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L’attenzione

Dic 26, 2022 | Commenti

Per quanto tempo un bimbo, o una bimba, gioca con i regali che ha ricevuto in dono per il Natale ?

Può esservi, probabilmente, una risposta diversa per ciascun bambino, o bambina, e per ciascun giocattolo ricevuto. Ma, credo, non si vada molto lontani dalla verità, se si affermasse che il tempo trascorso con un giocattolo, sia direttamente proporzionale alla intensità del desiderio di avere tra le mani quel giocattolo.

Si tratta di una generalizzazione, evidentemente, e, come ogni generalizzazione, ha senso solo per orientarsi nella realtà, grosso modo, e purché si abbia l’accortezza, per un verso, di non darle valore universale, pur se in tanti sarebbero disposti a concordare con l’assunto che mette in luce, e per l’altro, di metterla in dubbio, per cercare d’approfondire sempre, con il maggior rigore possibile, se essa abbia o meno la capacità di svelarci la trama del reale.

Credo sia diffusa l’esperienza di verificare il piacere di un bimbo, o di una bimba, ad intrattenersi con un gioco, anche, tanto più quanto questo gioco consenta una relazione con altri; quanto più, cioè, il gioco si trasformi in un mezzo che favorisca la comunicazione tra soggetti, persino quando quel gioco non sia stato, inizialmente, tra i più desiderati.

Potremmo dire, quindi, che un gioco, quanto più sia desiderato, ma anche quanto più sia capace di stimolare relazioni diverse tra soggetti, tanto più diviene importante, e impegna una quota maggioritaria del tempo disponibile.

Qualcosa diventa interessante per la nostra mente, se la desideriamo, e se diventa occasione di comunicazione e relazione con altri.

In fondo, accade lo stesso con la scrittura.

Sempre meno, oggi, sembra che vi sia interesse per una scrittura complessa, un libro, ad esempio, o un articolo di giornale; e sempre meno tempo vi si dedica. Se si scorra quello che ciascuno decide di pubblicare su Facebook, ad esempio, ci si accorge, anche ad un esame superficiale, che esso è costituito in larghissima prevalenza, da immagini, e non da parole scritte che, quando ci sono, sono condensate prevalentemente in brevi frasi; ci sono social network, che hanno abolito le parole, sostituendole con immagini o brevi video, e altri che hanno programmaticamente scelto di limitare in modo rigido lo spazio di parole pubblicabili, che devono perciò esprimere un pensiero in termini assai brevi, particolarmente condensati di senso e significato, e, in modo il più possibile attrattivo, per contendere ad altri l’attenzione dell’utente.

Ecco il punto.

Le varie forme di comunicazione si contendono l’attenzione di chi guardi. E, di conseguenza, il suo tempo.

Oggi noi viviamo in flusso continuo di comunicazioni e informazioni. Decine di soggetti diversi si contendono la nostra attenzione ed il nostro tempo. Noi, siamo il Mercato.

Giornali, libri, la rete internet; piattaforme dalle quali attingere migliaia di contenuti diversi a propria totale discrezione ed in qualsiasi momento; cinema, teatro, stadi; social network sempre più raffinati ed attrattivi, studiati per farci restare indefinitamente tra le loro pagine; riviste, pubblicazioni settimanali; newsletter e podcast; radio. Sembra persino difficile stilare un elenco esaustivo, e sembra ancor più difficile immaginare forme di comunicazione ulteriori e diverse, più appaganti, o più capaci di veicolare messaggi profondi ed interessanti.

E’ come se un bambino fosse portato nella fabbrica dei giochi da cui Babbo Natale sceglie i suoi doni, e gli si dicesse che tutto è suo, e che di tutto può disporre, per tutto il tempo che desidera, in assoluta libertà, e senza pagare alcun prezzo, o quasi.

Questo riguarderebbe in egual misura tutte le bambine e tutti i bambini del mondo, con le limitazioni però loro imposte dai regimi che governano i luoghi in cui ciascuno, per puro caso, si è trovato a nascere.

Sarebbe interessante ragionare su quali sarebbero le reazioni di un bimbo, o di una bimba, ad una possibilità del genere. E di certo vi è chi studia, con grandissima cura e gran dispendio di risorse, le scelte che noi quotidianamente facciamo.

Su cosa noi, anche brevemente, fissiamo la nostra attenzione.

L’impressione generale che si ricava è che oggi, la nostra attenzione sia sempre più distratta dalla incredibile quantità di possibilità che abbiamo, perlomeno da questa parte del mondo. Sembra che poter accedere liberamente ad una immensa biblioteca, contenente persino più dell’intero scibile umano e della sua fantasia, si traduca, materialmente, in un continuo vagare tra scaffali, limitandosi ad osservare le copertine dei libri lì stipati, senza riuscire, quasi mai, a trovare il coraggio, la volontà, o semplicemente la voglia di aprirne uno, ma anzi, dimenticandosi con grande facilità di quel che si è, appena prima, osservato.

D’altra parte, è anche frequente l’esperienza di osservare un bimbo, o una bimba che, sommersi di regali, a Natale, da amici e parenti, si ritrovi con grandi quantità di “cose” in mano, cui dedichi attenzione solo per brevi istanti, prima di dimenticarle, e passare ad altro, senza riuscire a trovare qualcosa con cui giocare davvero.

Verrebbe da considerare che saremmo capaci dare un senso vero a qualcosa, ed una importanza, solo quando abbiamo a disposizione ridotte possibilità.

