“ Lo stesso meccanismo di espulsione, praticamente, che si ritrova tra gli eschimesi e presso altri popoli che abbandonano i vecchi, i malati gravi, i feriti, perché intralciano il loro cammino in una terra ostile, mettendo in pericolo la sopravvivenza di tutti. In un gruppo come la mafia, che deve difendersi dai nemici, chi è debole o malato, deve essere eliminato”.
Lo diceva Giovanni Falcone.
Davanti all’Auditorium del parco, ad Aquila, non so perché, è stata posta una pietra, che riproduce una famosa fotografia che ritrae insieme Giovanni Falcone, e Paolo Borsellino. Su quella pietra, è scritto che le idee restano.
Mi sono chiesto cosa significa, che le idee restino. E dove restino.
Le idee, per restare, devono essere vive: essere poste cioè, oggi, alla base di concreti comportamenti, e movimenti storici. Devono essere e divenire, oggi, parte del patrimonio morale di una persona, di una comunità, di una istituzione, e devono ispirarne l’agire.
Le idee, possono restare anche nella memoria. E, talvolta, estinguersi con essa.
Proviamo a vedere alcune delle parole pronunciate da Giovanni Falcone, e da Paolo Borsellino:
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“ La mafia, lo ripeto ancora una volta, non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli maestri cantori, gente intimidita o ricattata che appartiene a tutti gli strati della società. Questo è il terreno di coltura di Cosa Nostra, con tutto quello che comporta di implicazioni dirette o indirette, consapevoli o no, volontarie o obbligate, che spesso godono del consenso della popolazione. “
La mafia, prima di essere un fenomeno criminale, è un fenomeno sociale. Ed ha a che fare con la gestione del potere, e con la volontà di prevalere sul mercato, con ogni mezzo, compresi quelli illegali e violenti.
Tutti i fenomeni che oscurino la trasparenza nella gestione del potere, e tutti i fenomeni di inquinamento delle regole di trasparenza e correttezza dei mercati e tutti i fenomeni che sottovalutano o ignorano i conflitti d’interesse in campo economico, e dei poteri, potenzialmente, sono terreni che favoriscono l’azione della mafia e delle mafie.
In un Paese come il nostro, caratterizzato da corruttela e malversazione, troppo spesso, nella gestione della cosa pubblica; da raccomandazione e cooptazione e nepotismo ad ogni livello; da voti di scambio e opache vicinanze; da assenza di leggi che tutelino gli interessi dei più deboli sul mercato; da assenza di leggi che sorveglino e prevengano ogni possibile conflitto d’interessi; dalla presenza di leggi che invece, programmaticamente, favoriscono l’evasione fiscale e gli abusivismi e li condonano, e depotenziano i controlli dello Stato, e frammentano competenze rendendo difficilissimo ricostruire i processi decisionali e le responsabilità individuali e collettive, possiamo dire che quelle idee sono restate vive, ed operanti ?
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“ Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene. “
La mafia, e le mafie, prosperano nel silenzio. E non si tratta solo del silenzio sui giornali, o in televisione, o nelle scuole, o nelle aule del Parlamento e degli Enti Locali. E’ il silenzio del segreto bancario. E’ il silenzio della legislazione che permette intrecci ed intrichi societari incomprensibili, nei quali scompare la proprietà e che consentono riciclaggio di denaro e occultamento di risorse. E’ il silenzio degli accordi internazionali su questi temi. E’ il silenzio dell’assenza di controlli sui bilanci societari, e della depenalizzazione dei reati connessi al falso in bilancio. E’ il silenzio assordante sulla lotta all’evasione fiscale e contributiva.
In questo silenzio, possiamo dire che quelle idee che parlano, siano ascoltate ?
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“ Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo. “
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“ Credo che Cosa nostra sia coinvolta in tutti gli avvenimenti importanti della vita siciliana, a cominciare dallo sbarco alleato in Sicilia durante la Seconda Guerra Mondiale e dalla nomina di sindaci mafiosi dopo la Liberazione. Non pretendo di avventurarmi in analisi politiche, ma non mi si vorrà far credere che alcuni gruppi politici non siano alleati a Cosa Nostra – per una evidente convergenza di interessi – nel tentativo di condizionare la nostra democrazia ancora immatura, eliminando personaggi scomodi per entrambi “.
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“ Vi è stata una delega totale e inammissibile nei confronti della Magistratura e delle Forze dell’Ordine a occuparsi esse solo del problema della mafia […]. E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la Magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto… e no ! […] Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto”.
