Da molto tempo, ad Aquila, l’ASM ( Aquilana Società Multiservizi ), ha un deposito temporaneo di rifiuti presso la sua sede principale, in quello che, una volta, era il Nucleo Industriale di Pile, e che ora, è un agglomerato di imprese e centri commerciali; sedi direzionali ed uffici di ogni tipo.
Tale deposito si trova proprio all’altezza della rotonda doppia che rallenta e dipana il traffico della Statale 17, quasi all’altezza della strada che porta all’Ospedale e alla frazione di Coppito: un luogo, soprattutto dopo il sisma del 2009, estremamente trafficato.
Ora, poi, l’ASM sta predisponendo un nuovo sito di stoccaggio temporaneo dei rifiuti, ad un centinaio di metri di distanza; sempre sulla Statale 17. Un ulteriore attrattore di traffico, su una strada ampiamente congestionata, per non parlare delle possibili ricadute negative sull’ambiente circostante ( a partire dal non distante fiume Vetoio ), che possono derivare dalla natura dei rifiuti che lì saranno stoccati. Vale la pena di dire che, in occasione della costruzione di questo ulteriore orrendo capannone, si è pensato bene di abbattere un meraviglioso albero che era poco distante, sul ciglio della strada, e che in nulla avrebbe disturbato i lavori di costruzione, o il normale esercizio di attività di quel luogo.
Lo stoccaggio temporaneo dei rifiuti, ha dato luogo ad alcuni fenomeni.
Tra questi, due in particolare.
Nell’area immediatamente esterna al deposito, ed interdetta al traffico, tra vegetazione disordinata e asfalto abbandonato, è sorta una casetta raffazzonata. Rifugio temporaneo di uomini e cani randagi. Che tutti preferiamo non vedere.
Invece, oltre la strada, nella superficie di fronte al deposito, dove si estende la grande area che una volta costituiva la scuola di formazione della Reiss Romoli, caratterizzata anche dalla presenza di numerosi alberi ad alto fusto, si è formata una enorme colonia di cornacchie, che utilizza il deposito temporaneo di rifiuti come una dispensa di cibo sempre aperta e disponibile.
Il numero delle cornacchie, nella nostra città, si è incredibilmente esteso; e lo si nota anche per la contemporanea scomparsa, o quasi, di altre specie d’uccelli: le gazze, ad esempio.
Le cornacchie sono uccelli opportunisti e capaci di grande adattamento, oltre che di azione in collaborazione.
Negli ultimi anni, chi frequenti il Gran Sasso, o Campo Imperatore, o le aree prossime a Santo Stefano di Sessanio, può notare la presenza costante di stormi sempre più numerosi di questi uccelli.
E può notare come essi stiano contendendo vittoriosamente il territorio ai rapaci delle nostre montagne. Le cornacchie, in gruppo, ma anche da sole, attaccano falchi e poiane e gheppi. Le cornacchie non devono mantenere il loro corpo in perfetta efficienza, e possono anche non curarsi di piccole ferite o lievi lesioni alle ossa, perché non sono predatrici come i rapaci, ma si nutrono prevalentemente di scarti e di carcasse: e quindi non hanno paura di competere con i rapaci che, invece, fuggono, proprio per evitare che sia compromessa la loro capacità di predazione e quindi, di sopravvivenza.
Fanno festa serpenti e topi, i cui predatori naturali, in questo modo, diminuiscono radicalmente.
Il comportamento umano; la nostra organizzazione sociale cittadina, a poche decine di chilometri di distanza da noi, tra montagne che siamo abituati a rappresentare come templi della natura incontaminata, sta producendo cambiamenti e danni enormi. Non so se reversibili.
Chi frequenti la montagna, anche da cittadino, persino senza camminarci dentro, può raccontare cosa stia diventando il Gran Sasso.
In questi giorni, cominciano ad arrivare le prime mucche al pascolo.
Centinaia, migliaia di capi. Per i quali sono realizzati stazzi, ai bordi della strada, con materiale di risulta, improvvisato e inguardabile sul piano estetico, oltre che, forse, non proprio adatto alla salute degli animali.
La consistenza delle mandrie lasciate al pascolo, mette a serio rischio le scarse risorse idriche presenti e sottrae aree, e nutrimento, agli animali selvatici: cervi, daini, caprioli, camosci etc.
