Nel bagno dei maschi, a scuola, c’era sempre un ragazzo che stava lì, invece d’essere in classe, e, a tutti quelli che entravano, chiedeva se avessero una sigaretta da dargli. Il bagno puzzava di fumo e di piscio, soprattutto d’inverno, quando le finestre erano chiuse. Certe volte, meglio il puzzo del fumo, che quello del piscio stagnante sul pavimento.
Quel ragazzo aveva l’aria di uno che ti avrebbe menato, se gli avessi rifiutato una sigaretta. E se non avevi sigarette da dargli, perché non fumavi, t’avrebbe preso per il culo.
Saresti uscito dal bagno, più bambino di come c’eri entrato.
Infatti, negli anni ‘70 dello scorso secolo, quel ragazzo, in cambio di un pacchetto di sigarette, t’avrebbe ceduto, prometteva, uno strano oggetto oblungo, con la base di plastica e ricoperto da cristallo convesso, capace, secondo lui, di trasmettere persino lì, nel cesso della scuola, i tuoi cartoni animati preferiti, quando lo volevi tu.
Nell’angolo più lontano del pub; quello meno illuminato, c’era il tavolo più piccolo di tutto il locale e due sole sedie, talmente vicine tra loro, che, a starci seduti sopra, era inevitabile sfiorarsi con le ginocchia. Se ci avessi portato una ragazza, lì, sarebbe stata anche una bella scusa, per far finta d’aver già ridotto le distanze e provare ad avvicinarsi di più, ma, quando ci andavi col tuo amico, era solo un modo per scolorire ancora di più le ginocchia dei jeans, senza aver paura di passare per finocchio agli occhi di chiunque vi guardasse, ammesso questo fosse un problema.
Uno con quella faccia lì, se solo qualcuno avesse avuto qualche dubbio sulle sue preferenze sessuali, glielo avrebbe levato subito dalla faccia, magari insieme ad un paio di denti.
A lui, la birra, scendeva giù come una pioggia che nascondesse ogni lacrima possibile, e andava, quasi subito, a posarsi per terra, da qualche parte: all’angolo di una vetrina di negozio d’abbigliamento di lusso, o nel buio di una strada piena di banche che lo meritassero. Quel ragazzo, diventato uomo, era la tua ombra libera. Quella che non tenevi ferma per paura dei rimproveri o delle conseguenze; quella che aveva la faccia tosta di rispondere sempre all’ingiustizia verso i più deboli e i più imbranati.
Il rispetto, era per le cose vere, e per le persone buone.
Al resto del mondo, un dito medio negli occhi.
Quel ragazzo diventato uomo, poteva permettersi di rifiutare le offerte ragionevoli e le strade già camminate; poteva andare alle feste e ballare solo la musica buona; poteva lasciar perdere tutte le ragazze del mondo, solo perché sapeva che stava per arrivare una donna speciale.
Quel ragazzo pensava diverso e guardava le cose da posti che tu nemmeno sapevi esistessero, e se t’affacciavi sulle sue nuvole, avresti avuto le vertigini.
Ma, quel ragazzo, diventato uomo, al contrario di te, sbagliava.
Aveva sbagliato a difenderti un giorno, durante una rissa, e s’era beccato tre anni, per questo.
Se la meritava una canzone, per questo; per celebrare la gioia di saperlo di nuovo libero e fuori dall’Albergo Regina, e per augurargli, nonostante il suo sorriso sghembo e gli occhi malinconici, di restarci, libero.
Però, mannaggia la miseria, quella canzone, l’ha scritta e cantata Mick Jones, e non Joe Strummer, che, sul murale che copre il cemento della salita di Collemaggio, ci sta bene, ma ci sarebbe stato meglio, se sotto le parole “ Stay free”, ci fossero state aggiunte anche le parole di un’altra canzone: “ It’s up to you not to hear the call up “, ad esempio.
Insieme, avrebbero fatto un bel concetto, così come, insieme, quei due, ci hanno fatto sentire parecchio vivi.
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Murale
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