Chi sa se in giro, c’è ancora qualcuno che creda che un cattivo possa diventare umano.
Sarebbe interessante, farsi venire in mente il nome di qualche cattivo della Storia, e provare a immaginare che, ad un certo punto, cambi atteggiamento, nei confronti della vita, o degli altri. Ma, forse, si tratta di un esercizio difficile, visto che non riceve unanime consenso la qualificazione di “ cattivo “, nei confronti di tanti personaggi storici.
In giro, c’è persino gente che compra le croste dipinte da Adolfo Adenoid Hynkel-Hitler; e, ha fatto persino il deputato di Forza Italia al Parlamento italiano, un tizio che si è scritto da solo i diari di Mussolini, e poi ha cercato di rivenderseli. Vlad l’Impalatore ha i suoi estimatori romantici e, nelle strade, a suo tempo, qualcuno manifestava persino in favore di Pol Pot.
Allora, forse, il gioco può riuscire meglio se proviamo ad immaginare cosa accadrebbe se, alcuni personaggi di fantasia, universalmente accettati come “cattivi”, ad un certo punto della storia, decidessero di passare dall’altra parte della barricata: nel vituperato mondo dei fresconi; dei buoni.
Ad esempio, la matrigna di Cenerentola.
La matrigna di Cenerentola che decida di distribuire anche alle sorellastre il peso della conduzione delle faccende domestiche; che mandi la poverina al ballo vestita anche lei, con charme ed eleganza. Ma, verrebbe da chiedersi, senza il luccichio magico regalatole dalla Fata, riuscirà Cenerentola, ad incantare Richard Gere ?
Qui si mette a rischio la futura vita felice e contenta di tutti, e centomila repliche in TV di “Pretty woman”.
Oppure Genny Savastano.
Immaginiamo per un momento, che Genny Savastano si penta, e decida di collaborare con la Giustizia. Immediatamente verrebbe accusato di non essere un vero pentito; ma di cercare vendetta perché la sua guerra di camorra, lui l’ha perduta. Certi giornali lombardi, si chiederebbero quanto lo Stato spenda in falsi pentiti, e partirebbe immediatamente una indagine per verificare quante società di comodo sarebbero intestate al sedicente pentito; meno di certo, di quante non ne siano intestate alle famiglie e alle consorterie proprietarie di quegli stessi giornali.
Qui si perderebbe tutto un gergo, oltre che una intera industria della moda e delle acconciature napoletane, che, senza un cattivo vero da prendere a riferimento, farebbero davvero fatica ad essere ispiratrici di nuovi trend ( o trends ? ).
Prendiamo, ad esempio, Lord Voldemort.
Potrebbe mai ascoltare i richiami preventivi di Albus Silente ? Potrebbe non liberare il basilisco dalla Camera dei Segreti ? Potrebbe decidere di non creare Horcrux che ne eternino la vita nonostante le sue sconfitte ? D’accordo, è dura immaginare Lord Voldemort che beve placidamente una pinta di burrobirra al pub “ I tre manici di scopa “; ma non è impossibile. Potrebbe non uccidere, i genitori di Harry Potter, e limitarsi a fondare un partito: “ la Lega dei veri Maghi; prima i Fratelli dei Maghi e poi il resto del mondo “, ad esempio, e passare la vita a parlare in televisione e a indossare felpe e cappelli, selfiezzandosi in ogni città della Magica Italia.
Di certo, qui, si metterebbe in questione una intera saga letterario-cinematografica, con pesanti risvolti economico esistenziali. Io, in ogni caso, continuerei a far parte della casa di Grifondoro.
Drammaturgicamente, insomma, è davvero difficile, forse persino di più che nella vita reale, prendere un cattivo a tutto tondo, una vera carogna, cinica, egoista, sospettosa, indifferente, profittatrice, avida, avara e anche un po’ vile, e farla diventare una persona decente.
Bisogna che muoia, Darth Fener, perché torni ad essere un buono.
E, magari, Charles Dickens, quando ha scritto nel 1843 il suo “ A christmas carol “ aveva già in mente, che solo la morte, o magari la prospettiva di una morte certa, vista, con i propri occhi prima che accada, fosse capace di mutare l’animo umano.
Il che, è una prospettiva veramente triste.
