Nella società italiana paiono evidenziarsi cinque grandi fratture.
La prima frattura è quella che separa coloro i quali sono tassati alla fonte: Lavoratori dipendenti e Pensionati, da quelli che invece devono autodenunciare i propri redditi: Lavoratori Autonomi, Professionisti, Artigiani, Commercianti etc.
La seconda frattura è quella che separa gli abitanti del Sud Italia, dagli abitanti del Centro e del Nord, in termini di radicale differenza, nell’efficienza della Pubblica Amministrazione, nelle possibilità di accesso a servizi materiali e immateriali, servizi alle imprese, sanità, scuola/università e opportunità di lavoro, oltre che spesso, purtroppo, nella convivenza forzata con forme di criminalità organizzata, che, se pur territorialmente caratterizzate, hanno comunque ormai esteso il loro impatto a tutto il territorio nazionale.
La terza frattura è quella che si scorge sul terreno culturale in senso largo; nella capacità, o meno, cioè di misurarsi e convivere con la complessità; nella capacità, o meno, di interagire con gli strumenti tecnologici della modernità, in particolare nel campo della comunicazione; nella capacità, o meno, di interpretare criticamente i testi e i messaggi da cui siamo continuamente sollecitati oggi; nella capacità, o meno, di accesso al patrimonio culturale e ambientale del nostro Paese e nella propensione ad assumere un atteggiamento attivo, o passivo, rispetto alla propria condizione materiale e spirituale.
La quarta frattura attiene alla percezione che di sé stessi hanno gli abitanti del nostro Paese, se si riconoscano cioè parte di una comunità che fonda il suo sentire comune sulla Costituzione della Repubblica Italiana, pur se sempre perfettibile e costantemente alla ricerca di nuovi equilibri, oppure se si sentano estranei o indifferenti a questa idea di comunità nazionale, soprattutto a partire dalla percezione prioritaria di minacce esterne – rispetto ad una stereotipa identità italiana – provenienti dai movimenti migratori; dalle elites economico/finanziarie e segnatamente da quelle di di origine ebraica, o derivanti da una evoluzione nel campo dei diritti individuali percepita come scardinatrice di una “normalità” della famiglia, dei generi sessuali, del diritto alla vita e alla propria autodeterminazione, dei ruoli, tra uomo e donna.
La quinta e ultima frattura è quella che esiste tra chi abbia una ragionevole certezza dei propri mezzi di sostentamento materiali, e/o comunque sia sufficientemente al riparo dalle oscillazioni dei Mercati, anche per effetto di protezioni familiari derivanti da meccanismi ereditari nelle professioni, ad esempio, e persino in politica, e chi, invece abbia una esperienza di vita costantemente segnata dalla propria precarietà, subita in ogni campo: dalla casa, al lavoro, alla salute, al degrado ambientale e urbano etc.
Queste grandi fratture intersecano la società italiana, parcellizzandola trasversalmente; frantumandone la propria autopercezione e rendendo sempre più difficile ogni comunicazione possibile tra “ molecole sociali “ diversamente caratterizzate, in un contesto generale dominato da narrazioni strumentali della realtà, e dalla inedita difficoltà ad immaginare, per le nuove generazioni, un futuro migliore di quello già vissuto dalle generazioni precedenti: sul piano climatico/ambientale e sul piano delle prospettive di autorealizzazione.
Queste grandi fratture intrecciano tra loro, in modo assolutamente inesplorato, elementi oggettivi, con elementi di percezione e autopercezione della realtà, del tutto soggettivi.
La soggettività individuale oggi, più che l’appartenenza a grandi aggregati collettivi connotati da caratteristiche comuni misurabili, pare essere l’unico criterio dirimente nella definizione della condizione materiale e spirituale; sia nella forma di una rappresentazione di essa più o meno corretta, che nella forma di una assolutamente a-realistica percezione di sè.
Si è ampiamente consumata infatti una frattura tra soggetto e realtà, e non c’è più mediazione, se non in termini assolutamente relativi e minoritari, di soggetti collettivi ( partiti, sindacati, aggregati religiosi etc. ), tra la persona, e la realtà che è permeata dalle regole di un Mercato, che non vuole regole.