Falcone e Borsellino avevano ben chiaro, quale fosse il rapporto tra mafia e politica. Ma anche tra semplice malaffare, e politica.
La politica dovrebbe dare “guerra” alla mafia, e al malaffare.
E invece la politica ha troppo spesso convissuto con la mafia; ci si è alleata anche e si è giovata delle sue attività e del consenso, estorto e volontario, che la criminalità organizzata è capace di costruire intorno a sé.
La politica, anzi, soprattutto negli ultimi trenta anni, dalla discesa in campo cioè di un soggetto che aveva la mafia nelle stalle di casa, ha costantemente lavorato per depotenziare le possibilità della Magistratura di indagare e condannare. Arrivando fino alle discussioni odierne, sui limiti da porre alle intercettazioni telefoniche, e sui disegni, incostituzionali, di intervento sulla indipendenza della Magistratura e contro l’obbligatorietà dell’azione penale. La politica, del centrodestra, soprattutto, ma con ampie sottovalutazioni e condiscendenze del centrosinistra, ha lavorato in questi anni per sottrarre dai processi i potenti ed i ricchi, attraverso ripetuti interventi sui termini di prescrizione o sul “legittimo impedimento” ad esempio.
Falcone e Borsellino, invece, avevano ben chiaro che la Magistratura, avesse dei limiti, derivanti dalla necessità di accertamento di una verità e di una responsabilità giudiziale; limiti che comprendono la presunzione d’innocenza per ciascuno e le inviolabili garanzie della Difesa; ma assegnavano un compito più ampio e più “alto” alla politica: quello cioè di assumersi la responsabilità di non consentire in alcun modo contiguità e vicinanza al potere mafioso e al malaffare.
Il compito della politica avrebbe dovuto essere, e dovrebbe essere, quello di costruire ogni possibile argine all’infiltrazione mafiosa, malavitosa e del malaffare nella gestione della cosa pubblica, attraverso, innanzitutto, una seria legislazione in ogni ambito, capace di prevenire e anche di reprimere.
E invece si indeboliscono ( con l’alibi della semplificazione ), controlli e procedure nell’affidamento degli appalti, innalzando anche le soglie economiche entro le quali si possono attribuire lavori senza gara pubblica. Non si sono mai applicate quelle norme costituzionali che dovrebbero regolare la vita dei Partiti politici, in nome della Democrazia, e noi oggi abbiamo partiti politici personali, nei quali non sono mai chiari i numeri degli iscritti, o i poteri degli organismi dirigenti, o le regole democratiche interne, e a questi partiti senza democrazia affidiamo il Parlamento della Repubblica. E l’elenco delle dimenticanze potrebbe lungamente continuare.
La politica non dimostra di avere serio interesse a rendere la materiale gestione del potere un processo trasparente e davvero democratico, e rispettoso della legalità.
E, allo stesso modo, dobbiamo dire, che quando la politica, e l’informazione, pensano di risolvere problemi politici, attraverso l’intervento della Magistratura, producono un devastante effetto di delegittimazione complessiva del sistema, che sembra ormai aver prodotto pure dinamiche da stadio tra tifoserie contrapposte, invece che senso morale ed istituzionale, oltre che la sensazione che l’impunità di ricchi e potenti sia ormai inscalfibile, e che non ci sia alcuna certezza della pena, visto che ricchi e potenti, anche quando giudicati colpevoli, continuano a rivestire ruoli pubblici, benedetti dal consenso di decine di migliaia di elettori, invece che allontanati dai propri compagni di partito.
Guardare quella stele posta dinanzi all’Auditorium del parco, ad Aquila, produce dolore, per l’ipocrisia di quanti, celebrando il sacrificio della vita, di tanti servitori dello Stato, continuano poi ad affaccendarsi nelle loro faccende senza guardare in faccia niente e nessuno, pur di conservare il proprio status ed il proprio potere; e rimpianto per quello che Falcone e Borsellino avrebbero potuto dare all’Italia e agli Italiani in questi ultimi trenta anni.
Le loro idee sono restate. Nella memoria di alcuni. Nell’azione di tanti altri.
Ma non nella vita del Paese.
L’arrivo ad Aquila, di Matteo Messina Denaro, conferma la lucidità della visione di Giovanni Falcone, e l’acutezza delle analisi di Paolo Borsellino, che, esattamente per questo, si vogliono fissate su una pietra, piuttosto che operanti nelle istituzioni e nella società civile.