La convivenza, tra allevamento, anche di ovini, e animali selvatici, può essere possibile, ma non con le quantità esorbitanti di bestiame autorizzato ( ? ) a pascolare sul Gran Sasso e sugli altipiani alle sue pendici.
E non s’illuda, chi oggi si trova di fronte ad una stagione primaverile ricca di piogge, che hanno regalato colori meravigliosi alla nostra montagna. Chi frequenti gli affioramenti d’acqua, sa quanto essi siano stati seccati dal susseguirsi di stagioni aride e uso umano dissennato. Chi oggi goda del verde dell’erba alta, non può dimenticare il deserto dello scorso agosto, o la terra indurita e spaccata di novembre e dicembre scorso e la vegetazione ridotta a paglia seccata e sfibrata.
Sui bordi della strada che da Filetto arriva ai Piani di Fugno, si tagliano alberi per farne legname da ardere, portando nel bosco addirittura camion e nastri trasportatori. Dei pini si tagliano, senza ragione i rami bassi, e, quando troppo vicini al bordo strada, li si abbatte direttamente, senza che sia comprensibile il criterio usato per questi interventi ( chi li compie ? ).
Nessuno però si cura delle infestazioni di processionaria.
In quelle aree, è vietata, non solo la caccia, ma anche l’addestramento dei cani.
E, invece, circolano regolarmente mute di cani da caccia fornite di radiocollare per consentire ai cacciatori di identificare immediatamente i luoghi dove sia la selvaggina.
Un tempo, se la domenica una famiglia si recava sui prati del Gran Sasso, per pranzarvi, o magari accendere un fuoco controllato per arrostire un po’ di carne, immediatamente arrivava una pattuglia del Corpo Forestale a verificare la regolarità dei comportamenti, o a sanzionare le fesserie che potevano essere compiute.
Da anni, non si vede alcuna pattuglia di controllo, di nessun corpo dello Stato sul Gran Sasso. Io non so neanche, se esistano, in quale mansione siano impiegate le Guardie del Parco; già, perché il Gran Sasso sarebbe persino un Parco Nazionale.
D’altra parte, se l’assenza non fosse così chiara, e nota, come potè accadere l’incendio di Vado di Sole ?
Colpevolmente appiccato per imperizia, durante una fantomatica fiera degli ovini, il cui unico scopo è quello di fornire una buona scusa per mangiare arrosticini di provenienza autoctona ( ? ), in un’area dove camminano i lupi, quando l’uomo non decide d’essere presente con le sue grancasse, o con un punto ristoro che, forse, andrebbe reso meno invadente e meglio integrato, in quel territorio magnifico.
Ammesso sia necessario mangiare, e bere, sempre, e ovunque, ivi compreso negli spazi stradali antistanti furgoni ambulanti autorizzati ( ? ).
Non si tratta, di contestare la presenza di attività economiche che, spero almeno, diano da vivere a qualcuno; ma di decidere come, davvero, armonizzare una presenza umana con l’attenzione che deve essere concessa a luoghi straordinari che dovremmo essere capaci di preservare per i nostri figli e nipoti. Oltre che per noi stessi.
E come può essere definita una attenzione umana che vagheggia di nuovi impianti di trasporto a fune verso la Fossa di Paganica, quando in quei luoghi giace una cabinovia abbandonata da anni; quando nella Fossa, utilizzata con le sue fragili risorgenze d’acqua, quale luogo vocato al pascolo, continuano a giacere da decenni i resti e le macerie di un insediamento turistico enorme, che insozzano un’area di splendente bellezza ?
Tutto il Gran Sasso è caratterizzato da costruzioni umane iniziate e mai concluse ( a partire dall’albergo mai aperto appena all’uscita del casello autostradale ); da monconi di cemento sparsi ai margini della strada o da costruzioni raccogliticce, di legno, muratura, bandoni metallici, inutilizzate e bruttissime; mentre tutto il sistema dei fontanili, e la cura delle fonti d’acqua è preda di decennale incuria ed indifferenza.
Di questi interventi episodici, disorganici e drammaticamente impattanti, non vi è alcun pensiero che ne preveda la rimozione ed il ripristino delle condizioni ambientali precedenti. Si pensa invece ad aggiungere impianti la cui utilità, oltre che utilizzabilità, è fortemente dubbia.
