Ci sono vari borghi, intorno ad Aquila.
Quando se ne parla, in genere, vengono citati per la loro bellezza. Spesso purtroppo sfiorita e maltrattata da una edilizia irrispettosa dei luoghi e dell’ambiente. Se ne parla per i danni che hanno subito dai terremoti, che dal 2009 ad oggi si sono susseguiti sul nostro territorio: si lavora, in quei borghi, per restituire bellezza, o la semplice funzionalità utile alla vita quotidiana. Ma, in genere, i ritardi pesano ancora tantissimo, sia nella ricostruzione privata, che in quella pubblica. Spesso, in quei borghi, i villaggi provvisori edificati per accogliere le famiglie sfollate dalle proprie abitazioni per i terremoti, ora accolgono, in situazioni sempre più degradate e non manutenute, persone in difficoltà economica, e marginalità di vario segno e colore.
Spesso, di quei borghi si parla quando ci si riferisce al fenomeno dello spopolamento delle aree interne. Luoghi nei quali si fatica a tenere in piedi una scuola; o luoghi spesso privi di un adeguato presidio medico o almeno di una ambulanza disponibile che porti ad un Pronto Soccorso. Luoghi nei quali tenere aperta una attività produttiva, o di commercio, o ricettiva è davvero difficile; luoghi nei quali spesso le terre sono abbandonate o degradate, ed i servizi pubblici sono scarsi.
Ma sono anche luoghi che attraggono turismo.
Nei fine settimana, o nei periodi di festa. Nelle località prossime ai campi di sci, o a percorsi escursionistici, o ad emergenze storico-ambientali. O, più in generale, nell’arco dell’anno, quando si voglia usufruire di una offerta ricettiva o culinaria diversa, da quella che si può trovare nei centri urbani.
Un uomo, viene dall’Africa profonda. Con difficoltà, negli anni, ha imparato a parlare la nostra lingua. Non conosce bene le nostre leggi, come d’altra parte accade a molti di noi.
La vita compie dei giri davvero strani, e lo porta in uno di questi borghi dell’aquilano. Viene un po’ da ridere, forse, a pensare ad un nero africano immerso tra le nostre montagne gelide. A molti potrebbero venire in mente tante battute “simpatiche”, sperabilmente non razziste.
Non ha una automobile, perché non può permettersela, e può muoversi solo con i mezzi pubblici, e quindi si allontana poco, da quel borgo.
Trova lavoro in una di queste strutture ricettive, situata in uno dei borghi aquilani.
E’ il 2017.
Per due anni, lavora in nero, senza assunzione o contribuzione.
Nel 2019 viene assunto.
Ha un contratto part time, per quattro ore di lavoro al giorno. Fa un po’ di tutto, ma il livello di inquadramento a cui viene assunto, è il più basso di tutti. E, invece di quattro ore al giorno, ne lavora almeno dieci. Certe volte, diciassette. Ma la paga, e i contributi, sono quelli di un lavoratore part time a quattro ore giornaliere.
Diventa padre.
Chiede un po’ di tempo, da dedicare al nuovo nato.
I suoi datori di lavoro, lo convincono che il modo migliore, per prendere tempo, è dimettersi. Così potrà percepire l’indennità di disoccupazione, e poi, verrà riassunto. Immaginiamo che, nel tempo, nonostante le condizioni cui è sottoposto, il lavoratore abbia maturato una certa fiducia in chi, comunque, gli paga uno stipendio. Il lavoratore allora crede a quel che gli viene detto, e si dimette, con l’aiuto del consulente dell’azienda ( le dimissioni possono essere rassegnate solo “on line”, accedendo ad un sito del Ministero del Lavoro ), e questi certo non è stato a spiegargli le conseguenze delle sue azioni, e nemmeno che egli avrebbe avuto diritto, invece di dimettersi, a dieci giorni di Congedo di Paternità obbligatori, cui far seguire, se necessario, anche sei mesi di Congedo Parentale retribuito.
Un lavoratore che si dimetta, senza giusta causa, non ha diritto a percepire l’indennità di disoccupazione. E l’ignoranza della Legge, non assolve, né consente di rimediare all’errore.
L’Azienda, così, non dovrà pagare il premio all’INPS per un lavoratore licenziato che possa percepire il trattamento di disoccupazione, e, dopo cinque anni di lavoro, di cui due “in nero”, si è liberata di una persona che potrà decidere se riassumere, un domani, oppure no. Senza avere alcun vincolo.
Il lavoratore, potrà stare con suo figlio, ma senza uno stipendio, e senza alcuno strumento di sostegno al reddito.
Sono cose che succedono.
E succedono un po’ dovunque, mica solo nei borghi dell’aquilano.
Da anni, chi ha governato, ha depotenziato il sistema di controlli statali, sulle condizioni di lavoro. Da anni, e da ultimo l’attuale Governo, l’evasione fiscale e contributiva è premiata attraverso i condoni e la cancellazione delle cartelle esattoriali.
In Italia, e nei borghi aquilani, conviene fottersene delle Leggi e dei Contratti.
Nessuno, di fronte magari ad una denuncia all’Ispettorato del Lavoro, provvederà ad una indagine fiscale e patrimoniale nei confronti di abbia evaso gli obblighi contrattuali e di legge.
Le persone sono sole, davanti all’alternativa, se lavorare in condizioni simili a quelle del lavoratore venuto dall’Africa profonda, o se restare disoccupate.
Troppo spesso, quando poi abbiano un lavoro, questo è un lavoro “povero”, appena sufficiente a pagare affitto, bollette e cibo. Se non ci si mette di mezzo l’inflazione a rendere tutto ancora più complicato e difficile.
Tutto questo, non può descriversi, cercando attenuanti, nella crisi, nella concorrenza, negli alti costi di gestione, nella particolarità delle condizioni che caratterizzano un borgo dell’aquilano, sperduto tra le montagne.
Tutto questo ha un solo nome, e si chiama sfruttamento. E fa schifo.
E fa schifo ancora di più, perché è la regola.