra e l’inverno.
Quando quel tempo sarà,
ultima verrà la mia parola
a cercare ancora. E ancora.
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Non lo so, cosa c’è dopo la luna.
Le scale nel buio per salire
dentro il fondo del mare
e anche le voci, leggere,
di una musica di prati che crescono,
e le carezze mai date
che salgono, come una marea
da non fermare più, mai.
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Una vecchia canzone scura,
soffia su un tarassaco nudo e
sparge cristalli vitali
al vento della notte
e li incendia come scintille
indomate e pronte
ad inginocchiarsi all’acqua, e alla terra
per non conoscere morte, e ancora.
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Guardo il mondo che nasce.
Succede solo ogni giorno della mia vita.
Da terra s’alza il vapore del mio corpo caldo
e dell’acqua di lacrime mie.
Il cielo ha sangue rosso di cuore
e i fiori spaccano l’asfalto
coi colori di luce felice.
Devo solo smettere di puzzare d’egoismo.
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Lontano c’è il silenzio del televisore acceso
e degli alberi notturni.
Lontano c’è solo il silenzio delle parole che desidero
e che restano prigioniere nelle ragnatele
di strade che da me non arrivano.
Lontano c’è solo una luna calante
di luce poca
come il fuoco che non so accendere.
Lontano, un’automobile percorre l’autostrada
forse raggiunge quell’amore che canta
non più da solo.
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Cosa posso vedere, se i miei occhi non
guardano te e
cosa posso illuminare se i miei occhi non
ricevono luce dai tuoi e
quali giostre di polvere possono abitare
i raggi d’alba, se tu non sorgi
dalle mie mani che ti accarezzano e
quali domande non posso fare al tuo silenzio se
mi manca il fiato per correre, quando tu
a me, sei lontana ?
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Mai sei solo
se qualcuno ti guarda
e ti porta il cielo fino alle braccia
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Dentro il freddo scelgo d’essere nudo
e a sera, smetto di guardare orologi e
poggio le mani su una scorza d’albero per sentire la musica del cuore mio
che trasforma terra in linfa e respiro
e foglie protettrici di nidi.
Chiudo la porta al fiato del male.
E mi scelgo i sogni da abitare.
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Arrendermi, dovrei, alla mia irrilevanza,
come fossi un’erba tagliata via
per essere fieno in inverno arido
e invece m’immagino esistente.
Angolo di muschio su pietra aspra,
involontaria carezza verde, prima di giallire.
…………………………………………………………………………………………………………
Adesso mi alzo
e chiudo ogni porta
e spengo il cielo.
Poi smetto di ascoltare gli uccelli
e il vento nell’erba
e il mio sangue piangere.
Finalmente me ne vado
dove potrò non essere ferito.
E ancora.
…………………………………………………………………………………………………………
Mi sono preso una notte scomoda
e volevo tagliarle la testa
con un vecchio coltello da pane
che mi bruciava le dita
con la sua lama di denti feroci
come un morso del buio silenzio
che non mi fa sanguinare
ma mi spezza d’assenza.
M’è sfuggita, poi,
con indosso l’odore dei sogni
d’un viaggiatore smarrito.
…………………………………………………………………………………………………………
Io lo so dove l’azzurro trova luce
e dove il vento vola i semi d’erba accesa
e so dove le nuvole aprono i tetti
e so dove la luna nuota
che è dove il sole ha prima profumato l’acqua
e tutto è dove ho imparato il tuo seno.
…………………………………………………………………………………………………………
Tornerei sulla strada sbagliata
per smettere d’essere comodo
e cercarmi limiti da superare.
Mi sceglierei l’argine superato
di un fiume arido e offeso
per seguirne il respiro fino al mare.
E spargermi.
Come un fiore spezzato
dai colori persi.
E dimenticarmi di me.
Per essere solo te.
…………………………………………………………………………………………………………
Neanche se cado in terra
e mi sbuccio tutti i pensieri
posso fermarmi
e medicare le mie ferite.
Mi tengo il dolore,
ed ogni assenza che mi resta
quando guardo una rondine andar via.
Ho solo tempo per capovolgere
il mare che risale i fiumi
e le lacrime
che ridere mi fanno, di notte.
…………………………………………………………………………………………………………
Cadono, gocce di vero
dall’albero bagnato di cielo
e le raccolgo, tra le dita,
per rubare il calore dei nidi
e scaldarci la mia notte
che arriva.
Non temo il freddo
perché da qualche parte ritroverò
il respiro tuo
e saprò dove alba arriva,
e chiude gli occhi felice.