Se non altro, perché sarebbero davvero pochi i cattivi nel mondo cui sia dato in sorte d’essere portati a spasso nel multiverso cinematografico – che intreccia il “prima”, ed il “dopo” rivelando le alternative possibili del vivere, legate alle nostre scelte in certi momenti cruciali -, e vedere con i propri occhi la squallida fine cui sono destinati, facendo nascere in loro il desiderio di dare un esito diverso alla propria storia, colta finalmente in tutta la sua solitudine inutile, camuffata da potere e ricchezza e servile e falso omaggio di tanti.
Se ci si pensi, è quasi come immaginare che un genio no vax, si sia fatto venire qualche dubbio, prima d’ammalarsi.
Oltre la fantascienza, purtroppo.
Quindi, può accadere che si vada al cinema, pensando magari di trovarsi di fronte ad una riedizione aggiornata e corretta del “ Marchese del Grillo “ ( se non altro per l’ambientazione nell’Ottocento romano ), ed invece ci si trova in un tempo strano, che pare colmare un vuoto del racconto cinematografico italiano.
“Il principe di Roma”, è preceduto dall’Alberto Sordi di Monicelli, e arriva un attimo dopo il meraviglioso “ Nell’anno del Signore “ di Luigi Magni ( che schierava, tra gli altri, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Claudia Cardinale, Robert Hossein e, ancora, Alberto Sordi ).
Il film inizia citando proprio la morte, per ghigliottina, ordinata dalla giustizia papale, di due Carbonari Angelo Targhini e Leonida Montanari, il 23 novembre 1825 ( per loro non ci sono state commemorazioni pubbliche, a disdoro di noi che ricordiamo la morte di qualsiasi mezzo personaggio del mondo dello spettacolo ).
I due uomini, forse, s’aggirano inquieti per le strade di Roma, come fantasmi non placati, dopo quell’amarissimo, e sferzante finale, in cui Leonida Montanari, si rivolge prima al boia, Mastro Titta ( ad una delle sue esecuzioni aveva assistito Charles Dickens di passaggio a Roma … ), facendogli notare che lui era la persona più moderna di Roma, poiché a lui era affidata la ghigliottina, scelta qualche anno prima da un medico francese, e rivoluzionario, per rendere meno atroci le esecuzioni capitali – che una volta avvenivano squartando il condannato, o colpendolo con una mazza – e poi lasciando correre uno sguardo colmo di disperato disprezzo sulla folla accorsa allo spettacolo della propria morte, le augura buona notte; una notte eterna; forse quasi a cercare di sferzarla, per un’ultima volta, con la forza della propria ragione, contro la grettezza delle loro superstiziose credenze che ne facevano un popolo sottomesso, e non i consapevoli cittadini di cui l’Italia avrebbe avuto, ed avrebbe sempre bisogno.
Ed evoca, poi, un film che forse un giorno qualcuno farà, per celebrare quella Repubblica Romana, ed i suoi eroi, troppo presto spenti dalle armi dell’esercito francese accorso a difesa del Papa Re.
In mezzo, Giallini – Scrooge rende credibile una storia difficile, da digerire.
Quella di un cattivo, che torna ad essere umano.
Ed è esattamente questa la sfida più complicata da vincere. Quella di saper raccontare sentimenti ed emozioni basilari; primitivi verrebbe da dire. Il conflitto eterno nell’animo umano, tra egoismo e capacità di sentirsi parte di una comunità; la distanza che esiste tra l’amore, disinteressato, e la ferocia della fame di denaro. E’ un percorso quasi impossibile quello che intraprende il regista Edoardo Falcone, non tanto per il millenario tentativo umano di far vivere nell’arte queste dicotomie, quanto per la loro desuetudine dentro una sala cinematografica, ad esser poste nei termini così radicali e terrestri in cui vediamo svolgersi la storia.
Forse è il Natale, a spingerci ad interrogarci sulle questioni più fondamentali del nostro vivere, se si abbia l’impudica incoscienza di crederci sul serio, e di non farsi sopraffare dalla scorza dei decenni già vissuti; dalle armature che bisogna indossare per difendersi, anche da sé stessi; dalle ferite inflitte e da quelle sofferte.
A Natale, si torna bambini, esattamente come dentro ad una sala cinematografica, buia, e pronta a riempirsi delle luci colorate di un racconto che può colpirci proprio dove pensavamo d’essere più corazzati.