Le forme diffuse e social della comunicazione, si sono pressochè interamente sovrapposte alla comunicazione, più o meno autorevole, dei tradizionali media ( TV, giornali etc. ) e hanno quasi totalmente abbattuto il principio di non-contraddizione e cancellato, in buona parte, la possibilità di elaborare una situazione come frutto di una storia oggettivamente percepibile, e condivisa, trasformando tutto, invece, in un eterno presente, comunque interpretabile ed in cui non si debba render conto di nulla, se non della propria capacità di catalizzare attenzione e consenso immediato, mai posto a successiva verifica.
Il recente passato ci ha messo di fronte ad una Pandemia, non certo conclusa, e ai primi venti di una guerra potenzialmente globale, in termini di distruzioni e vite umane perdute, mentre ha già conseguenze mondiali, sul piano della scarsità energetica, il cui impatto inflazionistico sulle economie del pianeta, ed in particolare su quella europea, promette di modificare radicalmente le aspettative di possibile crescita.
Le necessità di intervento, in particolare sulla situazione pandemica, hanno posto il Paese intero di fronte ad una drammatica confusione e ad una colpevole sottovalutazione della condizione che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo. Oltre 170.000 morti in due anni di pandemia sono un prezzo terribile che abbiamo dovuto pagare, per guardare in televisione epidemiologi, ognuno con la propria opinione sulla realtà, e ognuno con la propria ricetta per risolvere i problemi, e che hanno contribuito, anche per questa via, a screditare la fiducia nella razionalità e nella scienza.
I morti, per converso, sono stati continuamente oltraggiati da loschi figuri che, in televisione, o nella comunicazione social hanno proposto, e continuato a proporre, distorte teorie sulla malattia e sui vaccini: voci che hanno trovato sponda colpevole nelle forze politiche che si accingono a governare il Paese, producendo anche manifestazioni di intolleranza e di fascismo, come quella sfociata nell’assalto alla sede della CGIL nazionale di un anno fa.
Ma, soprattutto, l’Italia ha scoperto i danni di tre decenni di privatizzazione e di attacco furibondo alla Sanità Pubblica, in particolare in Lombardia, da tre decenni gestita dalle forze politiche che si accingono a governare il Paese, e ha scoperto che spendere meno dell’un per cento annuo del proprio Prodotto Interno Lordo in Ricerca, significa dipendere da imprese private straniere per la salvezza delle vite dei propri cittadini. Lezioni queste ultime, neanche imparate, peraltro. E ha scoperto infine, di essere dotata di una infrastruttura tecnologica largamente lacunosa ed inegualmente distribuita, che ha prodotto danni e disparità nella didattica a distanza e nella possibilità di accesso delle persone, e delle imprese, ai servizi.
La prova di governo è stata certamente difficile, per l’inedita situazione cui nessuno poteva dirsi preparato; ma è stata affrontata tramite bizantine regolamentazioni; assenza di capacità nel costruire una coscienza di comunità in grado di affrontare prove supreme e attraverso una legislazione di sostegno colma di ingiustizie e di clamorosi sprechi di denaro pubblico, senza scegliere alcuna priorità di intervento, a partire dalla scuola e dall’università, ad esempio.
Le forze politiche presenti in Parlamento, poste di fronte ad una nuova guerra in Europa, potenzialmente capace di coinvolgerci direttamente, ancora una volta hanno offerto una disunita prova di sé.
In questi giorni, in Ucraina, si scoprono le fosse comuni di civili uccisi e torturati, che, un domani, potranno, e dovranno essere ricordati e celebrati come noi ricordiamo e celebriamo, sempre in modo disunito, purtroppo, le vittime della ferocia nazifascista, e, invece di aprirsi nel Paese una discussione generale sui nuovi equilibri mondiali; su come si possa essere solidali con un Paese sovrano attaccato per pura volontà di potenza; su come si possa far vivere lo spirito della Costituzione italiana, che “ripudia la guerra”, con una politica di Pace non indifferente alle ragioni di un popolo indiscriminatamente colpito; su come possa essere data una dimensione anche morale alla politica estera, nelle relazioni internazionali con Stati governati da dittature, la discussione si è, all’opposto, concentrata e si concentra, su come ovviare ai disagi materiali ( meno energia, bollette più alte, inflazione ) che colpiscono i cittadini italiani e le imprese. Temi assolutamente importanti, ma usati solo in chiave elettoralistica, senza alcuno sforzo di dare a queste questioni decisive, un tono e un carattere strutturale, ma anzi, lasciando spazio ai tentativi dell’industria dell’energia fossile di continuare a distruggere il pianeta, non solo impunemente, ma continuando ad inanellare profitti speculativi, neppure tassati in modo serio per il bene di tutti, e senza scegliere priorità su come agire, nel futuro immediato, per il risparmio dei consumi e per alleviare le difficoltà di sistema a far fronte a costi energetici sempre più insopportabili.