…………………………………………………………………………………………………………
M’accorgo del vento
dalla cima dei desideri che oscilla
tra il giorno trascorso
e quello dei nostri baci
che arriva.
Nascosto tra i fiori di un vulcano
bagnato dal vino delle anfore;
troppo lontano ancora
per darmi respiro.
Sei sempre nuova, per me,
e non t’imparo mai abbastanza.
…………………………………………………………………………………………………………
Sono a sera del mio sole
e quanto colmi sono gli occhi
di nuvole, erbe e papaveri
come esposti cuori.
Ascolto il vento e i passeri
cercarsi.
Addosso, ho odore di corteccia
e fatica.
In gola mi brucia la tua pelle più segreta.
La tocco, la luce che si spegne,
e sazia d’ombra ogni colore
che sempre, m’ostino a desiderare.
…………………………………………………………………………………………………………
Ho smarrito il cielo.
S’intrecciano le foglie d’albero e
nascondono la trama di stelle e nuvole
che gli occhi mi perde e
paure lascia cadere nel vento
come aria bruciata che pure respiro
e non vale chiudere porte
alla notte di fili tagliati.
Non voglio cadere dentro strade vuote
e nemmeno coprirmi gli occhi.
Sempre dopo il buio
sta il mio rifugio di cane zingaro e solo.
…………………………………………………………………………………………………………
Riempie le mie radici, parlare
con ignoti venditori di parole e
scorre tra i miei rami il vino rosso
della compagnia improvvisata e il canto
di uccelli serali che mi coprono
d’ali e calore quando
il giorno tramonta
sulle mie piccole euforie sparse
come ossa della terra.
Apro la mia casa all’ospite
che, d’oltremare, mi racconta
l’infanzia mia. Mai sola.
…………………………………………………………………………………………………………
Non gualcisco con le dita
i petali di papavero leggero
e non tocco, quello che posso ferire
e camminare vorrei senza pesare
sulla mia ombra, che di me conserva
la notte nascosta e arrampicata
sui muri di creta e muschio secco.
Vorrei di me non ci fosse memoria
come una pioggia che apre
la terra al tempo e al fango
senza più orme, inghiottite
dalle radici di un fiore
prossimo a chinarsi.
…………………………………………………………………………………………………………
Non riesco ad andare, sulla cima di un monte:
è perché non sono capace di vincere
e neanche di calpestare un sasso.
La immagino, una vista da alte nuvole,
ma non desidero pesare
e mi basta il silenzio
delle parole che non dirò mai.
Nessuno trova una ragione
per parlarmi.
Eppure ho il profumo azzurro dell’alba
e del tramonto la stanchezza
e mi basta, per sentirmi solo.
…………………………………………………………………………………………………………
Guardo i giorni
come foglie d’autunno precoce.
Scivolano oltre una curva buia
e non posso trattenere
neppure un battito d’occhi.
Se potessi affidarli
alle braccia tue
almeno mi resterebbero addosso
la luce delle rughe
e i baci d’arancia tuoi.
Ci sarebbe sempre luna,
a notte
e sogni come lupi liberi.
…………………………………………………………………………………………………………
Da parte,
resto, mentre i fiori, il mare, le mie parole,
s’impregnano di notte e fuoco caldo
e mentre le nuvole abbaiano
oltre la strada vuota.
Non guardo, e non sento
le voci ed il ridere socchiuso
dell’erba tagliente di freddo.
Sono lontano, dalle mie mani vuote,
e dalle mie braccia aperte.
Non sei con me
per questo, io non sono vero.
…………………………………………………………………………………………………………
Esco dentro la notte
perché ho impazienza d’alba.
Fuori, c’è una musica di orologi
e foglie inquiete
e corrono i passi miei
fino al tuo respiro.
…………………………………………………………………………………………………………
Ho disabituati gli occhi,
alle ferite dell’erba tagliata e
al sole che s’alterna all’ombra
come pensieri che scendano
alle cime di alberi morti e
salgano fino a baciare
il tuo seno di fiore scuro.
Ma non è tra pareti sicure
che gli occhi miei devono stare
perché i rumori e la musica
dei passeri è in strada.
E lì m’aspettano le mie corse interrotte.
…………………………………………………………………………………………………………
Alla fine, mi basta solo
quel pezzo di mare dove
vado a piangere, ogni volta che
le mani mi restano
nude di te e di noi.
Il vento che piega le onde
e il ballo dell’acqua
sugli scogli graffiati
nascondono il giorno
che cade e le lacrime mie.
Aspetto la notte
che mi porti via i sogni
finalmente.
…………………………………………………………………………………………………………
Ti rivedo, quando entri nel mondo,
e hai l’alba alle spalle
e prende fuoco la porta appena aperta e
sei un’ombra calda.
