Quello che voi siete, io ero.
Uno specchio doppio, nel quale si riflettono, rovesciati, i tempi del vivere.
Il presente, è in bianco e nero; il passato, la finzione, è a colori.
Sia nella realtà, che nella finzione, un vecchio, e un giovane, uomini, s’incontrano, e si scontrano. Non è un destino. Sono solo casualità. Piccole ambizioni. Malintesi e anche invidie un po’ superficiali.
Magari è la voglia di restare, e di sentirsi ancora vivi, che, però, fa paura.
Perchè quando il tempo si stringe, vivere, ma vivere davvero, e abbandonarsi alla passione, al desiderio, o, peggio ancora, immaginarsi un futuro, con tutto sé stessi, fa paura.
Meglio restare coccolati nelle proprie abitudini deprimenti e rassicuranti, nostalgiche.
“ Il ritorno di Casanova”, non è un film sul tempo che passa. Checchè ne dica il protagonista.
Ma è un film che gioca, con l’idea di mostrare un film che, nonostante il regista, si fa, e cresce, esattamente come capita per il vivere: si pensa che tutto sia fermo, ed immobile, ed un infinito pozzo in cui pescare, ed invece, tutto respira; si disequilibra e cerca e sbatte e, forse, si rialza. Sfugge.
Gabriele Salvatores, si regala il suo “Effetto notte”, circondandosi, come Truffaut, di suoi vecchi amici e collaboratori, e anche di grandi star.
Meraviglioso Natalino Balasso; superbo Fabrizio Bentivoglio… e Toni Servillo, la cui bravura, ormai, deve misurarsi solo col rischio di essere troppo Servillo, e meno il personaggio che deve recitare cui, in questo caso, regala una splendente miscela di depressione ed insicurezza maschile. Bellissimo nella sua incazzatura, Antonio Catania; perfetta, Sara Bertelà, nel suo tentativo impossibile di riportare il tempo indietro ai propri sogni di giovane amante; spiazzante Bianca Panconi e veramente micidiale, spietata, Sara Serraiocco, capace di sovvertire il mondo intero, con l’unica forza che vince la paura della morte: l’amore.
Anche quando è insensato e vola controvento.
Salvatores indaga il maschile senza compiacimento, mostrandone le fragilità più profonde che, viste da fuori, fanno ridere; viste da dentro, sono solo un esercizio continuo di disconferma, di nascondimento; di autonegazione. Di orrore, persino. E solo quando il maschile s’incontra col femminile, solo allora, è costretto a rivelare la propria vera natura. Non gli è consentito, nascondersi. E si svela. Coraggioso o vile che sia.
Casanova, si svela per quello che è: un vecchio.
Il vecchio regista, si svela per quello che è: un bambino terrorizzato di diventare uomo.
Eppure sono anche altro, e anche altro, sono capaci di essere.
Il duello, tra giovane e vecchio si combatte da nudi. Da indifesi. Si combatte sapendo di star combattendo una battaglia contro il proprio passato, ma anche contro il proprio presente.
Per l’uomo, per il maschio, l’unico futuro possibile è rappresentato da una donna. Che regala vita.
“ Il ritorno di Casanova” lascia dentro maree di domande; queste sì, suscitate dal tempo che passa. E, il tempo che passa, alla fine, in realtà, chiede di rispondere ad una sola vera domanda: se cioè, la nostra vita ce la stiamo giocando sui binari della rappresentazione di noi stessi, imprigionati dalle nostre abitudini, o dal personaggio che abbiamo scelto di recitare ( o che gli altri, magari per comodità, ci hanno affibbiato ), o se, invece, abbiamo il coraggio di scavare più a fondo e restare aperti al nuovo, al possibile. All’incanto.
Se siamo capaci d’accettare le nostre nude fragilità e viverle. E se siamo capaci di dircele, le cose.
Casanova, nelle sue memorie, scriveva d’essersi “innamorato” d’ogni donna che avesse desiderato, e forse è quello che dovrebbe accadere d’ogni giorno della nostra vita. Innamorarci, del tempo che passa.
Perchè sepolto un film, se ne fa un altro, o perché, in Piazza San Marco, ad inizio del ‘700, si poteva essere attratti da una Lanterna Magica, che iniziava a raccontare storie e a far immaginare film.
C’è sempre la tentazione di cercare, in una storia, l’autobiografia di chi l’ha scritta.
Per una volta, forse, vale la pena invece di cercare l’autobiografia del cinema, dentro questa storia. Della sua libertà narrativa. Della straordinaria possibilità di creare universi che non richiedono spiegazioni, ma solo di lasciarsi entrar dentro le suggestioni di un racconto. Le sue pause. Le sue frasi ad effetto. La meravigliosa magia di sentirci interrogati pur senza che nessuno di quelli che abbiamo intorno ci conosca, o ci guardi.
Ma questa, è solo la mia opinione. L’opinione di uno che pensa che vivere sia importante e andrebbe celebrato con l’assenza di pigrizia, e col coraggio di ammettere i propri limiti, e le proprie, magnifiche, e terrestrissime aspirazioni.
Ma io, “io sono solo un vecchio impolverato”.