Per provare ad interpretare l’esito delle Elezioni Politiche del 25 settembre scorso, è necessario portare in luce alcuni ulteriori elementi di fondo :
• da almeno quarantaquattro anni, in Italia, la discussione pubblica, nonostante fuorvianti elementi di catalizzazione, si svolge concretamente, anche se magari nascostamente, intorno alla precisa volontà di restringere gli spazi della Democrazia, ed in essa della Partecipazione, e di cancellare la possibilità dell’Eguaglianza tra le persone, sia in termini di accesso alle opportunità, che in termini di azione concreta finalizzata ad innalzare le condizioni economico-sociali-culturali delle fasce più deboli del Paese, sia in termini di riequilibrio dei poteri nei luoghi di lavoro;
• in questo periodo di tempo, l’unico sistema a non essere mai entrato in discussione, è stato quello del Mercato, di fronte al quale, ogni forza politica si è inchinata, decretandone , la sua “naturalità” verrebbe da dire : l’impossibilità stessa cioè, di pensare ad un altro sistema regolatore dei rapporti economici che, progressivamente, si sono trasformati in rapporti di puro, feudale, dominio;
• nell’arco di tempo degli ultimi quaranta anni, le concrete possibilità economiche degli italiani, si sono polarizzate sempre più: i ricchi sono divenuti più ricchi, e chi era in difficoltà, ha peggiorato la propria condizione e visto aumentare le proprie fila da persone provenienti da una “classe media” che, sempre più si è ristretta in termini numerici, ed impoverita;
• tutto è stato ridefinito di fronte al Mercato; persino le forme della rappresentanza istituzionale, che, negli Enti Locali hanno a disposizione il tempo limitato di un doppio mandato che impedisce, nei fatti, qualunque forma di investimento e di intervento di lungo respiro, costringendo maggioranze e opposizioni a scelte che devono avere un ritorno immediato, in termini di consenso e di potere, esattamente come accade per il capitalismo finanziario, i cui profitti devono essere misurabili in ogni trimestrale di Bilancio;
• un percorso analogo si è compiuto sul piano nazionale, dove si è agito per successivi aggiustamenti sul sistema elettorale, con l’unico obiettivo di privilegiare il momento decisionale per un Esecutivo cui si voleva fornire una artificiale stabilità, tranquillizzante per gli investitori internazionali, a scapito della possibilità di rappresentare tutte le voci del Paese, e nascondendo, per questa via, la pericolosa e inconfessata pulsione a cancellare quella norma costituzionale di Libertà, che garantendo al parlamentare l’esercizio delle sue funzioni senza vincolo di mandato, consente di svolgere ancora ancora una funzione reale al Parlamento, pur ormai umiliato dal continuo ricorso ai “Voti di Fiducia”, ed in attesa di sostituirlo definitivamente con un consiglio d’amministrazione addomesticato dal potere dell’amministratore delegato di ciascun gruppo politico che, già oggi, sceglie insindacabilmente chi debba sedersi con lui, o lei, a Roma.
Tutte le forze politiche protagoniste di questi processi, e di questi esiti, anche quando non li abbiano adeguatamente contrastati, sono state sfiduciate dall’elettorato, che ha invece premiato chi, magari anche in modo strumentale, ha dato una visione di sé stesso come estraneo a questo stato delle cose ( Fratelli d’Italia in primo luogo ), o recuperato chi si è sottratto al Governo presieduto da Draghi, in nome di una alterità nelle scelte concrete, a partire dalla misura-simbolo del Reddito di Cittadinanza, come ha fatto il Movimento Cinque Stelle di Giuseppe Conte che, solo in questo modo, ha arrestato un declino che pareva irreversibile di questa forza, gettando così una luce diversa sulla sua scelta di aprire la crisi che ha condotto alle Elezioni, motivata in primo luogo, evidentemente, da ragioni tattiche di sopravvivenza del proprio gruppo politico.