Mi trapassi gli occhi
mentre la polvere del sole aspetta
di cadere in terra mai,
disegnata dal tuo volto
di frutto morbido
vuole sfiorarti lei.
Io, aspetto di nascere
tra le braccia tue di bosco intenso.
…………………………………………………………………………………………………………
Ho in bocca sapore di stelle notturne
lacrime di memoria accese nel buio
e neanche una sedia dove fermarmi
a raccogliere i miei pezzi
sputati in terra da un cielo appena spento.
Da qualche parte sul mare
scintilli tremando tra le onde
mentre cerchi una rotta
per arrivare alla mia isola.
Segui allora, una bottiglia,
colma di tutti i giorni
in cui ho scritto che t’amo
sull’aria dei miei respiri.
…………………………………………………………………………………………………………
Mi sdraio
sul tetto di un pensiero sfuggito
al vento della prigione
e provo a non scivolare
sulle vostre abitudini.
Chinate il capo, quando
non potete pesare e
rubate giocattoli agli orfani.
È bello, passare dove vi nascondete
e andare oltre.
…………………………………………………………………………………………………………
Respiro polvere di petali
e scarpe spaccate.
Quanta strada ho fatto
per arrivarti almeno vicino
e sapere, sapere che esisti
e non sei
il mio unico sogno e
tutti i miei sogni insieme.
E quanta
strada lunga farei
perché senza te
io non sono.
…………………………………………………………………………………………………………
Non salutarmi
quando me ne vado, non salutarmi.
Lascia posare sulle tue mani
le mie parole mentre il giorno
mi porta via, ma
non rispondere.
M’illudo allora di non essere
da te separato.
Sempre, per me,
se tu non pronunci le cose
non hanno realtà.
…………………………………………………………………………………………………………
Questo cielo di sabbia
spegne i giochi dei bambini
e atterra le rondini
sugli argini d’erba seccata
e macerie imploranti.
Nasconde nuvole aperte agli occhi
e pesa sul mio respiro di ferro.
Neanche più un vento
di egoismi sordo
riesce a nascondere il fumo
di incendi aridi.
…………………………………………………………………………………………………………
Eri una bambina
con le labbra di gabbiano triste
e i capelli di sole perso tra le onde.
Ti guardavo da un monte impossibile
senza strade accese fino a te.
Era sempre sera
appena sorgeva alba
senza te.
Oltre spiagge lontane
m’ero spinto, per non sentire più
la mia pelle di salsedine
eppure tu fiorivi anche sulle dune.
…………………………………………………………………………………………………………
Che strada secca
compiono le lacrime mie
traversando le rughe
antiche del mio volto
mentre ricordano le guance rosse
d’incertezza attenta e pudore
a non essere perfetto sempre
come una stampa nitida e
invece ero
e sono
solo io.
Mani che scavano il cielo.
…………………………………………………………………………………………………………
Prego sempre,
in assenza di Dio.
Che il vento porti semi,
e mai di fuochi l’odore.
Che il mare racconti storie
senza inghiottire di bambini i passi.
Che la pioggia nutra la terra
e non ci siano alberi di cenere.
Che torni ogni giorno
il respiro di chi amo.
Sembrano petali rossi sconfitti
le mie parole ai piedi delle nuvole.
…………………………………………………………………………………………………………
Sera scende agra
come un limone dimenticato.
Non devo cercare più, luci
tra angoli di finestre serrate
e nemmeno vento tra foglie ferme.
Non mi è data acqua
quando ho sale nella bocca.
Dovrei solo chiudere la mia porta
e mettere due monete sugli occhi miei.
Eppure, per conoscere, è ancora
alba.
…………………………………………………………………………………………………………
Dentro il mio bicchiere di vino
naviga il silenzio delle parole
che non più ascolto
e affonda
una mia solitudine antica.
Sento il sapore di terra rossa
e ulivi spenti
e di una conchiglia il rumore
di mare lontano.
I pensieri vorrei stonare
e buttarmi via tutto
per disegnare fuochi nuovi
alla notte.
E non avere risveglio.
…………………………………………………………………………………………………………
La spiga di grano aveva sapore
di terra dura e api e pane ancora
non cotto.
Ne cercavo le poche rimaste
dal mietere prima di ogni tramonto.
Nude tra stoppie e sassi
e fragili, come le dita tagliate e asciutte
di mia madre.
Pioveva, sul campo bruciato
quando l’estate iniziava a finire
ed io non ero più, solo un seme.
…………………………………………………………………………………………………………
Esco
a piedi nudi nell’alba.
