Avevo avuto un infarto, mi hanno detto.
Non è che ci abbia capito molto. Non so bene se si fosse fermata una vena, o se un pezzetto di cuore si sia lacerato.
Io so solo che stavo per terra, di tarda sera, in quel piccolo largo davanti alla chiesa di Santa Maria del Carmine, che neanche col terremoto l’hanno riparata e resta sempre sbarrata da un cancello pieno di ruggine e scorticature, poco dietro al Boss; il Boss dico, quello di prima. Ora ne sono diventati due. E Giorgio, da poco, non c’è più.
Mi avevano menato e sputato. Gli occhiali rotti. Erano in quattro, credo.
Ma io so che non era per quello, che il cuore mi s’era strappato, e nemmeno per la corsa che avevo fatto, per arrivare fino da lei; fino a dove avevo sentito lei urlare di paura.
No.
Il cuore mio, io lo so. E so che voleva solo che nessuno le facesse male. Nessuno doveva prenderla con la violenza, e offenderla e sporcare la sua bellezza giovane. E farle male.
Io sono vecchio, ormai. Se morivo allora, o se muoio adesso, a chi frega niente ?
Io non ho nessuno.
Forse qualche amico. Magari qualcuno che si ricorda di me, anche se io di lui non mi ricordo. Ma, alla fin fine, se morissi, sarei solo un altro che ha fatto il tempo suo.
Gli alberi, crescerebbero egualmente, e le stagioni.
Piazzetta Regina Margherita, continuerebbe ad essere piena di gente.
Adesso, poi, l’hanno cambiata tutta. Niente più aiuola in mezzo. E’ solo uno spazio bianco traversato da linee di pietra che sembrano panchine, e le persone ci si siedono sopra, ed è pieno d’ombrelloni, e tavolini e sedie, dei bar e dei locali di tutto intorno. Ognuno vende qualcosa. Ognuno può bere, e mangiare.
E tutti stanno seduti lì, come in un qualsiasi altro posto.
Se salissi su uno dei palazzi rifatti intorno, e guardassi in basso, verso la piazza, vedrei il fondo lontano di un pozzo estraneo. Illuminato di suo e staccato da tutto. Come una cosa che galleggia in mezzo al cielo o in mezzo al mare, senza che c’entri niente, col resto. Appiccicata lì, e basta.
Magari lo penso, solo perché sono vecchio, e a noi vecchi, si dice, viene più facile girarci indietro, piuttosto che guardare avanti. Però penso che potevano esserci altri modi che permettessero alle persone d’incontrarsi e parlare, e altri colori, meno assenti.
Ma i miei, sono pensieri da niente.
M’hanno ripreso per i capelli: m’hanno raccontato. Me l’hanno raccontato, perché io non mi ricordo niente. Mi ricordo solo che mi sono svegliato dentro una stanza d’ospedale, tutta chiusa, dove c’ero solo io, come in un acquario, e mi faceva male tutto, anche la luce delle lampade negli occhi. Sentivo un puntino metallico rosso suonare una nota sola, strana, , ogni volta che il cuore che m’era rimasto, batteva. Avevo una roba di plastica piantata sopra la faccia, e, la prima cosa che ho fatto, è stato di togliermela, perché anche se pompava ossigeno, m’hanno detto dopo, io mi ci sentivo soffocare. Mi sentivo il braccio tutto indolenzito dagli aghi, e blu, dei lividi, e sapevo d’avere le labbra gonfie, e forse la mascella rotta, perché non chiudevo bene, e mi faceva male, tantissimo. Come la schiena, che mi sono messo su un fianco, zitto, e ho potuto piangere un po’.
Alla fine, ci sono uscito, dall’ospedale, che era un giorno di sole, e caldo davvero.
Non m’aspettava nessuno, fuori, e lo sapevo.
Ma, per un attimo, m’ero illuso che ci sarebbe stata lei. Avevo quasi fatto finta di pensare alle parole che le avrei detto, e al sorriso che le avrei visto splendere.
Non mi volevo mica sentire ringraziare. No. E di che ?
E’ solo che mi sarebbe piaciuto, vederla. Avrebbe avuto un senso, quel pezzo di vita che avevo appena passato. E anche quello prima.
Me ne sono tornato a casa, a piedi, piano piano, con le orecchie piene del rumore del traffico della città, dopo i suoni smorzati dell’ospedale. E le ruote dei carrelli dei medicinali.
E mi sono fatto un caffè. Non esce mai un caffè buono, quando la macchinetta non la usi da tanto tempo e la polvere è secca, che sembra sabbia sotto il sole, e fina.
Però, me l’ero fatto da solo. Le mani non mi tremavano, e potevo afferrare gli oggetti senza tanto dolore. Potevo ricominciare.
Ma non ero preparato, in verità, a quello che mi aspettava.
Non ci avevo mai pensato davvero, in fondo. M’ero fissato solo sull’idea che sarei potuto uscire dall’ospedale, ma non ci avevo pensato, alle conseguenze, del ricominciare a vivere.
Per qualche anno, avevo visto Gaia bambina, e, in fondo, era stato facile, tenermene lontano. Era tutto proibito, talmente tanto, che non ci pensavo nemmeno. Come un muro d’ombra automatico. E che non mi faceva male, alzare.
Appena cresciuta lei, era successo quello che era successo. E io la guardavo solo da lontano, ogni tanto, quando capitava.
E adesso.
Adesso tu saresti andata in giro per la città, e ti saresti innamorata. E avresti baciato un altro, e ci avresti fatto l’amore.
E io, io che cosa avrei potuto dire, o fare ?
Io potevo, e posso, solo pensare a te.
E dovrei smettere di farlo, per quanto mi fa male pensare a te. Mi fa male più dei calci che ho preso. Mi fa male più del pensiero che anche tu mi hai preso a calci, perché non ti sei girata verso di me, e non mi hai guardato.
Ma cosa avresti visto ?
Avresti visto solo un vecchio senza futuro.
Uno col quale non prenderesti un autobus, per andar via da tutto, e trovare una qualche parte dove le stelle non sono illuminate col neon. E le puoi guardare, stesi in terra, insieme, tenendoci per mano, mentre tutte le storie che le stelle hanno visto nel tempo, ci passano sopra la testa e gli occhi e ci illuminano, leggermente, per non disturbare il cuore mio, che protegge e accarezza il tuo.
Ma poi, tu, in realtà, non sai neanche che esisto, forse. Ed è giusto così.
Da oggi in poi, tu andrai a camminare dove nemmeno gli angeli, possono. Io potrei seguirti, potrei rassicurarti che penso a te, che se ti servisse qualcosa, io penserei a te.
Ma queste, sono tutte storie mie. E solo mie. Io con te, non ci posso neanche parlare.
La vita vera, sta da un’altra parte.
Io sono niente, e neanche una parola merito, Gaia.
Ed è giusto che tu viva come se io non esistessi, perché è giusto che io non esista. Forse da qualche parte nell’universo, tutto l’amore che s’è dato, anche quando resta sconosciuto, può servire, a qualcuno, o a qualcosa.
A non far affondare una barca. A tenere dritte le ruote di un’automobile. A far atterrare un aereo.
A dare ancor più dolore a questo vivere da solo.
Colonna sonora: ” Thinking of you ” – Colourfield