Le forze politiche di Centrosinistra non hanno alcun diritto di lamentarsi, delle proporzioni dell’esito del voto del 25 settembre scorso, essendo state esse stesse, per prime, a disegnare quel sistema elettorale, e ad aggravarne le implicazioni – che vedremo pienamente dispiegate nei prossimi mesi – con la scelta populistica di ridurre il numero dei Parlamentari ( se si fossero voluti effettuare risparmi economici, sarebbe bastato ridurre stipendi, pensioni e privilegi di vario genere, no ? ).
La crisi di rappresentanza politica del Paese – precipitata dal momento della caduta del Muro di Berlino – invece di affrontare i veri nodi della sua sclerosi, della sua crescente distanza dalla società e del mancato ricambio della sua classe dirigente, si è colpevolmente riversata sugli assetti istituzionali dell’Italia, cercando scorciatoie per non mettersi mai realmente sotto esame dell’elettorato, e arrivando, da più vie, a mettere in discussione persino la tripartizione dei poteri, per esempio attraverso il continuo tentativo del berlusconismo, ma non solo, di minare l’autonomia del potere giudiziario e la stessa Carta Costituzionale con insistiti tentativi – alcuni dei quali fortunatamente sventati in sede di Referendum confermativo – di riforme parziali e pasticciate. O arrivando a mettere in discussione l’unità del Paese attraverso la riforma del Titolo V della Costituzione collegata con dannose riforme degli Enti Locali, a partire dalle cosiddette riforme Bassanini, per arrivare all’inserimento del pareggio di Bilancio nel dettato costituzionale.
Lo sbocco forse finale di una ricerca, tutta italiana – ma che trova corrispondenze e riverberi in Europa e nel Mondo – di una scorciatoia alle domande della complessità e della interdipendenza globale, attraverso una figura simbolo capace di riassumere in sé virtù salvifiche, e già incarnata via via, da Silvio Berlusconi, prima, da Matteo Renzi poi, per passare quindi a Beppe Grillo e a Matteo Salvini, si chiama ora Giorgia Meloni, con una rappresentanza centrata tutta sulla Destra dello schieramento politico e all’interno di strutture dello Stato fortemente indebolite da un logoramento ultratrentennale.
Lasciando presagire una ulteriore torsione in senso autoritario di una situazione complessivamente non più comunque, capace di cogliere i mutamenti avvenuti nella società. .
La percentuale, enorme ed inedita per l’Italia di astenuti dal voto, disegna un ulteriore e preoccupante quadro di disaffezione ed indifferenza rispetto alle sorti della Democrazia, che è il miglior viatico per una sua ulteriore declinazione in senso antipartecipativo ed elitario.
Il Paese, frammentato e diviso dalle linee di frattura su richiamate, ha trovato una sua espressione di maggioranza relativa, eccessivamente premiata da un sistema di voto del tutto indifferente ai richiami della Corte Costituzionale ad ogni successivo referendum sulla Legge Elettorale ( ben 8 referendum su materie elettorali, si sono tenuti dal 1991 ad oggi ) e disegnato in modo tale da consentire al cittadino solo una parzialissima libertà di scelta tra gruppi politici che non hanno in alcun modo permesso di scegliere le persone, formando così un Parlamento di soli nominati, e controllati.
E’ forte, in questa elezione, il prevalere di un senso di rifiuto per una classe dirigente, in particolare del Centrosinistra che, negli ultimi anni, pur cogliendo spesso risultati deludenti nelle urne, è stata quasi sempre invece al governo del Paese, in nome di una “responsabilità istituzionale” che troppe volte, in realtà, ha coperto solo una narrazione autolegittimante, usata per giustificare la necessità di aderire a vincoli esterni ( Europa, Mercati, Equilibri di Bilancio… ), mai sufficientemente posti a confronto con le esigenze reali dell’Italia cui sarebbe, da tempo, necessario invece fornire risposte coraggiose e sin qui inesplorate.
Non basta enunciare questioni che dovrebbero essere importanti, per i cittadini.
Ambiente, Lavoro, Stato Sociale, Pace, Diritti… etc.
Si dovrebbe essere credibili, su quei temi, e portatori di proposte discusse e magari già sperimentate nelle esperienze dei governi locali, spesso assai importanti ed innovative. E non presentarsi in campagna elettorale pensando di proporre qualcosa, come se nulla fosse accaduto prima.
Come si può parlare di Ambiente, quando buona parte delle esperienze di governo locale del Centrosinistra, sono quelle che più di altre, cementificano il territorio ? ( dati Legambiente ).