I cinema italiani erano pieni, quando non c’erano molte televisioni nelle case delle persone. Le persone leggevano i giornali, fin quando non hanno scoperto che possono informarsi in modo più gratificante direttamente frequentando un social network; o fin quando non hanno sperimentato che essi stessi possono essere notizia, quando sappiano fare una bella foto, o scrivere un efficace commento a qualcosa che è appena accaduto. Si vendevano milioni di dischi, quando non era possibile trovare qualsiasi cosa su Youtube, o Spotify. Erano preziosi i libri, quando non v‘era alcun altro modo di venire a conoscenza di storie, e si diventava Leopardi, solo perché s’aveva a disposizione una intera biblioteca casalinga di classici. Si riusciva a parlare, con chi s’aveva davanti, se questa persona non fosse impegnata sempre, per lavoro, o per diletto, a consultare continuamente il proprio smartphone, per controllare se abbia ricevuto messaggi, o mail, o telefonate; comunicazioni il più delle volte lontanissime dall’essere urgenti, essenziali, appassionate e serie, o meritevoli di immediata attenzione.

Sarebbe drammatico se dovessimo rispondere che, per recuperare profondità, senso, rilevanza, significato ed importanza alle nostre comunicazioni e relazioni con gli altri e persino alle scelte che facciamo quando vogliamo divertirci, l’unica strada possibile, sarebbe quella di tornare al passato.

Quando a Natale ci regalavano un’unica palla, o un’unica bambola, e con quella, trovavamo naturale inventare qualsiasi cosa che tenesse impegnata piacevolmente la nostra voglia di giocare e di avere relazioni con altri, per un tempo indefinito, e potenzialmente lungo almeno fino al prossimo Natale, o fino alla prossima occasione di festeggiamento.

Di certo, vale la pena interrogarci sulla nostra bulimia che ormai pare governare sempre più, in nome del consumo, qualsiasi ambito della nostra vita; vale la pena chiedersi se scegliere di avere delle limitazioni, non ci consenta di meglio e più godere delle possibilità del vivere, sotto ogni profilo.

Ma forse bisognerebbe provare ad esercitarsi su altro.

Forse bisognerebbe provare ad affinare le nostre capacità di scelta, e ad esercitarle.

Quando andiamo ad un ristorante, possiamo anche metterci del tempo, per scegliere quale piatto mangiare; ma, ad un certo punto, scegliamo. Potremmo non aver fatto la scelta migliore. Potremmo anche decidere di dire al cameriere di riprendersi il piatto, e portarcene un altro, ma decidiamo di scegliere e fino in fondo percorriamo quella strada.

Forse, per affrontare un testo complesso, come un libro, o un articolo di giornale, quello che serve è provare a capire se quel che abbiamo davanti, valga davvero la pena, e accettare di poterci sbagliare, nelle scelte che facciamo, perché talvolta, anche l’errore può aiutarci meglio a comprendere quello che per noi è più importante. Forse, si tratta di comprendere che, aver dinanzi a noi una offerta potenzialmente infinità di possibilità, più che stimolare la nostra curiosità ed apertura, stimola la nostra chiusura e le nostre difese; non ci fa distinguere, tra quello che abbia qualità, e quello che sia soltanto ciarpame. Ma non perché l’abbia stabilito qualcuno. Ma, semplicemente, perché davvero, siamo stati capaci di comprendere che c’è qualcosa, o qualcuno capace di parlarci, e costruire una relazione con noi, ed altro che invece fa solo rumore e si agita per attirare la nostra attenzione, senza aver nulla di vero da offrirci.

E qui molto dipende anche da chi decida di offrire, quel che si legge, o si guarda, o si ascolta.

In questi casi, considerare sé stessi, e quel che si propone, come unica fonte di verità, o di divertimento, senza in nulla ascoltare quelli che non scrivono, o persino non leggono, o non sono produttori di contenuti, significa isterilirsi, o diventare, semplicemente, un prodotto dell’enorme mercato in cui siamo immersi. Significa affogare nella propria arroganza incapace di costruire un legame con gli altri.

Ma non è l’eguaglianza del Mercato, quella di cui la nostra anima ha bisogno per soddisfare la propria curiosità, o per appagare il proprio amore o la propria voglia di divertimento; ha bisogno anzi di quello che sconfigge le regole del Mercato, perché diventa oggetto di scambio libero e condivisione con gli altri, colorandosi così di nuovo significato; perché ci chiede di scavare dentro noi stessi, e non di esporre; perché ci stimola a scegliere facendoci assumere la responsabilità dell’errore che non può essere cancellato con un nuovo acquisto, ma rappresenta una esperienza incedibile di cui dobbiamo imparare a farci carico.

Quando si vivano grandi dolori, o grandi incertezze; o quando si cerchi di esplorare esperienze davvero importanti, gioiose o gratificanti, o quando si abbia la curiosità di incontrare saperi davvero significativi, non è il Mercato delle offerte, che attira il nostro sguardo, ma individuare davvero le nostre motivazioni. Riconoscere quelle importanti, e quelle che invece sono solo accidentali, temporanee e superficiali e che servono solo a gratificare la nostra momentanea necessità di sentirci rassicurati o liberati dagli affanni.

Un bambino può giocare con mille giochi diversi per una brevissima frazione di tempo. Ma un adulto, ricorderà solo i giocattoli che per lui, o per lei, sono stati capaci di costruire un senso alla attenzione che, sin dall’inizio, li ha attratti verso di loro, e che gli hanno permesso, conoscendo altri e costruendo relazioni con loro, di conoscere meglio sé stessi.

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