Ombre d’alberi abbracciano il cielo
scuro d’azzurro della notte sorpresa
dal rumore della luce
che suona di uccelli nel nido
e acqua che scorre.
Mi sono svegliato e posso
pensare ancora.
E ancora chiedere d’essere amato.
…………………………………………………………………………………………………………
Mi siedo
sul bordo dell’asfalto ad ascoltare
la mia notte allontanarsi
sporca della cenere di pensieri
trascorsi.
Fili d’erba seccati duri tra le dita
e un cane che abbaia lontano
al cielo senza luna.
Da solo, tanti altri passi , oggi.
…………………………………………………………………………………………………………
Hanno ripreso le rondini
a scheggiare l’aria
dopo la pioggia e il fango
che han portato le braccia mie vuote
a valle.
Ombre veloci sui raggi di sole spaurito
come note di musica tagliente
che resta
sospesa sulla sera assetata.
Le foglie, sono colme di lacrime
che non ho pianto, ma desiderato.
…………………………………………………………………………………………………………
Io desidero impossibili ali
per traversare certe mie mattine
di un tempo senza paura
e mostrargli la strada percorsa
e rivelargli che
di tutta una luna illuminata da nuvole,
solo averti sfiorata
mi ha fatto nascere.
…………………………………………………………………………………………………………
Volevo solo niente
e lo volevo mentre
avevo il tramonto dentro e
seguivo una musica finché
non s’è fermata
nell’erba seccata e
allora ho scavato perché avevo
bisogno di vento tra i rami
e non m’è rimasto niente.
Ed era quello che volevo.
Niente.
…………………………………………………………………………………………………………
Non respira insieme a me
questa sera che scende calda
e nemmeno il vento, batte
col sangue mio
e le parole non trovo
per fermare la mia ombra
che scivola
dentro una pozza di luna.
Allora mi spoglio
nudo e mi stendo in terra
e aspetto che mi porti via.
Un sogno.
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Una donna percorre la lentezza del dolore
senza che i fiori possano
spiegarle nulla, o la luna
fermarne le lacrime
nascoste sotto i sassi.
Di notte smettono le cicale
i loro richiami d’amore e
abbaiano lontane le stelle.
Nessuno vince l’assenza
solo le nuvole disegnate dal vento
possono aprire cieli
colorati dei passi che possiamo.
Si fermano gli orologi,
quando sa d’essere viva.
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M’accorgo del vento dalle foglie inquiete
questo vento serale che
risale i costoni di montagna aspra
e svalica, verso un mare
che non voglio nuotare.
Ho dentro, il mio mare di sirene
e onde lunghe
e di alberi maestri fragili
che fermano ali di cotone
e salsedine e sego e sudore
e fame e cime.
Al termine del mio mare è
il mio funebre telo e i remi.
Ma fino a lì, resta colmo di te
il mio cuore di bronzo antico.
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Sono una casa scrostata
e ferita, e i miei occhi sono
di vetro spezzato e storte,
le palpebre senza sonno.
Ho gambe fragili, divorate
da ruggine sabbiosa di tempo.
Ma ho porte aperte per te
sempre, e mura che t’abbraccino
e proteggano e coprano
perché tu sola, puoi abitarmi.
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Di questi pomeriggi fermi
mi pesa l’assenza di vento perturbatore,
il pallone che stampa sui muri
un’ombra polverosa e veloce
e lo scalcagnare degli zoccoli
di legno povero e sudato.
Mi manca la luce di traverso
le persiane verdi
spiegazzata dalle tende bianche
e l’attesa di sera fresca.
Non m’importa d’aver perso l’infanzia
mi spiace non vederne altre.
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Forse c’è qualcosa oltre
l’orizzonte
ma io già ora, non posso
toccarti.
Spenta la notte, tornerà
il giorno
ed è lontano, come un sogno
senza memoria.
Guardo un fiore, di là dal
vetro
e passisce, senza l’acqua della
bocca tua.
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Basta che mi guardi
mentre sono su un balcone lontano,
basta che mi scrivi
su un foglio aeroplano
e basta che mi accendi
un lampione distratto
dalle carezze di un cane randagio e
basta che mi allunghi
un bicchiere di bollicine
e basta che balli con me
un passo di brughiere e
scogliere alte
e allora, allora solo mi difenderei
con un coperchio di latta dalla notte
e vincerei l’alba
dalle dita di arancia e le labbra tue.
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Quante cose non mi servono:
per andare, non mi serve speranza e
per tornare non mi serve nostalgia e
quando leggo non mi serve ordine
e quando cado non mi servono mani
che mi riprendano
e se nuoto non voglio galleggiare
e se l’orologio finisce non mi serve
fermarlo.