Come si può parlare di Lavoro, affermando in piena campagna elettorale, che il cosiddetto “Jobs Act“ – peraltro figlio del PD di Renzi, ed ennesima “riforma” peggiorativa del Mercato del Lavoro, dal 1984 ad oggi – andava cancellato e riscritto, tralasciando quanto sia incomprensibile che non lo si sia fatto mentre s’era al Governo ?
Come si può parlare di Stato Sociale , quando, dal 2014, con Matteo Renzi, allora Segretario del PD, oltre che Presidente del Consiglio dei Ministri, si è avviata una politica vergognosa per molti aspetti e proseguita fino alla vigilia del voto, fatta di “Bonus”, cioè di mance, o elemosine, una-tantum, spesso e volentieri in favore di categorie che non ne avrebbero, o avrebbero avuto bisogno, e senza mai aggredire i problemi strutturali cui invece sarebbe stato e sarebbe necessario rispondere: quali ad esempio la difesa del reddito dall’inflazione, il sostegno alle situazioni più disagiate, l’allargamento dei servizi alla persona, alla famiglia e alle imprese, una vera politica industriale e delle infrastrutture etc.
Come si può parlare di Pace, in un tempo difficilissimo, quando si pongono, giustamente, sanzioni alla Russia, ma si fanno tranquillamente affari con regimi dittatoriali da cui però importiamo petrolio, o gas, e altrettanto sanguinari di quello russo ?
Come si fa a parlare di Diritti, quando non si riesce a spiegare che i Diritti delle persone, non sono contro altre persone, e non appartengono ad una nazionalità, o ad una etnia ? E come si fa ad agire concretamente perché i Diritti dei cittadini Italiani e dei cittadini Stranieri non siano messi in discussione dai furbi o dai criminali di ogni nazionalità ?
O, come si fa a parlare di Diritti delle Donne ad esempio, e accettare che in Italia sia consentito indossare il velo, che è un segno di inferiorità femminile, prima che libera accettazione di un precetto religioso ?
Questi sono solo alcuni esempi, parziali, della distanza esistente tra parole e fatti.
Qualcuno potrebbe dire che la distanza esistente tra le parole, e i fatti posti in essere dalla Destra è persino maggiore.
Difficile misurare ora questa distanza.
A Destra, la Destra di Fratelli d’Italia, si è fatta opposizione negli ultimi cinque anni. E fare opposizione, se lo si faccia con convinzione e capacità, consente margini di manovra molto ampi,
cui non necessariamente si richiede un chiaro vincolo con la realtà.
La Destra di Fratelli d’Italia, si è innanzi tutto giovata di un messaggio identitario che non doveva fare alcun conto con provvedimenti legislativi votati.
Ma è stata anche in grado di intervenire sull’evoluzione dello scenario sociale italiano, coniugando il proprio revanscismo mai nascosto, con un richiamo d’ordine, che fa della paura proveniente dalla solitudine urbana, il suo collante più efficace, e con un paternalismo sociale che ha introiettato la scomparsa, almeno in termini di percezione individuale, di un differente concreto interesse, tra imprese diffuse e Lavoratrici e Lavoratori di quelle imprese, che anzi sanno – o credono di sapere – che il loro destino non dipende da una coscienza di classe scomparsa, o da una impossibile emancipazione, bensì dalla possibilità di sopravvivere congiuntamente alle proprietà d’impresa, alla concorrenza di altri soggetti sul Mercato, spesso di nazionalità estera.
Dall’altra parte, invece di far politica, e proporre valori, oltre che concrete indicazioni di percorso, s’è esaltata l’amministrazione, talvolta nemmeno tanto buona; come se, gestire l’esistente, senza produrre cambiamenti reali in positivo, fosse di per sé un merito.
Solo un sistema elettorale profondamente sbagliato e ingiusto, ha potuto consegnare alla Destra, la concreta possibilità, per un verso, di piegare in senso autoritario il nostro sistema istituzionale, sociale e politico, e, per altro verso, la possibilità di costruire nel Paese, un nuovo blocco di interessi capace di far vivere, anche nelle concrete manifestazioni sociali, culturali ed economiche una idea di Democrazia ridotta a puro simulacro elettorale, che scelga magari un Presidente, o un Esecutivo direttamente, senza contrappesi reali, quali una libera stampa, un autonomo potere giudiziario, Un Parlamento davvero rappresentativo, corpi intermedi della Società capaci di rappresentare esigenze reali, etc. .