Chi passi per Fonte Cerreto durante la stagione sciistica, noterà che, prima d’ogni cosa, i bordi della strada, in entrambe i sensi di marcia, saranno intasati di automobili parcheggiate, senza che nessun vigile urbano controlli quello che accade. Se dovesse di lì passare una ambulanza, resterebbe presumibilmente bloccata, mentre il Parcheggio Simoncelli, cento metri più sotto, probabilmente, sarà quasi vuoto, perché gli sportivi non possono fare qualche metro a piedi, prima d’arrivare alla Funivia, tanto che, addirittura, vi è chi progetta di costruire tunnel e tapis rulant che evitino questa immane fatica, e nessuno pensa invece, ove fosse utile, ad allargare caso mai il parcheggio esistente, impedendo la sosta sui bordi della strada e restituendo così bellezza e vivibilità anche a quell’area, prevedendo magari delle piccole navette elettriche che facciano la spola tra il parcheggio e la base della funivia. Prezzo del biglietto andata e ritorno: un euro. O è troppo ?
La nostra montagna, non viene vissuta come se fosse la nostra casa, di cui ci prendiamo cura ogni giorno; ma come un pozzo al quale ciascuno voglia attingere secondo le proprie voglie, capricci o mire, senza comprendere che è proprio la bellezza del luogo, e la sua ( quasi ) assenza di contaminazioni, a costituirne la vera ricchezza cui poter attingere, per creare occupazione e mantenere attività compatibili.
E, invece, il silenzio delle sue strade, è percorso da decine e centinaia di moto rombanti che, meglio, potrebbero sfogarsi in un circuito; o da auto d’epoca, o da corsa che, appositamente arrivino per sgasare e correre a velocità improponibili.
Si vuol provare l’ebbrezza della velocità in luoghi magnifici ?
Allora costruite un sistema di noleggio di mezzi di locomozione elettrici, e fate pagare una piccola cifra che consenta di andare in giro per diporto lungo la piana di Campo Imperatore. Io non credo, che, a parte alcuni stolti ed egoisti proprietari di mezzi di locomozione, ci sia qualcuno che possa lamentarsi di un generalizzato divieto di circolazione ( salvo che per i residenti dei paesi limitrofi ) ai mezzi con motori a scoppio. Nessuno impedirebbe di arrivare in quei luoghi. Ma magari è possibile farlo senza fare ulteriori danni. In armonia con quel cielo il cui colore non esiste altrove.
La storia di quei luoghi, meriterebbe un rispetto diverso.
Si restaura l’albergo in cui fu detenuto Mussolini, sperando magari in un turismo reducistico triste e cupo. Mentre invece, da decenni, non vi è una targa lì, che ricordi la guardia campestre Pasqualino Vitocco e il carabiniere Giovanni Natale: unici italiani a mantenere la consegna di garantire la prigionia del dittatore, ed uccisi dai tedeschi che andavano a liberare il giocattolo di Hitler.
Invece si buttano impunemente a terra le cicche di sigaretta magari ancora accese. A Montecristo, non s’è trovato di meglio, per raccogliere i rifiuti, che depositare in mezzo ad un parcheggio, un enorme cassone metallico, delle stesse dimensioni di quelli utilizzati per raccogliere le macerie dei palazzi abbattuti dopo il sisma del 2009, rendendo così quel luogo, che è uno splendido balcone naturale sulle valli sottostanti, eguale ad una qualsiasi periferia degradata aquilana.
Il Gran Sasso è un luogo meraviglioso da fotografare, perché se ne possono isolare scorci incredibili privi di presenza umana; ma che non può essere filmato, per non accorgersi di come lo stiamo abusando; di come ad aree incontaminate, susseguano immediate brutture e danneggiamenti.
La presenza umana, nell’area del Parco, dovrebbe essere equilibrata, sostenibile, e bella. In questo tempo, purtroppo, prevale una predazione sciocca che sta togliendo respiro e futuro, ad una ricchezza inestimabile del nostro territorio.
Mi piacerebbe, se si comprendesse, fino in fondo, che non esiste una contrapposizione tra conservazione di un luogo, e suo sfruttamento economico.
Esiste solo l’esigenza primaria di salvaguardare l’ambiente che ci circonda, anche per contrastare la terribile crisi climatica che stiamo vivendo; e dentro questa esigenza, trovare gli spazi possibili per scelte che producano l’economia necessaria, non all’arricchimento di pochi, ma alla vita di tutti.