Solo voler guardare le stelle mi serve
e sentire nei mattoni sporchi del molo battermi il cuore
come davanti ad un legno di barca
fragile.
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Guardo le foglie esauste di un pensiero pendere,
da un ramo sospeso sull’assenza di nuvole
e aggrappato alle ali di un passero
che canta la solitudine di un tramonto lontano;
se ci fossero mani aperte
a raccogliere quella linfa di illusioni colante
forse, anche l’ombra delle mie poche
ostinazioni capirebbe
d’essere sconfitta e ascolterebbe
le risate lontane di giovani donne felici
e cercherebbe quiete. Infine.
E senza sogni sonno.
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La mia musica
porta l’alba in cielo mentre
ancora notte sembra e
lo scuote e perde e
lo disegna di linee felici
e ritmi di temporale
e curve di tempo trasparente.
Divide il sole in raggi morbidi
la mia musica
e in spade di luce urgente.
Non vende dischi, la mia musica,
ma balla e regala primi sguardi sul mondo
e mi snuda la pelle. Sempre.
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Il mio futuro è un parcheggio vuoto,
un concerto di silenzio denso
mentre un cane senza carezze, guarda.
Non intendo neanche ribellarmi
al mio incerto futuro.
Da qualche parte, ci sarà
un parassita che mi aspetta,
paziente, sotto il cuore che
mi batte forte.
Puoi chiudere,
questo sipario senza gloria.
Io me ne vado.
Oltre questo cielo giallo di poltiglia
vado trovandone uno semplice
terso d’aria schiva, almeno libera.
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Piega, il vento, l’albero nuovo
e ne prova tenacia al dolore
non cade di foglia lacrima
né strappa di terra radici dolci
ma il fusto rialza se quieta
appena il soffio nero d’odio.
Così, orizzonte libero cerco
sempre, quando sono steso ferito
né m’importa del sangue colato.
E non m’offende il vento mai;
sua natura, correre indifferente.
Colpevole è chi profitti senza
cura e spregiato vuole ogni
mio sogno e pensiero, eppure
s’alza il tempo, e come tramonto
spegne, ogni vissuto giorno.
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Ascolto due orologi battere.
Uno segna il giorno,
e l’altro segna il tempo.
Quello che segna il giorno
torna su sé stesso e ritrova
sere dolci e mattine sveglie
e stagioni e feste e esami
e attese d’amore.
Quello che segna il tempo
corre
ed ha il solo verso dell’andare
fino al buio di sé.
E ha sempre meno strada.
Per questo, m’inganno, aspettando
giorno e primavera, e te.
Come se potesse illuminarsi,
l’ombra.
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Non voglio lasciare impronte ma
essere acqua leggera che
scorre e svapora.
E che nessuno s’accorga,
delle mie mani.
Come le mille moltitudini senza volto
delle notti trascorse, così il nome mio
sì sperda, perso nel vento.
Neanche un fiore, è cresciuto,
per mio merito e di me i campi
non sono fecondi.
Solo del cielo una goccia
di pioggia desidero.
Unica lacrima che non sia mia.
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Da un giorno, ti aspetti parole
nuove e vere finalmente.
Ti aspetti nuvole che cambino
il cielo e le abitudini che
conosci e temi.
Ascolti la voce dei cani lontani
che chiamano il monte
perché scenda, dalla sua solitudine.
Respiri della tua propria assenza
l’odore.
Del giorno guardi già
l’erba stinta ed esausta
e sempre meno fiori
ti aspetti di sfiorare.
Dentro il giorno vai,
a portare quella luce che
insiste, a restare accesa.
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S’arruffa le penne un passero
poggiato sul fondo d’un bacile smaltato
che, leggermente colmo d’acqua serale
ho poggiato sul davanzale d’una finestra
quasi chiusa, agli occhi suoi.
Lo guardo mentre inquieto
si bagna le piume e beve,
e mi pare quasi pronto
a volare da me lontano.
Forse finalmente felice dopo la sete.
E un giorno smetterà di ricordare
quell’acqua mia segreta.
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Mi prende una strana voglia di sorridere
come se fossi vivo, e amato.
E mi stenderei sulla terra, arsa,
immaginando una pioggia dolce
che mi bagni via le lacrime
e mi lasci la bocca colma di vino
trasparente, come se fosse placata
la sete mia.
Di te.
E mi prende necessità d’abbracciarmi
per far finta di non essere solo
e pallido e sentire che mi corri dentro
mio sangue.
Mi prende gioia di chiudere gli occhi
perché si capisca, che senza te,
il mondo non lo guardo.
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