E sarebbe stato un risultato elettorale bugiardo, anche se le parti fossero invertite, e avesse vinto il Centrosinistra.
La Destra non è maggioranza, in Italia. Ma lo è elettoralmente e grazie ad un sistema elettorale voluto e votato dal Partito Democratico.
Forse è il caso che un intero gruppo dirigente di Partito – non solo chi ha concretamente deciso e guidato, ma anche chi abbia consentito e approvato, che si decidesse e si guidasse – cessi di pensare al futuro del Paese, solo in funzione delle prospettive delle proprie personali sorti individuali.
Così come forse sarebbe il caso, che interi gruppi dirigenti sindacali, s’interroghino sulla propria funzione e sulla propria reale rappresentatività, quando il conflitto sociale nel Paese è scomparso; quando ormai la propria capacità di incidere sui salari e sulle condizioni delle Lavoratrici e dei Lavoratori, è ridotta troppo spesso alla pura discussione sugli ammortizzatori sociali, quando le imprese chiudono o delocalizzano.
E’ interessante notare, come sia contraddetto il dogma secondo il quale si vince, solo se si vince al “centro”. Gli unici che si siano autodefiniti di “ centro”, hanno raccolto meno dell’8% dei consensi tra coloro i quali hanno votato. Ha vinto una formazione politica dichiaratamente di Destra.
Forse, non è un problema di posizionamenti, ma di merito, nelle scelte che si fanno; della comunicazione che si è capaci di fare, rispetto a quelle scelte, e, soprattutto, di raccolta dei risultati delle proprie azioni negli ultimi anni.
Se quel che si fa negli ultimi anni, è solo difendere, senza rapporti reali con le persone e prevalentemente solo con comunicati stampa o apparizioni televisive, scelte di mediazione al ribasso prodotte nella azione di governo, quando al governo non si sarebbe dovuti essere, ma ci si è stati anche insieme a forze politiche del tutto antitetiche, verrebbe da dire, che si è raccolto, quel che si è seminato.
Manca, nel campo della Sinistra, e del Centrosinistra, una idea chiara di chi si rappresenti, e anche di chi e cosa si vorrebbe rappresentare. Manca una idea, non tanto di di ricomposizione, per quanto possibile, delle fratture che dividono il Paese, quanto proprio di un loro superamento, in nome di un nuovo patto di cittadinanza per l’Italia, in una Europa finalmente spazio politico, e non solo di mercato. E manca, soprattutto, una idea di politica culturale ed economica capace di costruire una nuova possibilità di Eguaglianza per i cittadini italiani, e per i residenti nel nostro Paese.
Alla Sinistra, e al Centrosinistra, per esistere, non è permesso definirsi solo in contrapposizione ad altri. Esistono spazi molto ampi e profondi di ascolto e di iniziativa politica, e di recupero di tutti quelli che non si recano più alle urne.
Le persone si aspettano una politica capace di affrontare le contraddizioni quotidiane attraverso la partecipazione delle intelligenze e delle sensibilità per costruire risposte concrete ai problemi, e liberare l’Italia dal peso delle corporazioni, degli interessi speculativi e parassitari e restituire dignità a chi si comporta seriamente e correttamente, nel lavoro, nei commerci, a scuola, nelle città.
Le persone si aspettano responsabilità nell’affrontare i problemi, e nello scegliere quali problemi affrontare, a partire dalla drammatica situazione del clima e dell’ambiente.
Le persone sono stanche della propaganda e della distanza che separa le parole dai fatti.
Le persone si aspettano che, impegnarsi in una proposta politica, in un movimento, produca cambiamenti reali, o, almeno, che vi sia la possibilità, del cambiamento.
“ La speranza di cui parlate è una trappola, è una brutta parola, non si deve usare. La speranza è una trappola inventata dai padroni. La speranza è quella di quelli che ti dicono che “ Dio…”, “ state buoni, state zitti, pregate, chè avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa, nell’aldilà, intanto, perciò, adesso, state buoni, sarà nell’aldilà. Così dice quello: “ state buoni, tornate a casa, sì, siete dei precari ma intanto fra due o tre mesi vi riassumiamo ancora, vi daremo il posto, eccetera , sì, sì, state buoni “. Vanno a casa e stanno tutti buoni. “ Abbiate speranza !”
Mai avere la speranza: la speranza è una trappola. E’ una cosa infame inventata da chi comanda. “
cit. da: Mario Monicelli